Rosselli mazziniano

Rosselli mazziniano EDITI GLI «SCRITTI DALL'ESILIO» Rosselli mazziniano La caratteristica principale degli Scritti M'esilio (19291934) di Carlo Rosselli, che Einaudi ha pubblicato a cura di Costanzo Casucci, è la freschezza intellettuale che si accompagna a una grande energia morale. Dalla lettura emerge, ancora una volta, l'interrogativo: come è stato possibile che un progetto politico quale quello di «Giustizia e Libertà» — da cui è derivato per filiazione e maturazione il Partito d'Azione — abbia, pur fondato su tanta ricchezza di idee, quasi bruciato se stesso nella lotta antifascista, venendo emarginato e battuto nel momento della ricostruzione democratica del Paese? E' toccato al secondo Partito d'Azione di fare la fine del primo, a «Giustizia e Libertà» di ripetere la parte della «Giovane Italia»: essere nella trincea più avanzata nell'impegno per la conquista di una nuova Italia e conoscere la sconfitta nel momento risolutivo; quindi, sopravvivere nelle vesti di coscienza critica di fronte alle «prosaiche» e più realistiche forze dominanti (variamente dominanti). In effetti, a leggere il Rosselli degli anni tra il 1929 e il 193-1, il richiamo a Mazzini riesce tutt'altro che letterario. Poiché a farlo in maniera limpida, e in riferimento ai nodi più decisivi posti dal pensiero e dall'azione, è lo stesso Rosselli. Quando sente il problema di un'azione rivoluzionaria che superi i vecchi schemi e l'esigenza di un'intima unione fra pensiero e azione, quando vuole esprimere la convinzione che a muovere all'azione rivoluzionaria può essere anzitutto una molla ideale, Rosselli pensa a Mazzini. Lo dice esplicitamente nel 1929: «La formula mazziniana "pensiero e azione" deve essere il contrassegno di ogni oppositore degno di questo nome». E alcuni anni dopo, allorché l'orizzonte d'Europa si è fatto più che mai cupo con l'avvento al potere di Hitler — che pone all'antifascismo il bisogno di un salto di qualità in senso internazionale — e ancora Mazzini a ispirare: «Occorre, da ora in avanti, conferire alla lotta un respiro più largo, un respiro europeo, (...) creando quella dottine Europa, quel partito europeo che quasi un secolo la profetizzava Giuseppe Mazzini». In realtà, il legame con il grande rivoluzionario ottocentesco va oltre questi pur cosi importanti aspetti. Sono molte le notazioni, con le quali Rosselli caratterizza il suo «so¬ cialismo liberale», dove si sente una sostanziale eredità mazziniana. La si sente nelle critiche al socialismo che soffoca l'individuo, nel rifiuto di riconoscere il primato degli interessi materiali, nel rivendicare un equilibrato rapporto fra diritti di libertà delle persone e diritti sociali, nel ricercare un fecondo raccordo tra interessi privati e collettivi. Per questa strada, Rosselli incontra sia il revisionismo socialista classico e sia quello a lui contemporaneo, traendone ispirazione per respingere decisamente la sorpassata dicotomia marxista secondo cui esistono solo borghesia e proletariato e per contro sottolineare l'importanza delle classi medie in rinnovata espansione e prime produttrici delle Ulta pensanti e dirigenti di tutti i movimenti. E, sempre per questa strada, egli valorizza il pluralismo democratico contro il monocratismo di destra e di sinistra (a proposito, le considerazioni che Rosselli svolge intorno al ruolo dei partiti richiedono un diretto confronto con quelle svolte da Gramsci); combatte strenuamente l'illusione che la rivoluzione possa scaturire dalla crisi economica per un rapporto meccanico di causa-effetto; e, contro il pregiudizio economicistico, fa «professione di volontarismo». Ancora mazziniane sono le affermazioni che «la conquista delle libertà deve essere opera degli italiani stessi»; che «noi italiani, e nessun altro, abbatteremo il fascismo»; che nell'azione è ('«intrinseca moralità» della vita e della storia. Infine tipicamente mazziniana è pure la difficoltà di Rosselli nel comprendere la corposità delle forze destinate a sbarrare la strada all'idea che egli aveva della futura rivoluzione italiana. Il leader di «Giustizia e Libertà» è davvero assai acuto nel capire le debolezze gravi dei partiti che hanno perduto di fronte a Mussolini e le loro persistenti mancanze. Allo stesso modo, vede con estrema lucidità, sino a farsi profeta, i cedimenti e le colpe delle potenze antifasciste dinanzi al fascismo trionfante, divenuto una potenza internazionale con Hitler (che, scrive, «andrà fino in fondo all'abisso»). E, quando alza le vele della sua critica intellettuale, Rosselli sa essere duro e intransigente, ma anche molto comprensivo ed equilibrato. Si prendano ad esempi i bellissimi ritratti di Turati e Treves morti, o la sua polemica con i comunisti, tanto ferma quanto costruttiva. Sennonché l'acutezza mentale e la sua generosità di uomo d'azione sembrano consegnare l'eredità di Rosselli a un futuro a lui più lontano che vicino. Anche qui: non è lo stesso destino di Mazzini? Da questi scritti, infatti, emerge una concezione della democrazia, dei rapporti tra Stato e società, del ruolo dei partiti, delle relazioni fra i gruppi e le classi sociali che paiono lineeispiratrici di un programma che solo ora, forse, sembra poter diventare attuale in Italia. Delineando l'abbattimento del fascismo in primo luogo ad opera dell'antifascismo italiano, immaginando il rinnovamento interno dell'Italia fondato su una democrazia che lasciasse alle spalle il vecchio conservatorismo, emancipasse il mondo del lavoro da un classismo condannato a una crescente obsolescenza pur conservando al centro la difesa dei diritti sociali, trovasse in un moderno laicismo il civile modus vivendi tra concezioni del mondo e valori diversi, Carlo Rosselli trascurava i pesi che ostacolavano il cammino: a destra, al centro, a sinistra. A tal punto che, caduto il fascismo, i decenni seguenti videro la sua eredità ridursi a quasi non entità politica e a una sopravvivenza ideale modesta, anche se vivida. L'Italia era più fascista di quanto Rosselli volesse ammettere. Il fascismo cadde in primo luogo non per forza della virtù degli antifascisti, ma per forza delle armi straniere. E, dopo il fascismo, l'Italia moderata si è spartita il campo con quella classista e marxistica. Come ricordavo all'inizio il secondo Partito d'Azione ripetè, insomma, nel postfascismo quella sconfitta subita dal primo nel momento del compimento del processo risorgimentale. La storia ha i suoi tempi. Non li si può sempre forzare, salvo che con i voli ideali. Alla fine, però, i buoni voli ideali possono riuscire feconde anticipazioni. Non può non colpire che oggi, 1989, i comunisti italiani nel voler essere «nuovi» si trovino a parlare assai più il linguaggio di Carlo Rosselli che non quello di Gramsci e Togliatti; che da tempo i socialisti «rinnovati» parlino assai più come il leader di «Giustizia e Libertà» che non come il Nenni e persino il Saragat che polemizzavano con il «piccolo-borghese» Rosselli. La storia ha tempi lunghi, è vero; ma giudica anche a tempi lunghi. Massimo L. Salvadori

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