Quando il tasso raddoppia di Mario Salvatorelli

I nostri soldi di Mario Salvatorelli I nostri soldi di Mario Salvatorelli «Passando davanti a ima vetrina in Torino il mìa sguardo veniva attirato da un accattivante cartello, unnimi Unite la possibilità d: finanziamenti per acquisti "in luco" all'interesse del ') per cento, quest'ultimo scrittti a caratteri cubitali. A esemplificazione di t/uaniu affannato venivano citati vari tipi di rateazione, dì cui riporti) per sempiii ita il casti di restituzione a 12 mesi». E il lettore C. P.. di Piossasco dorino), riferisce, in ba>e al cartello, che un finanziamento di 5 milioni si può restituire in 12 rate mensili da -154.200 lire, per un totale, a line anno, di 5 milioni 450 mila 40(1 lire, «quindi un maggior importo di 450.400 liri: che su 5 milioni sono pari, effettivamente, ni 9 per cento-. Ma. osserva il lettore, «esiste una Mia differenza tra il restituire in ur.a sola trance a un unno quella somma, oppure restituirla in 12 mie mensili In questo secondo mudo l'interesse finanziano realmente applicato risulta con leggera approssimazione del 18 per cento, in quanto la sommatoria delle rate è comparabile u un'unica trance versata ti meta del periodo tf> mesi nel nostro caso), per cui l'interesse su base annua raddoppia». Abbiamo provato a controllare i conti (scrivo «abbiamo» perche mi sono giovato dell'aiuto di un esperto in questi calcoli con il computer, a scanso di errori). Risultato: il tasso che corrisponde a questa serie di pagamenti mensili, a fronte di un capitale di 5 milioni, è il 16,23 per cento. Il lettore aggiunge di volere, con questo, «mettere in guardia il potenziale e distratto acquirente che nuigari accetta U finanziamento senza effettiva necessità, pensando di fare una speculazione (per esempio pagando in quel negozio con il suo denaro e investendo il prestito in titoli di Stato all'i 1-12 per cento), perché crede di pagare solo il 9 per cento sui milioni del finanziamento-. Quando il tasso raddoppia Chiarito, cosi, l'eventuale «equivoco» a chi volesse speculare sul finanziamento, sarebbe bene che anche il finanziatore chiarisse, a sua volta, quali sono effettivamente le condizioni orterte. Penso che potrebbe ottenere gli stessi risultati anche con la «trasparenza». A proposito di titoli di Stato, motivo ricorrente in questa posta con i lettori, l'ingegner Claudio Bonci mi scrive, da Ferrara: «Ho sottoscritto tre anni fa alcune quote di un fondo comune, ma non ne sono affatto contento. I miei risparmi (non molti), prima e dopo la sottoscrizione di quel fondo sono stati investili in Cd. lo non eredo che possano essere congelati, ma, vista l'entità del debito pubblico, non sono tanto sicuro che non si volatilizzi no, come è successo a mia madre nel '45 per i suoi Buoni del Tesoro. In questi tempi le banche invitano a sottoscrivere Certificati di deposito. Il rendimento offerto è abbastanza buono, paragonabile a quello dei Cd: rispetto a un eventuale collasso dell'azienda Italia, i Certificati come si comporterebbero?». Premetto che il rendimento dei Certificati di deposito non è «paragonabile a quello dei Co», perché questi ultimi possono raggiungere un rendimento netto superiore al 10, anche all'I 1 per cento, mentre i Certificati di deposilo hanno un rendimento netto che oscilla tra P8 e il 9 per cento, ambedue scarsi, a seconda se hanno una ritenuta fiscale del 25 per cento (Certificati a 3, a 6 e a 12 mesi), oppure del 12, 50 (Certificati a 18 mesi). Detto questo, però, e certo che in questi ultimi tempi (diciamo da tre anni a questa parte) i Certificati di deposito emessi dalle banche riscuotono un crescente successo sui mercati finanziari: come ricordava la Relazione del Governatole all'Assemblea della banca d'Italia del maggio scorso, «le emissioni nette di Cd nel 1987 sono state pari a 10.500 miliardi circa un terzo dell'intero flusso annuo dei depositi, e nel primo trimestre '88 esse sono risultate di 11.400 miliardi circa (contro 7900 nell'analogo periodo del 1987)». E osservava, poi, che l'incidenza dei Cd sul totale della raccolta bancaria era passata dal 6,1 all'8.5 per cento. C'è da scommettere che ormai avrà superato il 10 per cento, segno di fiducia del pubblico, di agilità e buon interesse dell'investimento. Quanto al «collasso dell'azienda Italia-, ogni paragone con il '45 è assolutamente fuori posto, visto che allora era appena finita una guerra mondiale. Basti dire che il debito pubblico inglese sali allora al 200 per cento del prodotto interno lordo, e oggi è sceso al 46 per cento. E' vero che il nostro sfiora ormai il 100 percento del «pil», ma da questo al collasso c'è, per fortuna, il mare di mezzo. In ogni caso, parlando in linea puramente teorica, i Certificati di deposito delle banche non hanno nulla a che fare con il debito pubblico.

Persone citate: Chiarito, Claudio Bonci

Luoghi citati: Ferrara, Italia, Piossasco, Torino