Cambogia, il buio dopo i Viet di Fernando Mezzetti

Cambogia, il buio dopo i viet Il regime ha già distribuito fucili e pistole nei villaggi per scongiurare il ritorno dei khmer rossi dopo il ritiro di Hanoi Cambogia, il buio dopo i viet II premier Hun Sen sogna un rilancio economico alla thailandese ■ Phnom Penh, tuttavia, resta poverissima e i ribelli sono ancora una grave minaccia - «Ma abbiamo ricostruito uno Stato, il 40% della popolazione oggi va a scuola» - Dalla Francia focili agli uomini di Sihanouk DAL NOSTRO INVIATO PHNOM PENH — La domenica la gente va a visitare il complesso del palazzo reale che fu di Sihanouk. costruito a fine secolo dai francesi per il suo avo, immortalato a cavallo in divisa e posa napoleonica sotto un tetto a pagoda. Con sbalordimento percorre gli ambienti restaurati dopo le devastazioni dei khmer rossi, le sale di ricevimento in splendente falso Luigi XVI, quella dell'incoronazione, gli ombrelli dorati per difendere Sua Maestà dal sole e i ventagli dal lungo manico con cui i cortigiani lo rifrescavano. Religiosamente varca la soglia della Pagoda d'argento, uno dei pochi templi rimasti intatti, davanti al quale i timori ancestrali furono nei khmer rossi più forti della furia distruttrice: pavimentata con 5281 mattonelle in argento puro, di un chilo ciascuna, fatte fare naturalmente in Francia, custodisce un Budda di 90 chili d'oro massiccio con 9584 diamanti. Poco distante, davanti al fiume, sorge la grande struttura di quello che avrebbe dovuto essere l'Hotel Cambogiano, la cui costruzione si fermò quando il principe fu fatto fuori, nel 1970. Scheletrico e grezzo, le finestre nude come una successione di occhi sbarrati, il palazzo incompiuto ai piedi dei cui piloni' si ammucchiano detriti in spazi concepiti per sontuose sale, sembra rappresentare la fine del sogno di Sihanouk; dei suoi equilibrismi per una finta, impossibile neutralità nell'Indocina insanguinata degli Anni Sessanta; di una Phnom Penh che ricca di storia e povera di geografia cercava riparo dagli eventi nell'operetta, con le richieste ai corrispondenti di guerra provenienti da Saigon di presentarsi a palazzo solo in frac, se non. in accessi di capricciosa perfidia, in marsina. Se per salvare il principio di non intervento da dieci anni il mondo si trova a dover di fatto sostenere dei mostri come gli uomini di Poi Pot nella coalizione antivietnamita lo si deve anche al Sihanouk di quell'epoca: nel timore di dover prima o poi cedere parte del potere a una borghesia nascente non aveva esitato a coltivare lui stesso i khmer rossi. , Ai giardini pubblici adesso giovani mamme dilapidano parte dei magri salari per una piccola spesa: far fare ai bambini un giro in groppa a elefanti ammaestrati. E' forse il più semplice ma significativo ritorno alla, normalità di gente che solo 12 anni fa era stata trasformata in popolazione della giungla. In miseri baretti un po' più distanti, verso il fiume, nella zona sotto un ponte a suo tempo fatto saltare e adesso ancora li. diviso a metà, aspettano clienti le prostitute calate da Saigon. Popolata di queste ragazze nel periodo americano, la vecchia capitale sudvietnamita è di nuovo allo stésso punto dopo dieci anni di socialismo. Nella quieta giornata do¬ menicale, tutto indica un'esistenza tranquilla, confermata dall'attività dell'Alto commissariato Onu per i profughi: fino a ieri si doveva occupare di chi fuggiva, oggi di chi vuole rientrare. Resterà tutto cosi anche dopo che a fine settembre se ne saranno andati i vietnamiti, come è stato annunciato nei giorni scorsi? Questo regime da loro installato non crollerà come un castello di carta, rivelando la sua vera natura di regime fantoccio, sotto l'urto della guerriglia? ••No, non crolleremo — dice sicuro il direttore dei servizi stampa del ministero degli Esteri, Chum Bun Rong, 40 anni —: non siamo fantocci di Hanoi anche se siamo grati al Vietnam di averci libe¬ rato del regime di Poi Pot. In questi anni abbiamo ricostruito uno Stato. La nostra moneta circola in tutto il Paese, perfino più solida di quella vietnamita, il quaranta per cento della popolazione va a scuola. Il popolo è con noi. A parte le forze armate abbiamo costituito una milizia popolare. 500 mila uomini in tutti i villaggi, ai quali abbiamo distribuito armi affinché si difendano anche da sé contro i polpottisti. Questi non sono che bande armate, come nelle Filippine. Ma nessuno nega legittimità allo Stato filippino, mentre a noi viene negata-. La Francia, intanto, sta consegnando armi leggere alle truppe del principe Norodom Sihanouk, capo del fronte di resistenza anti-viet. Secondo Bangkok, da cui è filtrata l'indiscrezione, due forniture sono già avvenute nelle ultime settimane e una terza è imminente. La consegna di armi e munizioni sarebbe avvenuta direttamente ai ribelli nei pressi della frontiera cambogiana, con 1* assenso delle autorità thailandesi. L'iniziativa francese giunge in un momento in cui a Bangkok circolano voci secondo cui gli Stati Uniti stanno intensificando gli aiuti segreti alle forze della guerriglia non comunista e prelude a un ulteriore irrigidimento Parigi-Phnom Penh: la Francia non ha infatti relazioni diplomatiche con il regime cambogiano, venuto al potere nel gennaio 1979. Alla luce di questi eventi, si comprende come le autorità cambogiane stiano armando i villaggi, nel timore di una controffensiva. Nello stesso tempo, si tratta con la guerriglia, e non certo per le pressioni dell'opinione pubblica internazionale, ma perché i ribelli non sono stati sconfitti. Secondo gli ottimisti, il governo di Phnom Penh controlla il 90 per cento del territorio — dice il generale Tran Cong Man, direttore del quotidiano delle forze armate di Hanoi —, per i pessimisti, il 70. In ogni caso controlla le città e i punti strategici. Perciò dopo il nostro ritiro reggerà. La guerriglia è solo sulle montagne, ha grandi forze, costantemente reclutate col terrore nei campi profughi in Thailandia, ma disperse. Non è in grado di lanciare vere offensive occupando posizioni importanti, ma solo di fare banditismo-. Questo banditismo- è costato al Vietnam ufficialmente 52 mila uomini in dieci anni tra morti e feriti, più il peso economico per mantenere qui un'armata fino al 1988 di 200 mila unità, ora ridotta a 50 mila. Chi combatte in Cambogia, spiega il generale, ha un soprassoldo del 40 per cento: in tutto 50 mila dong al mese ( 15 dollari) per un tenente, 5600 la truppa, neanche due pacchetti di sigarette. Ma non sono né le perdite né gli oneri economici a spingere il Vietnam al ritiro: sono il riawicinamento Mosca-Pechino e la crescente insofferenza della sua tutela da parte della popolazione. Come dice un intellettuale di formazione europea, che non si può nominare, «i£ Vietnam ha cercato di correggere la storia, nella quale è il nemico secolare della Cambogia. Ma non è riuscito a far capire alla gente che voleva soltanto cacciare la dirigenza filo-cinese. I vietnamiti continuano ad essere considerati nemici ancestrali, ladri di terre-. Privo di un occhio perduto in battaglia e ricco di fiuto politico, il primo ministro Hun Sen, 37 anni, sa che la sua legittimazione sta soprattutto nell'autonomia dal Vietnam, non solo nella libe- ralizzazione economica che ha rivitalizzato il Paese facendolo pendere verso la Thailandia. Scomparsi dai ministeri 1 consiglieri a suo tempo calati da Hanoi, nelle scuole è stato reso obbligatorio l'inglese; per mancanza di testi e insegnanti, bruciati gli uni sterminati gli altri, all'istituto di Agraria l'insegnamento è in vietnamita, ma in quasi tutti gli altri è in francese. Vista da qui, la perestrojka appare come un Comintern all'inverso: non più socialismo in un solo Paese-, ma ricompattazione mondiale delle forze comuniste, specie dove hanno subito smacchi politico-sociali, come in Vietnam e in Cambogia, per un rafforzamento generale del socialismo; per salvarsi, queste rivoluzioni si mondano dell'immagine repressiva, se non feroce, cercandone una più umana. Potendo, la Cambogia attuale con questa stessa dirigenza non si fermerebbe qui, andrebbe avanti in altre direzioni, magari verso una neutralità in orbita thailandese. Ma pesanti incognite e condizionamenti pesano sul suo futuro più che sul suo presente. La tragedia favorita dall'antagonismo Mosca-Pechino, l'ascesa dei khmer rossi, è ancora una minaccia: un'intesa tra i due Grandi al di sopra del Vietnam potrebbe anche portare all'accordo tra il regime e la guerriglia, ma nulla promette che possa durare. Assente dal Paese da ormai ventanni, Sihanouk significa sempre meno all'interno, per cui a regolare i conti in sospeso resterebbero solo i khmer rossi e Hun Sen, proveniente dalle loro file: due parti più use a maneggiare mitra che protocolli negoziali. Quale sia l'accordo che possa uscire dalle trattative, si rivelerà comunque precario. Per fattori intemi e internazionali, la Cambogia ha davanti un destino di Libano indocinese, con o senza gli osservatori della Commissione sull'Indocina riesumata dal Vietnam, con o senza i Caselli blu Onu che gli altri reclamano. Queste tranquille domeniche di una Phnom Penh pur non pienamente padrona di sé potrebbero forse essere le ultime. Fernando Mezzetti