Il pr nel museo di Stalin di Augusto Minzolini
Il pr nel museo di Stalin Budapest, la sala dei processi politici ospita il congresso radicale Il pr nel museo di Stalin Pannella ha scelto l'Ungheria perla sua sfida: «Siamo transnazionali, vogliamo gli Stati Uniti d'Europa» - Ai lavori dell'assemblea, che si apre oggi, è assente il psi - Ci sarà il pei, ma non Occhetto DAL NOSTRO INVIATO BUDAPEST — La scenografia è suggestiva, ricca di citazioni storiche e di teatralità come piace a Marco Pannella. In quella «sala dei sindacati», che si appresta ad accogliere più di mille radicali italiani sparsi per Budapest, sono stati celebrati quasi tutti i processi stalinisti ungheresi. Oggi i parenti delle vittime delle purghe o dei fatti di Ungheria saranno lì, sul palco del primo congresso di un partito occidentale celebrato nell'Est europeo: c'è l'architetto che ha progettato la scenografia (l'idea dell'immagine della -cortina di ferro" che cade è sua), quel Rajk, figlio di un ministro impiccato negli anni bui; c'è la vedova del col. Maleter, un'altra personalità giustiziata, e i figli di altre vittime dello stalinismo circondate da un nugolo di dissidenti. I partiti di opposizione (•■gli indipendenti- come li chiamano qui ) avevano sconsigliato ai radicali di accettare una sede piena di ricordi cosi tristi, ma Pannella e compagni, amanti come al solito del paradosso, hanno fatt o di tutto per averla. Nella capitale ungherese i radicali tentano di dare un senso a quelle parole, dal suono cosi sgraziato, che rappresentano la loro politica di oggi. Transnazionali, transpartiti, transeuropei: messaggi difficili da comunicare che. se non supportati da fatti, rischiano di rimanere vuoti. E l'idea del congresso a Budapest è soprattutto il tentativo di rappresentare la nuova immagine dei radicali. Un modo per sfuggire alla crisi che li attanaglia da tempo, per perpetuare quel ruolo trasgressivo essenziale per la loro esistenza. A Roma Pannella ha lasciato le polemiche che circondano la sua ancora ignota candidatura alle europee. In tanta confusione il leader radicale si era dimenticato anche di richiedere il visto per l'Ungheria (è dovuto intervenire l'ambasciatore per abbreviare i tempi). Ieri è partito convinto di non avere poi tanti problemi: per lui probabilmente ci sarà posto nelle liste laiche (Spadolini, che lo ha ricevuto giovedì scorso al Senato, gli ha confermato il suo appoggio); e, se proprio non sarà possibile, i socialdemocratici non aspettano altro che accaparrarselo. In Ungheria, il congresso radicale è l'avvenimento dell'anno. La trasmissione radiofonica più seguita ha trasmesso un'intervista di due ore a Pannella. La tv una di 4 minuti (i radicali sono pignoli nel contare i tempi che hanno a disposizione sui mass media anche all'estero). Anche i giornali principali (quello del governo e quello del partito) gli hanno dato spazio in prima pagina. Poco più fredda, la rivista dei progressisti, •Reform-, probabilmente perché il leader dei riformatori, Pozsgay. ha pensato bene di non esagerare dopo essersi tanto adoperato affinché l'operazione andasse in porto (gli ultimi dettagli li ha messi a punto lui stesso, incontrando Gianni Stanzani e Marco Pannella all'ambasciata ungherese di Roma nei giorni del congresso pei). Imbarazzati, invece, i partiti di opposizione: ir» un primo tempo avevano appoggiato la richiesta dei radicali di tenere il congresso a Budapest; poi, dopo il «sì» del governo magiaro, si sono sentiti spiazzati. In più Pannella non ha fatto nulla per aiutarli. Anzi, ha detto senza mezze parole, nelle interviste rilasciate, che la «primavera di Budapest» era nata tutta all'interno del partito comunista e del governo. Un'opinone rincarata da un'altra affermazione non benevola: "Sono ossessionato dall'allergia per i risorgenti movimenti nazionalisti nell'Europa centrale; noi siamo per gli Stati uniti d'Europa-. A Budapest i radicali sono arrivati con una decina di parlamentari europei di tutti i gruppi. Un omaggio alla forma transpartitica che hanno assunto. Si sono assicurati Petra Kelly, fondatrice dei verdi tedeschi, mentre sono stati meno fortunati con la destra europea. La vicinanza delle prossime elezioni non li ha aiutati: Otto d'Asburgo, uno degli esponenti più rappresentativi della de bavarese, da sempre vicino ai radicali (ha firmato tutte le risoluzioni presentate a Strasburgo) ha dato forfait per non imbarazzare il suo partito; lo stesso ha fatto il principe Poniatoski, ministro dell'Interno ai tempi di Giscard d'Kstaing; e anche Jean-Marie Le Pen, che conosce Pannella dal '48, non se l'è sentita di recarsi a Budapest. Tra gli italiani repubblicani, liberali, verdi e socialdemocratici sono rappresentati ad alto livello (addirittura i capigruppo di Camera e Senato del psdi. Caria e Pagani, sono sul palco della presidenza con la tessera radicale in tasca). La de è venuta in ordine sciolto: il vicepresidente del Senato Paolo Emilio Taviani e il presidente della commissione Esteri della Camera, Flaminio Piccoli. I socialisti, naturalmente non ci sono. Ma l'assenza che più fa arrabbiare Pannella è quella del segretario del pei Achille Occhetto: ha mandato una lettera spiegando che per un leader del pei un viaggio nell'Est deve essere preparato con cura. Ma Pannella non ci crede. Forse al pei non piace — è la sua versione — essere paragonato ad un partito radicale di massa. Augusto Minzolini
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