In trappola l'ultimo padrino

In trappola l'ultimo padrino La giustizia Usa, dopo una caccia interminabile, è pronta a «incastrare» John Gotti, capo della «famiglia» Gambino In trappola l'ultimo padrino Clamorosamente assolto nell'84, il boss subirà un nuovo processo l'autunno prossimo - Se i giudici riuscissero a formalizzare l'accusa di racket, potrebbe essere la fine della sua impunità - L'ostentato disprezzo per i detective NEW YORK—Ogni giorno feriale, con pomposa ritualità, una lucente limousine imbocca silenziosa il viale d'accesso a una casa modesta di Howard Beaeh, nel Queens. A uscire di casa è John Joseph Gotti, passo scattante e spalle squadrate come un cadetto di West Point. Indossa un vestito impeccabile: doppiopetto discreto in tinta unita, camicia bianca e cravatta di seta con fazzoletto da taschino dello stesso colore. Dietro la Mercedes-Benz o la Lincoln in attesa, vi è una delle tre guardie del corpo che si danno il cambio nel portare in auto Gotti per New York Gotti, quarantotto anni, è ufficialmente agente d'una società di forniture idrauliche. Negli archivi dei tribunali, tuttavia, è marchiato dalla pubblica accusa come il capo supremo della Famiglia Gambino, il più grande gruppo della mafia, di Cosa Nostra, degli Stati Uniti. Dopo il 1984, le condanne ottenute grazie al cosiddetto Rico Act (Rackeleering Influenced and Corrupt Organizations Act: Legge sulle organizzazioni criminali coinvolte nei racket) hanno smantellato quasi tutte le 24 famiglie criminali del Paese. Per i funzionari incaricati di far rispettare la legge. Gotti rappresenta ora l'ostacolo più formidabile nel loro tentativo di snidare la mafia dalla sua ultima roccaforte: la zona di New York. Agenti dell'Fbi e investigatori locali sono convinti che Gotti abbia assunto il controllo della Famiglia Gambino, dopo aver fatto uccidere U boss Paul Castellano, in una via di Manhattan, nel dicembre 1985. In quei giorni Gotti era un oscuro capo di medio livello all'interno della siossa famiglia criminale. Messe le mani su un impero che gli esperti valutano in 500 milioni di dollari annui d'imprese illegali (seicento miliardi di Urei, Gotti è divenuto il più significativo simbolo di resistenza della malavita organizzata alle pressioni della legge dai tempi di Al Capone a Chicago, sessant'anni fa. Mentre compie il suo prevedibile giro d'incontri quotidiano, in squallidi edifici o ristoranti eleganti, mostra baldanzosamente il proprio disprezzo per gli investigatori che fino a questo momento non sono riusciti a dimostrare a nessuna giuria il suo coinvolgimento in attività criminali. Dicono che, quando identifica uno degli agenti che lo stanno pedinando, mostra loro gli indici sfregandoli assieme e dicendo: • Birichino! Birichino.'-. La notorietà di Gotti provoca una concorrenza vivace, e a volte controproducente, tra i vaii rappresentanti della pubblica accusa, ciascuno dei quali ambisce a trovare per primo il morto di farlo condannare. La prossima battaglia sarà condotta congiuntamente dall'ufficio della Procura distrettuale di Manhattan e dalla Task For ce dello Stato di New York contro il crimine organizza to. che sono riuscite ad ac collare a Gotti l'imputazione di aver fatto ferine con colpi d'arma da fuoco, nel 1986. un funzionario del sindacato carpentieri. Arrestato a gen naio per questa sparatoria. Gotti ha ribadito il proprio scherno: - Tre contro uno che mi assolveranno' ha detto agli agenti che lo arrestavano. Il giorno dopo era già libero, dopo aver pagato una cauzione di 100 mila dollari. Nonostante queste bravate, gli agenti federali e locali vedono nell'ascesa di Gotti un sintomo di decadenza all'interno della mafia. Prima di raggiungere il vertice, il suo curriculum criminale, elaborato dall'Fbi e oal Dipartimento di Polizia di New York, era quello dei sicario cor una grossa fedina penale, che aveva scontato due condanne per reati commessi con una certa ingenuità. Secondo gli investigatori, le sue capacità di gestire un'organizzazione criminale sono inferiori a quelle dei gangster di prim'ordine eliminati, in questi ultimi anni, in seguito a condanne o a morte violenta. Sembra che le entrate di Gotti, in un momento nel quale la concorrenza nel campo della criminalità è spietata, stiano diminuendo. Secondo gli investigatori, fa sempre maggior affidamento su quanto conosce meglio: riscossioni forzate di prestiti illegali ad altissimo interesse, gioco d'azzardo, traffico di stupefacenti. Jules J. Bonavolontà, l'agente speciale dell'Fbi a capo della sezione newyorkese che si occupa del crimine organizzato, sostiene che si può avere una buona idea de! carattere di Gotti in base a certi rapporti confidenziali nei quali, a quanto si dice, Gotti spiega che l'idolo della propria infanzia era Albert Anastasia, uno dei fondatori dell'Anonima Assassini. Secondo Bonavolontà, Gotti è •un ex rapinatore da quattro soldi, un incallito giocatore d'azzardo che ha preso il comando perché spietato e malvagio-. Bruce Cutler, avvocato di Gotti dal 1985, descrive il proprio cliente in maniera assai più gentile. Stando al ritratto di Cutler, Gotti risulta un virtuoso commerciante che, essendo riuscito a sottrarsi alla miseria più nera e a farsi strada nella vita, viene perseguitato da autorità ambiziose, che l'hanno definito à "torto il re dei bassifondi. Dopo circa un decennio di indagini e pedinamenti — fa notare Cutler — i segugi che lo dipingono Gotti come uno sfrenato boss della mala non sono mai riusciti a dimostrare che Gotti abbia infranto la legge. -John non vive certo nel lusso-, dice il quarantenne Cutler. -Non c'è mai vis- suto e non ci vivrà mai-. E soggiunge di non saper nulla circa le fonti delle sue entrate. E' lo stile di vita di Gotti — insiste Cutler — che manda su tutte le furie investigatori e procuratori. -John Gotti non si comporta secondo il concetto che loro hanno del cittadino ossequiente-. E prosegue: -Non lavora regolarmente dalle nove dì mattina alle cinque di pomeriggio. Se ne sta seduto nei bar a giocare a carte e a chiacchierare con gli amici. A foro poi non piace chi gioca molto d'azzardo. John un tempo giocava molto, ma ora non più. Lo definiscono un padrino, un boss della mafia. Sperano, qualora riescano a farlo condannare, di potersi vantare d'aver preso all'amo un pesce grosso e di ottenere in tal modo la gloria: titoloni sui giornali, contratti a Hollywood, la reputazione di terrore dei gangster: Nella comunità in cui vive, Gotti non è certo un paria. I vicini partecipano in massa al party all'aperto che organizza ogni anno presso il suo club del Queens. La notizia che era stato prosciolto dall'accusa di racket, due anni fa, spinse la gente della zona ad ornare tutti gli alberi attorno alla sua casa con nastri gialli: il simbolo usato per le manifestazioni pubbliche in favore dei prigionieri tenuti in ostaggio. Un ospedale della zona povera di Brooklyn, dove Gotti ha trascorso l'infanzia, gli ha dedicato una lapide come benefattore dopo una sua donazione di 10 mila dollari.. Se tra i monti Pocono o ir. Florida dove talora va «in vacanza» Gotti può passare da normale turista, a New York si trova sotto le luci dei riflettori come tutti i personaggi celebri. Il suo ingresso nei ristorrmti di Manhattan che predilige attira gli sguardi di quanti stanno pranzando e sollecita le attenzioni dei ca- merieri. I locali dove gli piace pranzare vanno dal Taormina, Ì'S.P.Q.R. e il Caffé Biondo, nella parte bassa di Little Italy, al Camelia. Sistina, P.J. Clarke's e Regines nello East Side. Accompagnato da alcune persone (di regola da due a sei), Gotti sceglie di solito un tavolo che gli consenta di sedersi con la schiena alla parete e individuare facilmente chiunque si avvicini. Allorché, nel 1987, l'Fbi lo avvertì che membri della Famiglia Genovese avevano intenzione di assassinarlo, non cambiò apparentemente le proprie abitudini né rafforzò la guardia del corpo. Nato nel South Bronx il 27 ottobre 1940, John Gotti era il quinto di tredici figli cresciuti dal padre John, operaio in un'impresa di costruzioni, e dalla madre Fannie, entrambi emigrati dal Napoletano. La sua carriera nella mafia iniziò prestissimo, as- sumendo ben presto le caratteristiche di una vera e propria scalata. Negli Anni Settanta, la Famiglia Gambino aveva circa 20 gang, ciascuna delle quali era formata da un numero ristretto di uomini fatti, cioè membri iniziati, e da parecchi associati. Tutti dividevano il proprio bottino con i capi, che a loro volta passavano parte dei profitti ai tre boss principali. Mentre Gotti era in prigione, il suo capo, Carmine Fatico, trasferi il proprio quartier generale dal settore Est della grande New York a Ozone Park, nel Queens, dove fondò un nuovo club descrivendolo, forse ironicamente, come un' 'associazione sema fini di lucro-. Il nome dato al club nei documenti ufficiali di istituzione era Bergen Hunt & Fish Social Club. Nel 1972, dopo aver trascorso tre anni a Lewisburg, John Gotti, ormai trentunenne, tornò a casa e ottenne una promozione. Dellacroce, che all'e- fettlsGnpnlntripddnvvacmptsgdtd poca era boss in seconda della Famiglia Gambino, lo nominò capo supplente della gang di Bergen. L'anno successivo, un nipote di Carlo Gambino, capo supremo della Famiglia, venne rapito e ucciso. La rete di informatori della famiglia giunse alla conclusione che uno dei rapitori era stato James McBratney, un rapinatore. Gotti fu incaricato di vendicare il delitto. Il 22 maggio 1973, tre uomini, fingendosi investigatori, si avvicinarono a McBratney in un bar di Staten Island e, dopo una breve lotta, lo colpirono a morte. Fu tutt'altro che un crimine perfetto. I testimoni indentificarono subito due dei tre uomini, Gotti e Ruggiero, nelle foto segnaletiche della polizia. Carlo Gambino. tutto riconoscente, assunse l'eminente avvocato Roy M. Cohn per patrocinare Gotti e Ruggiero. Sebbene i due imputati fossero accusati di omicidio e fossero stati identificati da testimoni, Cohn riuscì a patteggiare mirabilmente con l'ufficio della Procura distrettuale di Long Island. Gotti e Ruggiero accettarono di dichiararsi colpevoli, a patto che i capi d'imputazione venissero ridotti: i due se la cavarono con una condanna a quattro anni in un penitenziario di Stato. Gotti riuscì ad alleviare il proprio periodo di detenzione con una serie di singolari vantaggi. Per l'omicidio di McBratney. Gotti scontò due anni e venne scarcerato in libertà vigilata nel 1977. Ritornato alla dimora avita, Gotti fu incaricato di assumere il comando della gang di Bergin a pieno titolo. Agli inizi degli anni Ottanta, la posizione di rilievo assunta da Gotti nella Famiglia Gambino aveva ormai destato una particolare attenzione a livello locale e federale. L'ufficio della Procu- ra distrettuale del Queens, nel tentativo di procurarsi prove concrete sul gioco d'azzardo e sui prestiti illegali, aveva piazzato microfoni nascosti e spie telefoniche al -Bergin Club-, che nel 1981 era rimasto sotto controllo per tre mesi. L'indagine portò alla luce un giro con poste altissime; ma Gotti e gli altri esponenti della Famiglia ne rimasero indenni, sottraendosi a incriminazioni e arresti. Le intercettazioni rivelarono lo spietato controllo di Gotti su una gang che comprendeva tra l'altro Gene, suo fratello minore, e Angelo Ruggiero. Spesso, nelle registrazioni, si poteva sentire Gotti che esigeva brutalmente obbedienza e rispetto. In una circostanza, lo si sentiva pronunciare insulti sferzanti contro un suo sottoposto, Anthony Moscatello, che non aveva risposto alle sue chiamate: *Stammì a sentire. Ho chiamato la tua [parolaccia] casa cinque volte, ieri. Se tua moglie pensa che tu sia un [parolaccia] padreterno o se lei si sente un [parolaccia] padreterno e tu credi di poter ignorare le mie [parolaccia] telefonate, io faccio saltare in aria te e la tua [parolaccia] casa". A quell'epoca, comunque, guai ben più seri bollivano in pentola per Gotti e altri esponenti di rilievo della Famiglia Gambino. Nei primi Anni Ottanta, squadre speciali formate da agenti dell'Fbi e da investigatori della polizia di New York si videro assegnare il compito di distruggere a una a una le cinque grandi Famiglie della città. Nel 1985, cinque anni di indagini discrete sfociarono finalmente in una grande retata. Più di cinquanta capi della mafia e collaboratori d'alto rango vennero indiziati per violazioni alle leggi federali contro il racket e il traffico di stupefacenti. Un gran giurì di Manhattan accusò Paul Castellano, Aniello Dellacroce e i capi delle altre quattro Famiglie criminali di reati connessi al racket, attribuendo loro il controllo dell'apparato di governo della mafia newyorkese, noto come -La Commissione». In un altro processo, Deliacroce e Gotti vennero imputati di estorsione da un gran giurì federale di Brooklyn. Il primo venne inoltre accusato di controllare due gang della Famiglia Gambino, tra cui quella di Gotti. A Brooklyn, i capi d'imputazione vennero ottenuti soprattutto grazie alla perseveranza di Diane F. Giacalone, un sostituto procuratore che lavorava allora sul suo primo caso importante di crimine organizzato. Ma l'Fbi non apprezzò il fatto che la Giacalone avesse l'intenzione di rivelare l'identità di due preziosi informatori e, di conseguenza, interruppe la collaborazione con l'ufficio della Procura assai prima che l'indagine venisse portata a termine. Oltre a ciò, il ministero della Giustizia aveva costituito una propria unità semiautonoma a Brooklyn, chiamata Organized Crime Strike Force (Squadra di lotta contro il crimine organizzato). Era una squadra scelta che si occupava quotidianamente di mafia e sembrava ansiosa di proteggere il proprio terreno dì caccia. Il suo capo, Edward A. McDonald, avvisò il ministero che i capi d'accusa formalizzati dalla Giacalone erano deboli Nel vano tentativo di convincere i suoi superiori che l'accusa doveva essere lasciata cadere, McDonald li avvertì che qualora Gotti fosse stata assolto, tutte le prove raccolte contro di lui fino al 1984 in relazione al gioco d'azzardo e ai prestiti illegali non sarebbero più state successivamente proponibili in tribunale come capi d'accusa. Gli avvocati del collegio di difesa negano per consuetudine l'esistenza di gruppi mafiosi segreti con una struttura ben definita. Se fosse davvero così, una conversazione registrata dal 1985 indurrebbe a pensare che la vita imita la fantasia. I boss Dellacroce, Gotti e Ruggiero parlano infatti di Cosa Nostra, usando il nome effettivamente adottato in America dalla Mafia. Spiegando a Ruggiero di essere obbligato a obbedire a Castellano, Dellacroce dice: «Vedi, è per questo che prima ti ho detto che tu proprio non capisci Cosa Nostra: Gotti s'intromette: 'Angelo, che significa Cosa Nostra?-. E Dellacroce commenta: -Cosa Nostra significa che il boss è il tuo boss. Capisci? Lascia perdere tutte queste sciocchezze!-. Più tardi, Dellacroce avvisa Ruggiero che il suo rifiuto potrebbe scatenare una guerra nella Famiglia. • Un mucchio di altra gente ci andrà di mezzo- dice Dellacroce. -E perché? Perché? Tutto perché non vuoi fargli sentire il nastro.': La registrazione non giunse mai in mano a Castellano. Nel dicembre del 1985, Dellacroce morì di cancro a settantun anni. Due settimane dopo, il settantenne Castellano e il quarantacinquenne Thomas Bilotti, da lui scelto come boss in seconda, vennero uccisi da colpi di arma da fuoco di fronte alla Sparks Steak House, nel centro di Manhattan. La vigilia di Natale, una settimana dopo il duplice omicidio, alcuni agenti nascosti a Little Italy in un furgone furono testimoni di un episodio stupefacente di fronte al rivenite Social Club, il vecchio quartier generale di Dellacroce. L'episodio confermò quanto gli agenti avevano saputo dagli informatori: John Gotti era il nuovo boss della Famiglia Gambino. Secondo le testi- monianze rese da John Gurnee, un ex detective che lavora attualmente nell'ufficio della Procura degli Stati Uniti, 'numerose persone ne superarono altre per strada, puntarono su John Gotti e lo baciarono-. L'omicidio di Castellano e Bilotti non è mai stato portato in tribunale. Agenti dell'Fbi hanno comunque dichiarato ufficialmente che Gotti e Ruggiero, nel corso della lotta per il potere ingaggiata con Castellano, hanno organizzato l'assassinio per impedire a quest'ultimo di farli giustiziare. Poco prima del duplice delitto, la Task Force newyorkese contro il crimine organizzato iniziò una nuova indagine sul conto di Gotti. Uno dei risultati fu che alcu ni tecnici penetrarono segre tamente di notte nel Bergin Club e nascosero alcuni mi crofoni nel santuario più sa ero di Gotti: una stanza dove teneva i suoi incontri privati. I microfoni spia fornirono una grande quantità di notizie sulle attività della Famiglia Gambino. Investigatori e esponenti della pubblica accusa sentirono Gotti che discuteva il proprio progetto di. creare un'organizzazione stabile e indicava i nomi di chi ne sarebbe stato a capo. Gotti divenne presto l'imputato numero uno nel processo istruito dalla Procura di Brooklyn. Prima però doveva concludersi un altro processo. Nel 1984, un riparatore di frigoriferi di nome Romual Piecyk aveva accusato Gotti e un altro uomo di averlo malmenato e avergli sottratto 325 dollari nel corso di una discussione in un parcheggio. Quando l'aveva identificato, Piecyk non conosceva ancora la fama di Gotti come capo della mafia. Ma quando il caso di aggressione e rapina venne discusso in un tribunale statale del Queens, un mare di notizie aveva ormai trasformato Gotti in un capobanda da titoloni da prima pagina. Sul banco dei testimoni, un Piecyk visibilmente teso non riuscì più a riconoscere in Gotti e nell'altro imputato i suoi assalitori. E il giudice chiuse rapidamente 11 caso. Le accuse del governo federale a Brooklyn erano più complesse. Gotti, il fratello Gene e cinque altri erano imputati di aver violato il Rico Act. n minisatero della Giustizia aveva cominciato a sfruttare tutte le opportunità della legge a partire dalla fine degli Anni Settanta, per farne un'arma nuova contro la mafia. Per ottenere una sentenza di condanna, l'accusa doveva dimostrare che l'imputato aveva commesso reati nell'ambito di un disegno criminoso legato al racket entro un'organizzazione specifica. Secondo la legge, una Famiglia o una gang sono considerate organizzazioni di questo tipo. Basandosi su trenta ore di nastri registrati e su novanta testimoni, la Procura federale impiegò circa sette mesi, dall'agosto 1986 al marzo 1987, per presentare le accuse contro Gotti in base al Rico Act. Ma contro i testimoni chiave e l'integrità del rappresentante dell'accusa (la signora Giacalone) vi fu uno sferzante contrattacco di Bruce Cutler, che in precedenza era stato a propria volta sostituto procuratore distrettuale. Cutler evidenziò alcuni punti critici: sette testimoni chiave che accusavano Gotti di aver commesso reati erano assassini confessi, rapitori o spergiuri sfuggiti alla pena di morte, che avevano ottenuto denaro e altri favori dal governo in cambio della loro testimonianza. Dopo una settimana di Camera di Consiglio, la giuria assolse Gotti e gli altri imputati da ogni capo d'accusa. Sulla scia delle condanne ottenute grazie al Rico Act nel corso degli ultimi cinque anni, le Famiglie un tempo potenti dei Bonanno, dei Colombo e dei Lucchese hanno perso la loro supremazia e si trovano decisamente decimate. Con 300 uomini fatti e circa 2500 associati, il gruppo dei Gambino è ormai di gran lunga la più potente famiglia degli Stati Uniti. Diversamente da altri boss, Gotti s'incontra ormai apertamente con trafficanti di stupefacenti: un segno, dicono all'Fbi, che la Famiglia appoggia ormai pienamente il commercio della droga. n prossimo scontro legale è in programma per quest'autunno, quando Gotti verrà processato con Angelo Ruggiero e un terzo membro famoso della Famiglia Gambino in relazione a imputazioni mosse da un collegio d'accusa di Manhattan e dello Stato. E' una causa aggrovigliata. Se Gotti verrà condannato, il procuratore distrettuale di Manhattan, Robert M. Morgenthau, cercherà di farlo dichiarare criminale abituale e fargli dare almeno quindici anni di prigione. Secondo Cutler, basterà seguire la stessa strategìa usata per difendere Gotti dall'accusa di aver violato il Rico Act, per ottenere la sua assoluzione. Al di là di questo caso, però, l'orizzonte legale di Gotti appare tempestoso. Il collegio federale d'accusa di Manhattan sta formalizzando un'imputazione di racket che può coinvolgerlo nell'assassinio di Castellano. I giudici sono ormai convinti che esistono prove sufficienti per inchiodarlo e chiuderlo in cella. 'In una prospettiva a lungo termine — dice Bonavolontà — Gotti è un cavallo perdente-. Selwyn Raab Copyright «N.Y. Times Magazine» e per l'Italia «La Stampa» Ufficialmente, si occupa di forniture idrauliche, in realtà ha fra le mani un impero d'attività illegali che fruttano oltre seicento miliardi l'anno. Controllato 24 ore su 24, quando identifica gli agenti che lo stanno seguendo mormora: «Birichino!». Il processo in corso contro di lui potrebbe finalmente condannarlo, ma il difensore scommette sull'assoluzione. Gli inquirenti la pensano diversamente, e fanno notare che i suoi affari sono in calando perché gli manca la stoffa dei predecessori. La maggior parte delle altre 24 Famiglie sono già in ginocchio dopo la grande offensiva antimafia varata nell'84 New York. Il boss John Gotti, a destra, con il suo legale, Brace Cutler, e un agente nel gennaio scorso durante un interrogatorio nella Corte criminale La vigilia di Natale del 1985, una settimana dopo l'uccisione dei due boss designati a governare il clan, agenti nascosti in un furgone a Little Italy furono testimoni di un incredibile episodio davanti al quartier generale dei Gambino: «Alcuni mafiosi che stavano convergendo sul club ne superarono altri, giunsero di fronte a John Gotti e lo baciarono». Fu quello l'insediamento, inatteso quanto perentorio, come Padrino. Da allora la sua vita, e quella di Cosa Nostra, mutò. E i due omicidi non vennero mai portati in un'aula di tribunale L'arresto di Carlo Cambino nel 1970: il boss morì nel 1976. Agenti di polizia vicino al corpo di Paul Castellano, capo della famiglia Gambino, ucciso nell'85