Castri, un temerario nel labirinto di Kleist di Osvaldo Guerrieri

Castri, un temerario nel labirinto di Kleist «La famiglia Schroffenstein», grande prova di Pagni Castri, un temerario nel labirinto di Kleist Anteprima a Mantova e, l'altra sera, debutto a Trieste DAL NOSTRO INVIATO MANTOVA — Chissà se Massimo Castri ha intravisto nella Famiglia Schroffenstein di Kleist la strada per giungere a una zona teatrale di inedita densità espressiva. Inedita per lui, che ci ha abituati alla scomposizione dei testi e dei sentimenti, al gelido esercizio logico, al viaggio nel nero che splende di densa biacca all'orlo del gesto. Certo è che, con La famiglia Schroffenstein, messa in scena per il Centro Teatrale Bresciano, Castri s'infiamma di una tentazione melodrammatica che riveste e cova un palpito di temerarietà. Non perché La famiglia Schroffenstein sia opera immensamente bislacca, ma perché — a giudicare dall'anteprima al Sociale di Mantova che ha preceduto il debutto ufficiale dell'altra sera al Politeama di Trieste — non si sa bene come prenderla. Che cos'è mai questo testo che Kleist pubblicò anonimo nel 1805? Una tragedia, certo, torrentizia ed eccessiva; ma anche una favola, un cr.lco di truculenze elisabettiane, un alambicco che distilla turbamenti amorosi. La famiglia Schroffenstein ebbe una genesi molto complessa. Kleist la scrisse nel 1802 mentre si trovava in Svizzera, a Thun. Inizialmente si intitolava La famiglia Thierrez e i personaggi avevano nomi spagnoli. Poi gli amici convinsero il poeta ad ambientare l'azione in Svevia, nella Germania cavalleresco-medievale allora così dì moda. I personaggi presero nomi tedeschi e il dramma assunse il titolo definitivo. Ciò non toglie che l'autore si dimostrasse poco soddisfatto dei risultati. Scrisse alla sorella Ulrike: •Fatemi il piacere di non leggere il libro. (E' un miserabile scartafaccio.): Ma la tragedia, giovanile in tutti i sensi, è molto più di un semplice involucro teatrale. Racconta l'odio delittuoso che oppone due rami della stessa famiglia (a spegnere la discendenza del rivale ci si garantisce una vasta ricchezza) e, nel ribollire della violenza, insinua l'amore tenero di Ottocaro e di Agnese, rampolli delle due case nemiche, che pagheranno con la vita, come in Romeo e Giulietta, la pazza sete di sangue dei loro parenti. Tuttavia, fra i tanti espedienti di una drammaturgia a fosche tinte, fra i diversivi e le digressioni manico-fantastiche, Kleist mostra appieno le sue doti stilistiche e la densità del suo linguaggio. C'è poi, bellissima, la scena della grotta nel quinto atto, là dove Ottocaro e Agnese si giurano eterno amore e, braccati dalle schiere dei genitori, si scambiano gli abiti, in un inutile tentativo di salvezza E' un momento di altissima poesia, che indusse i contemporanei a sospettare che Kleist avesse cominciato a scrivere il dramma a ritroso, prendendo le mosse da questa scena Nonostante i meriti, resta il garbuglio di una situazione irreparabilmente eccessiva, frantumata, e si può capire perché Castri, anziché entrare con la veemenza del tirasassi fra assassini e streghe e doppiogiochisti, proce¬ da un po' a tentoni fra tutti gli stili che Kleist gli suggerisce. Propone perciò il dramma sanguinoso, il dramma amoroso, la riduttività e la derisione farsesca, il grottesco più acceso, come se volesse incastrare, dentro un solo contenitore, alcune opere scelte a caso e unificate soltanto dalla bella scena di Maurizio Baiò che, con la discesa a lama di pareti grigie che ora rivelano e ora celano due scaloni convergenti, col fondale di un cielo occupato dal sole o dalla luna sul quale corrono Slacci di nuvole, crea uno spazio astratto e geometrico di grande funzionalità. La diversità domina anche il lavoro degli attori, ciascuno dei quali sembra inseguire un proprio stile e, diresti, una propria idea del personaggio. Eros Pagni, il più persuasivo di tutti, disegna con meravigliosa progressione il passaggio di Silvestro dalla bonomia e dalla ragionevolezza alla più incontenibile sete di vendetta Bravi Massimo Popolino (Ottocaro) e Laura Montaruli (Agnese). Non si capisce invece perché la pur generosa Leda Negroni dia a Geltrude, moglie di Silvestro, una caratterizzazione da teatro di rivista o da commedia bassa popolaresca E anche Piero di Iorio (Rupertoj butta un po' via, tra tic e stralunamene la sua insondabile crudeltà. Enrico Ostermann (Silvio), Nicoletta Languasco (Eustachia) e tutti gli altri non fanno che altalenare sui molteplici dislivelli di questo bellissimo spettacolo mancato. Osvaldo Guerrieri

Persone citate: Castri, Eros Pagni, Laura Montaruli, Leda Negroni, Massimo Castri, Maurizio Baiò, Nicoletta Languasco, Pagni, Piero Di Iorio, Thun

Luoghi citati: Germania, Mantova, Svizzera, Trieste