L'eurofrigida regina

L'eurofrigida regina le Opinioni del sabato L'eurofrigida regina MARIO CIRIELLO D'improvviso, l'Inghilterra semi-ira tornata addietro di qualche secolo, ai tempi dei monarchi assoluti. Ai tempi in cui nessuno osava contraddire il sovrano e gli audaci, che per amor di patria affrontavano l'impresa, uscivano spezzati, nel fisico e nello spirito, dalla sala del trono. Ecco perché Peter Jenkins, commentatore sagace e vivace, grida dall'Independent: «Somebody must speak to Mrs. Thatcher», qualcuno deve parlare alla signora Thatcher. Maggie è la regina. Altera e arcigna, sorda a tutti gli appelli. Il suo immenso potere la rende invulnerabile. Ma è vulnerabile l'Inghilterra che, se davvero ricusa qualsiasi cooperazione monetaria con il continente europeo, rischia di divenire un'isola in senso negativo. Un atollo economico e finanziario, la cui industria, già debole se raffrontata alla tedesca, alla francese, all'italiana, incontrerebbe ostacoli crescenti e logoranti. La crisi ringhiava da tempo, adesso ruggisce. E' giunta l'ora della verità, l'Europa si muove, la Gran Bretagna deve decidere. E in realtà ha già deciso. Tutti meno Queen Margaret. Né il «rapporto Delors» né il felice risveglio delle aspirazioni monetarie scuotono la tetragona sovrana. Abbiamo detto che l'Inghilterra ha già deciso. Diffidente com'è, per istinto e tradizione, dei disegni troppo maestosi e ambiziosi, non tende ancora la mano all'unione economica, ma accetta l'unione monetaria: ed è certo pronta a benedire un veloce connubio della sterlina con il «Serpente». E' quan¬ to desiderano la Confìndustria, la City, la stampa, la Banca d'Inghilterra, il Foreign Office, il Tesoro, quasi tutti i ministri. UEconomist avverte oggi: «Com'è già avvenuto altre volte nella sfera europea, il governo britannico rischia di perdere una occasione aurea». Dovrebbe unirsi agli altri giocatori, non limitarsi a «sogghignare dai bordi del campo». Che è quanto fa Maggie. Non sarà proprio un sogghigno, un ironico sorriso piuttosto, un'espressione, comunque, di regale distacco. Come persuaderla a mutare atteggiamento? Il compito è urgente, Londra deve foggiare una nuova strategia: ma chi dovrebbe persuadere Sua Maestà non può o non osa avvicinarsi al trono. L'influenza del ministro degli Esteri e del cancelliere dello Scacchiere è diminuita, ubbidiscono ai comandi che piovono dal numeru 10 di Downing Street. Oggi come oggi, Londra sembra destinata a ripetere i medesimi errori del passato, a fare dell'assenteismo un'ideologia. Si esclude dall'Europa proprio nei momenti storici, quando maggiormente dovrebbe partecipare alla costruzione. Sembra impossibile che Margaret Thatcher non valuti i rischi per quest'isola di un'Europa a due velocità, con l'equipe continentale in testa e l'Inghilterra in coda. Ed è proprio perché sembra impossibile che ancora si spera in una sua conversione, anche se circospetta, guardinga. C'è un fatto che sembra tuttora sfuggire alla perspicacia di Maggie: che quest'Europa preDuemila può fare a meno di lei. La desidera, l'ammira, talvolta l'ama: ma può pensare senza terrori a due vite separate. SERGIO QUINZIO Si può essere prudenti al massimo, anche sospettosi, ma la cortina che separa le due Europe e i due mondi non è più di ferro. Non avevamo neppure immaginato che là, nel giro di questi nostri anni, qualcosa potesse cambiare. L'Est, incarnato in paleolitici gerontocrati, sembrava ormai imbalsamato. Oggi tutto, da quelle parti, è improvvisamente in movimento: rigide strutture ideologiche e statuali si allentano, lasciando emergere fratture in quello che prima era un blocco compatto, e guadagnano spazio modelli politici, sociali, economici occidentali. Proprio in questi giorni Walesa, il nemico di ieri, rappresenta a Roma una Polonia in qualche misura già pluralistica, che aspira a entrare in Europa e ad accoglierne i capitali. Sta avanzando ovunque un processo di omologazione e di unificazione su scala mondiale. Il mondo comunista, che si proponeva come un'alternativa alle società dell'Occidente, appare adesso come una parentesi che sta per chiudersi. Il mondo occidentale, questa battaglia ieri drammatica, a quel che pare l'ha vinta. Le vittorie segnano la soluzione dei problemi che avevano scatenato il conflitto, ma altri, nuovi, ne pongono. Si apre così un nuovo scenario, privo della elementare separazione che consentiva di distinguete le parti, di confrontarle, di contrapporle, naturalmente con tutti i rischi relativi. Viene meno un'enorme semplificazione all'insegna cartesiana del «chiaro e distinto». Nel mondo che inizia non ci saranno più — come non ci sono nelle no¬ stre citta — ne mura ne pomerio, né cardo né decumano, né cattedrale a far da centro. Verosimilmente cadranno sempre più i confini, si elideranno le differenze. 1 benefici sono evidenti. Fin da adesso, in ogni parte del mondo i conflitti locali che erano più o meno direttamente alimentati dal contrasto fra i due blocchi tendono a spegnersi. Domani, è probabile, si sparerà meno, e forse il «benessere» fluirà ovunque. Eppure mi angoscia un mondo in cui tutto diventa più confuso e più incerto. Mi sembra che si vadano radicalizzando ovunque quegli stessi angosciosi problemi che sono cresciuti nell'uomo occidentale contemporaneo privo di precisi riferimenti, di nette alternative, precipitato in un mondo sempre più complesso, in cui tutto coesiste affiancato, sovrapposto, intrecciato, sformato come nel caos: teligioni e laicismi, razionalismi e irrazionalismi, bandiere e rifiuto di bandiere, ogni libertà e ogni burocratico e pubblicitario soggiogamento. Temo che gli interessi, sottfatti all'ipoteca di dovet per lo meno apparire idealità, si scateneranno sempre più: mafie e camorre, corruzioni bianche nere e gialle, droga e riciclaggio internazionale di narcodollari. Crescerà ancora, temo, la disumanità del nostro abitare la terra, il sangue che non si verserà sui campi di battaglia si verserà nei nostri quartieri, nei nostri stadi, lungo le nostre strade, dentro le nostre case. L'idea dell'unificazione del mondo e dell'impero universale ci è stata cristianamente tramandata, anzitutto, come l'idea dell'Anticristo. GIOVANNI SPADOLINI 29 Novembre 1988. Incontro Walesa nel suo fortilizio di Danzica: ancora nel pieno della sua lotta col regime, semiclandestino, niente più che un «tollerato» dall'autorità comunista. Lo rivedo neanche cinque mesi dopo a Roma: latore di un messaggio ufficiale del generale Jaruzelski al Papa, ambasciatore della «nuova Polonia» che è scaturita dell'armistizio — e più che un armistizio — fra il regime comunista e Solidarnosc. «E' vero che lei è candidato alla presidenza del Senato?", domando all'apostolo coraggioso di un movimento sindacale unico al mondo, che è tutto, sindacato e partito, religione e politica, amore per i poveri e amore per la Chiesa. «Ci sono gruppi sociali che esercitano pressioni su di me in questo senso»: ammette Walesa. «Ma io penso che debbo restare con coloro con cui ho lottato». Lo dice con eleganza, quasi con ritegno, senza ostentazioni populiste. «Preferisco imparare, noi siamo dilettanti, abbiamo bisogno di professionisti». E' una reticenza, un tormento intcriore, che non equivalgono a un «no» reciso e assoluto. Il Senato è la novità più consistente della riforma costituzionale polacca. E' il solo ramo del Parlamento in cui si voterà fin dal giugno prossimo, senza condizionamenti, senza riserve, in modo assolutamente libero, a differenza della Camera. Sembra un miracolo. A fine novembre la «tavola rotonda» era ancora lontana. I rapporti fra il regime e Solidarnosc erano tesi ai limiti della rottura, più volte sfiorata, mai raggiunta. Walesa mi aveva detto: «Se potrò pattare in televisione la partita sarà vinta». Venti giorni dopo, c'era il •■siimprevisto del regime, anzi del generale, al confronto televisivo. Col successo strepitoso che ne derivò. Perfino Walesa è un po' diverso. La sua conversazione è diventata più ricca, più curiosa, più arricolata, meno incline al monologo. Rifugge da qualunque ottimismo. Non si chiude nelle frasi fatte. Ma considera che un passo decisivo della storia della Polonia è stato compiuto. E sa che dietro quel passo c'è il rapporto strettissimo fra Jaruzelski e Gorbaciov. Anche Walesa parla di Gorbaciov col massimo rispetto. «Ma ha grandi difficoltà, che crescono giorno dietro giorno», egli aggiunge. E sosta sull'agitazione delle etnie, anche di quelle vicino alla Polonia, senza nessun compiacimento di nazionalista polacco. La situazione economica è il punto debole. II -leader» di Solidarnosc crede solo agli accordi fondati sul capitale misto: «Ci vogliono rapporti di coproduzione diretta fra le imprese». «I polacchi debbono imparare a lavorare meglio». Questo agitatore impavido, che ha sfidato il carcere e la repressione, non ha perduto la testa. «Solidarnosc non è il governo e non vogliamo sostituirci a esso». Sa qual è la parte più delicata della contesa: le misure economiche di austerity. «Abbiamo più problemi checapelli in testa».