Romanov, luce su un massacro

Romanov, luce su un massacro Dalla Russia di Gorbaciov emèrge dopo 70 anni la soluzione di un mistero: la fine della famiglia imperiale Romanov, luce su un massacro Ritrovati da uno scrittore sovietico, in una cantina di Ekaterinburg, i resti di Nicola II, della zarina e dei loro figli Dalla Russia di Gorbaciov sta emergendo la soluzione di un mistero che durava da settant'anni: la tragica fine della famiglia imperlale dei Romanov. Uno scrittore e cineasta sovietico, Gelrj Tra fimovie RJabov, ex funzionario di polizia, ha ritrovato nel "79 i resti di Nicola II e dei suoi familiari, uccisi nella notte tra il 16 e il 17 luglio 1918 a Ekaterinburg (oggi Sverdlovsk) nella cantina della casa dove erano tenuti prigionieri. 'Dopo la rinuncia al trono di Russia, fatta per me e per mìo figlio, l'autorità passa al Governo Provvisorio formatosi per iniziativa della Duma. Voglia Iddio aiutarlo a guidare la Russia sulla strada della gloria e della prosperità-. Con questo messaggio ai russi Nicola n lasciava nel marzo del 1917 il potere a Kerensky dopo la prima rivoluzione cui avrebbe fatto seguito in Ottobre quella dei bolscevichi. Cominciavano per la famiglia imperiale le peregrinazioni fino alla tappa fatale di Ekaterinburg. I Romanov si trasferiscono dapprima nella residenza estiva di ZarsKoje Selo dove, sorvegliati con discrezione da reparti dell'esercito rivoluzionario di Kerenskij, trascorrono ancora un breve periodo tra le parvenze dei fasti imperiali della corte di Pietroburgo. Ma già i primi di agosto Kerenskrj, pressato dai bolscevichi e preoccupato d'altra parte dagli ambienti monarchici, ancora forti specialmente nell'esercito, che preparano un colpo di mano per liberare lo zar e rimetterlo sul trono, decide il trasferimento della famiglia imperiale in Siberia, a Tobolsk. n gruppo che parte alla volta di Tobolsk e formato da Nicola, la zarina Alessandra, l'erede al trono Alexei e dalle altre quattro figlie della coppia imperiale, le granduchesse Olga, Tatiana, Maria ed Anastasia. Alexei, 14 anni, è il più giovane, ma anche il più cagionevole di salute, afflitto da una grave forma di emofilia contro la quale invano hanno lottato medici e «santoni» tra cui il sinistro Rasputin. Le granduchesse hanno rispettivamente 23, 22, 19 e 16 anni. Accompagnano gli ex reali la contessa Hendrikovf, dama di compagnia della zarina, una tedesca di nome Schneider, lettrice di Alessandra, il principe Dolgotukov, maresciallo di corte, il generale Tatiscev, i medici Botkin e Derevenko, i due precettori, svizzero e inglese. Gilliard e Gibbs, il marinaio Nagerny che fin dalla prima infanzia dello zarevic Alexei gli ha fatto da attendente con profonda devozione. Della comitiva fanno anche parte alcuni membri del personale di servizio particolarmente fedeli alla famiglia imperiale. n viaggio si svolge in treno fino aTiumen, qui il gruppo è trasferito sul battello fluviale Rus che percorre i Dumi Tura e Tobol. Il 6 agosto Nicola annota sul suo diario: ~Ieri. prima di pranzo, passammo per Pokrovskoie, il luogo natale di Grigorij'. Il riferimento è a Rasputin, il rozzo monaco siberiano diventato onnipotente alla corte di Pietroburgo ppr le sue presunte facoltà taumaturgiche alle quali per anni la zarina in un crescendo di credulità e di fanatismo aveva affidato le speranze di guarigione dello zarevic, Rasputin è stato assassinato sette mesi prima, vittima di una congiura di palazzo capeggiata da) principe Felix Yussopov. Quando l'ex zar, che da mesi vive immerso in uno stato di apatia cui fa unica eccezione un attaccamento quasi morboso alla famiglia, fa questa scarna annotazione, tutta la famiglia rivive per un attimo il tragico epilogo dell'era Rasputin che ha preceduto di poco la rovinosa caduta della monarchia russa. A Tobolsk la famiglia imperiale arriva il 14 agosto. Le viene assegnato come residenza il palazzo del governatore dove i primi tempi trascorrono in serenità. Risalgono a quel periodo le ultime fotografie dei Romanov conosciute in Occidente: Nicola che fa per hobby lo spaccalegna, Alessandra e le figlie sedute al sole che si dedicano al cucito, Alexei che passa da un genitore all'altro, attorniato dall'affetto di tutti. Da Pietroburgo arriva a Tobolsk il genero di Rasputin. Boris Soloviev, che grazie alla sua parentela con il monaco fa subito breccia nella fiducia della zarina, alla quale promette la liberazione da parte di -trecento buoni russi- che sarebbero sulla strada per Tobolsk. In realtà Soloviev è un profittatore che si fa pagare grosse somme dai filomonarchici e dai nobili, provenienti da Pietroburgo, ai quali promette un'udienza dello zar. Ai monarchici di Vladivostok ha l'impudenza di telegrafare perché tengano pronte per i Romanov due cabine su un piroscafo diretto in Giappone. La frenetica attività di Soloviev è nota ai custodi dei Rornanov: lo lasciano fare ben sapendo quanto le sue promesse siano inconsistenti. Ma anche Soloviev è una prova di come la prigionia della famiglia imperiale sia ancora in quei mesi all'insegna di una certa tolleranza. La popolazione di Tobolsk peraltro, lontana dai centri della rivoluzione, esprime ai Romanov rispetto con frequenti manifestazioni di sou'darietà sotto le finestre del governatorato. Tutto cambia dopo la rivoluzione d'Ottobre, con l'arrivo al potere dei bolscevichi. E' vero che per alcuni mesi i nuovi governanti della Russia sembrano ignorare i prigionieri di Tobolsk, ma i soviet di Ekaterinburg e di Omsk, particolarmente agguerriti, reclamano la custodia del Romanov. Contemporaneamente i prigionieri sono assoggettati a un severo taglio di numerosi generi alimentari. Il 22 aprile 1918, finalmen- te, arriva all'improvviso a Tobolsk Vassili Yacovlev, commissario straordinario con pieni poteri mandato da Mosca. Dietro la figura di Yacovlev c'è un altro mistero che deve essere ancora chiarito. Secondo alcuni egli è stato mandato a Tobolsk da Lenin e Sverdlov, presidente del comitato esecutivo centrale, per condurre la famiglia imperiale fino ai confini occidentali della Russia e lasciarla libera, n piano sarebbe architettato su richiesta dell'ambasciatore tedesco von Mirbach, personaggio in quel momento molto influente a Mosca dopo la firma dell'armistizio di Brest-Litovsk tra i bolscevichi e la Germania, mentre l'esercito tedesco occupa vasti territori della Russia occidentale. Secondo un'altra versione, Mosca avrebbe incaricato Yacovlev della missione, ma contemporaneamente avrebbe ordinato al soviet di Ekaterinburg di arrestare la fuga dei prigionieri. Veri o meno questi retro- scena, pochi giorni dopo Nicola II, la zarina e la figlia Maria vengono caricati su una carrozza che li porta a Tiumen. E' un distacco doloroso dal resto della famiglia dovuto allo stato di salute dello zarevic che non è in grado di affrontare il viaggio, mentre Yacovlev è inflessibile: lo zar deve partire. Da Tiumen il gruppo raggiunge Ekaterinburg in ferrovia. Nella casa del mercante Ipatev il resto della famiglia arriverà il 23 maggio del 1918. Qui comincia il calvario. I militi di guardia sono fanatici bolscevichi, gente rozza del luogo che è convinta di dover far pagare allo zar e alla sua famiglia tutte le sofferenze della Russia prerivoluzionaria. Le vessazioni sono inflitte senza riguardi. I prigionieri sono apostrofati continuamente con parole volgari e oscene, hanno l'obbligo di tenere le porte aperte delle stanze anche quando dormono per consentire una sorveglianza continua e diretta, sono guardati a vista anche quando assolvono alle loro funzioni corporali. Con i Romanov sono rimasti soltanto tre domestici e il medico Botkin. La situazione intanto precipita per la Germania e si allenta anche la pressione dell'ambasciatore tedesco su Lenin. L'impero di Guglielmo n sta crollando e ormai a Berlino nessuno più pensa di salvare la vita almeno di Alessandra, nata principessa di Assia. Nè l'Inghilterra si dimostra più sollecita per la sorte di Nicola, cugino di Giorgio V. La Russia è in piena guerra civile, l'Armata Bianca dell'ammiraglio Kolchak occupa vasti territori e si avvicina minacciosa a Ekaterinburg. I bolscevichi temono che la famiglia imperiale possa essere liberata e che lo zar, rimesso a capo della vecchia Russia, diventi un simbolo potente della riscossa controrivoluzionaria. A questo punto matura in pochi giorni la decisione di sopprimere lo zar con l'erede al trono. Il Soviet di Ekaterinburg rinuncia al primitivo progetto di un processo pubblico a Nicola II con Trockij come rappresentante dell'accusa. I tempi stringono, l'armata di Kolchak è alle porte; il presidente del Soviet Goloshcekin va a Mosca dove incontra Sverdlov: da questi verosimilmente riceve l'autorizzazione a procedere. Al ritorno a Ekaterinburg Goloshcekin convoca il Soviet per una seduta segreta che si conclude con la decisione di uccidere lo zar. In casa Ipatev l'atmosfera diventa più pesante: i rozzi carcerieri di Ekaterinburg sono sostituiti da una squadra di agenti della Ceka (la polizia politica bolscevica) formata da elementi ungheresi, austriaci oltre che russi, tutti militanti comunisti di sicura fede. I nuovi carcerieri limitano ancor di più la libertà di movimento della famiglia imperiale ma si comportano con maggiore discrezione rispetto ai loro predecessori. Allo zar viene detto di tenersi pronto con la sua famiglia per un nuovo spostamento, data la situazione di pericolo in cui si trova la città. La notte tra il 16 e il 17 luglio i Romanov sono svegliati e condotti in uno scantinato della casa con il pretesto di proteggerli dagli imminenti combattimenti nelle strade di Ekaterinburg e di trasferirli prima di giorno in altra località. La testimonianza di uno dei carnefici, tale Medvedev (catturato dai Bianchi e al quale di deve gran parte del racconto degli ultimi giorni dei Romanov), ricorda l'ultimo «gruppo di famiglia» formato dai Romanov nella camera della morte: lo zar e la zarina seduti e attorniati dalle granduchesse, lo zarevic in braccio al padre. Poco dopo Irrompe nella cantina la squadra della Ceka. Gli uomini, armati di pistole, aprono il fuoco a bruciapelo contro 1 prigionieri. Lo zar muore subito, lo zarevic ancora vivo è finito sul cadavere del padre, la zarina è abbattuta mentre abbozza il segno della croce e anche le quattro granduchesse cadono crivellate di colpi. Nel cortile il motore di un camion ha coperto il rumore degli spari. n problema ora è di far scomparire i cadaveri che vengono avvolti in lenzuola e caricati su carrette che vanno fuori Ekaterinburg in una zona abbandonata accanto alla palude. Gettati in una fossa comune preparata in precedenza i corpi sono cosparsi di benzina e di acido solforico con la convinzione che le fiamme e l'azione del corrosivo distruggano completamente i cadaveri. Quando i Bianchi occupano Ekaterinburg, Kolchak affida a Nicolai Sokolov l'inchiesta sulla fine dei Romanov. Le ricerche di Sokolov, l'Interrogatorio di testimoni, sono minuziosi e il suo rapporto, pubblicato successivamente in Occidente, rimane ancora la fonte più attendibile. Ma c'è un punto debole, ed è quello che riguarda i corpi delle vittime. Sokolov non li trovò e perciò accettò subito la tesi che fossero stati completamente distrutti dalle fiamme e dall'acido solforico. Trovò soltanto un dito che si credette fosse appartenuto alla zarina. Questo ritrovamento avvalorò anche le voci secondo cui i cadaveri erano stati fatti a pezzi a colpi di accetta per facilitare la loro distruzione. E il «dito della zarina» diventò una reliquia per i russi fedeli alla monarchia che si erano rifugiati a Parigi. n non ritrovamento dei cadaveri dei Romanov è alla base di settant'anni di ipotesi e di storie fantastiche. Secondo una prima versione, che fu anche sostenuta dalla prima notizia ufficiale da Mosca, la zarina e le quattro figlie non erano state uccise e avevano trovato ospitalità in un convento siberiano, n governo sovietico, nel momento in cui tentava di riallacciare i rapporti con 11 resto del mondo, si preoccupava della propria immagine e certo non traeva giovamento da un eccidio in cui erano coinvolti giovani innocenti come le granduchesse e lo zarevic Alexei. A metà degli Anni Venti, tuttavia, l'eccidio fu ammesso delle Izvestija sia pure con molta reticenza, e sostanzialmente attribuito a un eccesso del Soviet di Ekaterinburg. Ma si tacque che gli esecutori materiali erano uomini della Ceka che dipendevano direttamente da Sverdlov. L'ammissione di Mosca non scoraggiò tuttavia fantasie e intrighi in Occidente. Molti, rifugiati russi o avventurieri di altre nazionalità, ritenevano che lo zar avesse depositate presso banche fuori della Russia ingenti fortune. Se riuscivano a dimostrare che qualcuno della famiglia Romanov era sopravvissuto, quelle ricchezze potevano essere ricuperate. Di qui la lunga vicenda della presunta Anastasia finita in una serie di smentite che tuttavia non convinsero quella parte dell'opinione pubblica europea e americana che continuava a credere nel romanzo giallo-rosa. Secondo altre fantasie altre due granduchesse sarebbero vissute a Firenze e a Parigi. E' anche comparso un personaggio che si dice pronipote dello zar in quanto sua nonna sarebbe la granduchessa Maria, vissuta in clandestinità per decenni. E non si capisce perché questi fantasmi dovrebbero essere rimasti tali per tanto tempo. La scoperta di Rjabov sembra risolvere definitivamente tutti i dilemmi. Egli ha annunciato che il suo rapporto verrà pubblicato in uno dei prossimi numeri della rivista storica 'Rodino». Rjabov ha anticipato che nel '79, autorizzato dal Cremlino, parti con una spedizione definita ufficialmente di «ricerche geologiche» per la zona di Sverdlovsk (l'ex Ekaterinburg). Dopo accurate ricerche in un territorio paludoso presso la città rinvenne a mezzo metro sotto terra i resti dei Romanov. Fotografò alcuni reperti tra cui un teschio con fori di proiettili le cui caratteristiche antropometriche e le protesi dentarie lo facevano attribuire a Nicola n. I resti furono poi rimessi nella fossa il cui interno era fatto di terra annerita dall'uso evidente di sostanze corrosive. Nulla fu detto allora, ricorda Rjabov, perché l'autorizzazione delle ricerche da parte del regime brezneviano era fatta a condizione che si mantenesse il più assoluto segreto sui loro risultati. Si è detto che nel recente incontro fra Gorbaciov e la regina Elisabetta d'Inghilterra il mistero della fine dei Romanov sia stato uno degli argomenti del colloquio. E' difficile dire se la notizia sia vera ma è certo che il leader sovietico vuole cancellare tutti i misteri della storia dell'Urss. E la sua glasnost chiarirà molte cose ma distruggerà anche miti e sogni che per settant'anni hanno alimentato libri, giornali e cinema. Gianfranco Romanello Lo zar Nicola li nella primavera del 1917, prigioniero a Zarskoye Selo, controllato a vista dai soldati. La zarina Alessandra. Le loro quadro figlie: Olga (nata nel 1895), Tatiana (1897), Maria (1899), Anastasia (1901) Marzo 1917: lo Zar lascia il potere a Kerenskij La fuga in Siberia, la morte di Rasputin, l'Ottobre: Jacovlev, inviato di Lenin, decide l'ultima meta dei Romanov L'intervento di Guglielmo II e di Giorgio V non piega il furore dei carcerieri bolscevichi Dopo le angherie, la notte fatale del 16 luglio 1918: come i «giustizieri» della Ceka cercarono di distruggere i cadaveri. m ? Lo Zar insieme con alcuni membri della famiglia davanti al muro di un bagno pubblico. Le condizioni igieniche erano primitive e i Romanov venivano tenuti senza interruzione sotto sorveglianza. Alle ragioni politiche dell'isolamento si aggiunsero quelle sanitarie per un'epidemia di morbillo