Il computer sotto il campanile di Renata Pisu

Il computer sotto il campanile I PRETI D'OGGI; LE MISTERIOSE DIMENSIONI DELLA PARROCCHIA Il computer sotto il campanile «Il calcolatore è uno strumento pastorale», dice don Silvano, a Castel San Pietro, nel cuore dell'Emilia rossa - «Volendo sapere chi festeggia le nozze d'argento, premo un tasto e eccoli qua» - «I comunisti? Quando vado a benedire le case ci sono dei fanatici che mi cacciano via. Ma sono pochi» - «Quella della solitudine del prete è una favola antica» ■ «Fare il parroco è bellissimo» DAL NOSTRO INVIATO CASTEL SAN PIETRO — Microfono in mano, due laici, un uomo e una donna, in piedi a lato dell'altare, leggono gli annunci prima della fine della messa: la gita della prossima settimana, la festa organizzata nel pomeriggio per gli handicappati del quartiere, altre attività parrocchiali benefiche, ticreatìve. La voce maschile e quella femminile si alternano e, sull'ultima battuta di lei, si inserisce la musica che non è sacra e non è classica. Non so che motivo sia ma certo è moderno, facile. Prima è sommessa, poi sale di volume e alla fine dilegua rimanendo in sottofondo. Allora il sacerdote sull'altare annuncia che «la messa è finita». Il sospetto che la funzione si sia svolta secondo regia è fondato, me lo conferma la ragazza dell'Azione cattolica che ha letto gli annunci. «Facciamo sempre le prove», mi dice. Il che va anche bene. Solo che quella che per secoli è stata l'unica rappresentazione davvero popolare — e di grande successo, non ci sono santi a sostenere il contrario — sembra che oggi si vada adattando alle convenzioni di altri mezzi di comunicazione di massa. La televisione per esempio. O sbaglio? Sollevo il dubbio parlando con don Silvano Cattani, parroco di Castel San Pietro, cittadina dell'Emilia di undicimila abitanti che è sempre stata rossa e lo è anche oggi. «Io non la metterei così, ribatte, anche perché noi una coreografia l'abbiamo sempre avuta. Ora, certo, si è fatta più moderna, più svelta. Ma le assicuro io che In quanto a comunicazioni di massa non abbiamo da imparare da nessuno». Su questo non ho dubbi. Domando: e come si comunica con il gregge nel cuore dell'Emilia rossa? Si incontrano ancora le difficoltà di una volta? Don Silvano sorride. E' nato qui, cinquantadue anni fa, e i comunisti li conosce tutti da piccoli. «Non c'è più l'accanimento politico di una volta. Certo, qui ci sono state spaccature profonde, odii che in parte ancora permangono ma i giovani non ne sanno più niente perché con gli Armi Settanta abbiamo avuto la riconciliazione anche se ancora adesso, quando vado a benedire le case, c'è gente che mi caccia via. Sì, qualche fanatico è rimasto, ma qui tutto sommato siamo gente cordiale, che va d'accordo». Con i comunisti don Silvano non ce l'ha su o, per lo meno, non come a sentirlo parlare pare che ce l'abbia con i romagnoli. Mi spiega che lui non ce l'ha su con nessuno ma che Castel San Pietro è l'ultimo baluardo emiliano che fronteggia la Romagna. «Sa, lo si legge anche nel poema di Tassoni, La secchia rapita: "e per tenere 1 suoi nemici indietro, Bologna fe' costruir Castel San Pietro"», declama. Poi mi spiega che il confine tra le due regioni corre a cinquecento metri dalla chiesa parrocchiale e, uno può anche non crederci però è proprio così, se lo si valica, ci si trova tra gente diversa. «Sono tutti sanguigni, attaccabrighe, capipopolo alla Nenni, alla Mussolini», dice don Cattani. Pensare che speravo di trovarmi di fronte a un don Camillo sia pure trent'anni dopo, mentre il parroco mi si presenta come un sostenitore delle piccole patrie; la patria emiliana contrapposta alla patria romagnola. Già. E in effetti che altro potrebbe essere un parroco se non un campanilista? Per questo forse non capila mai, o quasi, che un prete napoletano diventi parroco, mettiamo, a Bergamo; perché è vero che i parroci sono mobili, però lo sono quasi esclusivamente entro i confini della diocesi. «U parroco che viene da troppo lontano è difficile che venga accettato dai fedeli. Bisogna che la gente lo senta come uno che è delle stesse parti, più o meno» sostiene don Silvano. Siamo nel suo studio, un ambiente vecchiotto con una massiccia scrivania di legno scuro intarsiato. Su di una consolle c'è il terminale di un computer. Squilla il telefono. «Sì, cara, mi dica... Ma certo, nessun disturbo... Come? Meglio nel pomeriggio? Va bene, glielo porto io. A domani cara-. Attacca la cornetta e rivolto a me fa: -E' una parrocchiana, ci conosciamo da tempo. Sua madre è costretta a letto e vorrebbe comunicarsi, così le porto il Sacramento a casa. Una volta c'erano un sacco di formalità, con l'ostia consacrata si usciva in processione o almeno preceduti dal chierichetto con l'incenso, il turibolo. Oggi invece io piglio la macchina e vado. Glielo garantisco io, è proprio bello fare il parroco». Don Silvano sorride, sembra proprio soddisfatto. Mi racconta che questa e la sua prima parrocchia, il vescovo gliela ha assegnata due anni fa. prima è stato educatore in seminario, poi si e dedicato per cinque anni al lavoro vocazionale che consiste nell'indagare se chi vuol farsi prete la vocazione ce l'ha sul serio perché ci sono ragazzi che vogliono prendere la tonaca solo in quanto incapaci di affrontare la vita. Fare il prete gli da sicurezza, come avere un posto fisso. Lui rie ha conosciuti tanti di falliti che cercavano rifugio in seminario. Eli ha dissuasi. Oggi don Silvano c finalmente parroco e lo considera il coronamento della sua vita. "Vede, io penso che essere parroco sia l'aspirazione di ogni sacerdote sia che faccia l'insognante, l'impiegato di curia, l'educatore in seminario" E rome si fa a diventare parroci? ..Dipendo dal vescovo. Ti può dire: io ti vedrei bene a fare questo, oppure quest'altro. E si ubbidisce. Ma quando ti dice che ti vedrebbe bene a fare il parroco si è proprio contenti». E perché? -Perché vuol dire avere la possibilità di formarsi una comunità in qualche modo rispondente ai propri ideali. Forse non tutti se ne rendono ben? conto ma il fatto è che il parroco è molto indipendente. Io lo dico sempre che per fare bene il parroco ci vuole una vera vocazione all'autonomia e all'organizzazione, quella al sacerdozio non basta». Con il computer, per esempio, don Silvatio si è autonomamente organizzato. «Sapesse che aiuto, ci ho messo dentro tutti i parrocchiani. Andando a benedire le case ho dato a ogni famiglia una scheda con i dati da riempire e delle domande da rispondere. Così ce li ho dentro pro¬ prio tutti, meno quelli che non hanno voluto essere benedetti, ma pazienza. E poi sono pochi. Su quattromila famiglie, hanno rifiutato venti. Mettiamo che voglia sapere quanti e chi sono i nati nel 1979 che devono frequentare il catechismo. Schiaccio un tasto e eccoli qua Bello, vero? La stessa cosa faccio se voglio sapere quali sono le coppie che quest'anno festeggiano le nozze d'argento o d'oro. L'ho fatto per la prima volta l'anno scorso. Ho mandato a tutte le vecchie coppie che compivano cinquant'anni di matrimonio una lettera per invitarle a far festa in parrocchia dove ho organizzato un rinfresco. Sapesse come erano commossi, proprio con le lacrime agli occhi. Insomma, il computer è uno strumento pastorale, non c'è niente da dire, ogni epoca ha i suoi, noi abbiamo questo». Ogni campanile il suo computer, ogni parrocchia la sua banca dati, mi vien fatto di pensare. Ma poi, a ben pensarci, perché no? Inoltre, laicamente parlando, è o non è la parrocchia ancora un centro di potere come lo era sicuramente una volta? «No, no. Oggi è prima di tutto un centro di spiritualità», corregge don Silvano, il quale però organizza lezioni, corsi per volontari, gite, campi scuola estivi, cosicché non è facile distinguere tra spirituale e mondano. «Qui il partito comunista ha il potere assoluto e io non mi pongo di certo il problema di esercitare un potere in qualche modo alternativo. Mi sono posto però il problema di un rapporto corretto con l'amministrazione comunale, dice don Silvano. Con il sindaco ci conosciamo da tempo. Se una cosa va bene, glielo dico, se va male glielo dico pure. Ha permesso che della piazza davanti alla chiesa si facesse un parcheggio. Glielo ho detto che è un orrore ma lui mi ha risposto: si, ma non voglio mica perdere dei voti. Capito? Se si pensa solo ai voti non si possono mica fare le cose bene. E poi non mi vuole dare un'area per costruire una nuova chiesa, fuori dalle mura, dove c'è un quartiere nuovo. Questa e una cosa molto scorrotta. E io lo so perche fa cosi. Perche a qualcuno non piace che là ci sia un segno religioso, nonostante la pacificazione c'è ancora gente che vede la religione come potere. Chiesa. preti, democrazia cristiana, per loro è tutta la stessa roba. E io gli dico: guardate che non veniamo mica a portarvi via niente. Non mi vogliono credere. Che posso farci?». Don Silvano sospira. A questo punto mi scuso per l'indiscrezione ma devo proprio fargli una domanda personale: soffre di solitudine? Mi risponde: «Oddio, no, proprio no. Questa della solitudine del prete è una favola antica, collegata al celibato. La gente dice: il prete non ha moglie, non ha famiglia, quindi è isolato». Propongo di lasciare da parte il problema del celibato che con tutti i singles che ci sono adesso per volontaria sceVn — come d'altronde lo è quella di fare il prete — non mi pare più tanto un problema. Parliamo invece di quella solitudine che nasce dal fatto che si ha qualcosa dentro che non si riesce a comunicare. «Certo, quella solitudine la può sentire anche un prete come la sente chiunque altro. Che si può fare? Certi si angosciano, altri tentano di soffocarla con la superficialità di rapporti stordenti. Ma si può anche imparare a convivere con se stessi aprendosi alla speranza e quando uno ha deciso di fare della sua vita un dono, può anche sentirsi di tanto in tanto solo ma di solitudine non soffre in modo lancinante. E poi oggi i tempi sono cambiati. Forse il prete si sentiva più solo una volta, quando magari era assegnato alla parrocchia di un paesino sperduto senza neanche, si fa per dire, il farmacista per chiacchierare. Oggi però ha l'automobile. Se vuol fare quattro chiacchiere con qualcuno, piglia e va». Prendo congedo da quest'uomo che tendendomi la mano mi lancia il suo ultimo messaggio: -Fare il parroco è bellissimo!». So, perché me l'ha raccontato luì, che è entrato in seminario quando aveva dieci anni, nel 194S. e che vi e rimasto fino a due anni fa. prima educando poi educatore, quando Ita avuto finalmente la sua parrocchia. Cosi credo di intuire come mai il nuovo mestiere gli piaccia cosi tanto, senza dubbi, senza riserve. O ce per caso qualche ombra? domando strìngendogli la mano. -Fare il parroco è bellissimo- mi ripete ancora una volta. Per convincersi? No. Per convincermi, suppongo. Renata Pisu

Persone citate: Cattani, Mussolini, Nenni, Silvano Cattani, Tassoni

Luoghi citati: Bergamo, Bologna, Emilia, Romagna