Sotto il vestito il 1993

I giovani stilisti italiani e il mercato unico: chi vince, chi perde, chi spera I giovani stilisti italiani e il mercato unico: chi vince, chi perde, chi spera Sotto il vestito il 1993 ANCHE per la moda italiana la corsa è cominciata: il mercato unico europeo del '93 non aspetta, e per non restarne esclusi bisogna attrezzarsi in tempo. Le aziende maggiori sono ottimiste. Un abbattimento delle frontiere non può che giovare alla grande industria dell'abbigliamento: meno pastoie burocratiche, niente dazi da pagare, riduzione dei costi di trasporto, spedizioni rapide. Tutto positivo. Inoltre la moda italiana da anni ha colonizzato 1 mercati europei, quindi il futuro non dovrebbe riservare grandi sorprese. Però occorreranno alcuni cambiamenti, anche se la concorrenza non sembra suscitare grandi paure: ci si confronta con la moda francese e si cerca di analizzare obiettivamente quella tedesca che incalza con manufatti prodotti in Oriente a prezzi irrisori. Ma non sarà facile per tutti. Che cosa significa per gli stilisti emergenti o appena emersi, per le aziende che producono la cosiddetta Compaenia SARTI, cucite sulle giubbe dei soldati file di bottoni, così la smetteranno di pulirsi il naso con le maniche!». Se fu la regina Elisabetta alla fine del '500 o Napoleone Bonaparte alla vigilia di Waterloo, ad impartire quel bizzarro ordine, poco importa. Perché, se la lezione è servita e il «brutto vizio» scomparso, i bottoni no. Quelli hanno resistito. Sono diminuiti di numero d'accordo, ma quei due o tre tondini, all'altezza dei polsi, sulle maniche delle giacche, sono, senza ombra di dubbio, reminiscenza di quei regi passati. A raccontare l'aneddoto è Vittoria de Buzzacarin, veneziana, saggista di moda, che sui bottoni sa tutto. Una passione cominciata quando le capitò fra le mani la patata bollente di scrivere un libro sull'argomento per inserirlo nella collezione «Novecento, storie di moda» (72 volumi editi dalla Zanfi di Modena). «Un compito difficilissi- • mo», dice lei, «perché noni esiste una storiografia sull'argomento, almeno in Italia, e, se esiste, è materiale non recente e riguarda bottoni preziosi, da collezione», n testo non è ancora stato scritto ma Vittoria de Buzzacarin ha raccolto molto materiale e stuzzicarla a raccontar qualcosa per saperne di più sui bottoni è un piacere. moda d'avanguardia, un mercato domestico di dimensioni continentali, con 320 milioni di potenziali clienti? I giovani creatori dovranno accontentarsi delle briciole, oppure faranno un salto di qualità aumentando le vendite? E quali sono le loro filosofie, i punti di vista, le strategie? Non si può generalizzare: ogni stilista deve fare i conti con la propria realtà, i propri mezzi e obiettivi. Stefano Dolce e Domenico Gabbana, ovvero Dolce e Gabbana, da quattro anni sul mercato, sono un'azienda semi-familiare: il padre di Domenico, Saverio Dolce, produce l'intera linea dei due a Busto Arsizio. La scorsa stagione hanno venduto 40 mila capi in tessuto e 80 mila in maglieria. Non male per una griffe in crescita che ad ogni stagione quasi raddoppia gli ordini. I due ragazzi Dolce e Gabbana vendono bene, oltre che in Giappone e in America, anche in Germania, Francia, Inghilterra. In Spagna hanno difficoltà, un po' come tutti, dovute al ricarico do¬ ganale del 15 per cento sulla merce. Da quest'anno hanno deciso di aprire uno show room a Madrid con un partner spagnolo, una società di sole donne che si chiama «Moda and Company». «Questo per prepararci al '93, quando il dazio del 15 per cento verrà eliminato. Nel frattempo il nostro partner raduna gli ordini, così limitiamo il numero delle spedizioni». Dolce e Gabbana sono noti non soltanto per le loro collezioni femminili dal gusto mediterraneo, anzi decisamente meridionale, ma anche per la capacità di assicurare una sorpresa in ogni capo. 1 loro sono modelli trasformisti, dai mille volti, maglie che diventano gonne, gonne che diventano vestiti annodando o tirando lacci. Il prodotto di Dolce e Gabbana, così dicono i due creatori, non può essere scorporato, nell'insieme crea un'Immagine precisa. Ciò significa che a Hong T""ng e New York, come a Napoli e Milano, vendono le stesse cose, e cioè un'idea, una filosofia. Se piace bene, linee giovani. Dice: «Due sono i nostri atteggiamenti, in vista del '93. In primo luogo una politica di prezzi contenuti per privilegiare già da adesso l'acquirente estero. In Spagna abbiamo un partner che produce, su nostri disegni, tutte le linee di Compagnia delle Pelli. E nel '93 prenderemo in esame se continuare a produrre in Spagna o qua. H secondo atteggiamento sta nella diversificazione dei marchi per raggiungere più fasce di utenti». L'anno scorso la Compagnia delle Pelli ha fatturato 18 miliardi «Nel *93 aumenteremo le vendite ma non le raddoppieremo di certo», ammette Paolo Severi, convinto che i grandi marchi faranno ottimi affari, mentre l'avantgarde spinta, o si ridimensionerà o non farà quattrini Un punto fondamentale rimangono i servizi, la capacità di rifornire i negozi in tempi record. In Germania sono maestri: da 15 giorni a 6 settimane per consegnare la merce ordinata, non un giorno di più. Da noi non è così, la puntualità è rara. sennò niente. «Come lo zucchero, è uguale in tutto il mondo», sostengono. E aggiungono: «n futuro della moda non è solo nel prodotto, nella qualità e nei servizi, ma soprattutto nelle idee. La gente compra meno abiti, anche perché sono cari; vuole novità». Vendere lo stesso prodotto in tutto il mondo è un grande punto di forza che non tutti possono vantare. Anzi, certi creatori si chiedono come sia possibile. Di solito un'azienda crea i modelli per l'estero con particolari accorgimenti, tagli e modellature differenti perché bisogna tener conto dei gusti, della clima, della conformazione fisica degli acquirenti che varia sensibilmente da Paese a Paese. «A volte da regione a regione», sostiene Ermanno Daelli, milanese di nascita ma fiorentino d'adozione, che ha appena esordito con la nuova linea uomo dopo 5 anni di solo prèt-à-porter femminile. La prospettiva di un mercato continentale entusiasma Daelli che però adesso punta sugli Stati Uniti dove vende bene e può contare su un notevole ritorno d'immagine. «Se sfondi negli States, sfondi dappertutto», spiega. Ma avanguardia significa avere coraggio, e tanto. Secondo Daelli, in vista del mercato unico, i giovani stilisti italiani, ma anche quelli già affermati, dovrebbero unirsi: tutelarsi in un consorzio come hanno fatto i francesi. «Laurent, Lagerfeld, Lacroix e altri seguono le sfilate dei colleghi, si frequentano, si confrontano. Noi no: prova tu, stilista, ad andare alla sfilata di un concorrente! Qui non si tratta di copiare le idee dell'uno o dell'altro ma di tutelarsi per consolidare il gusto e l'immagine, così anche i compratori ci possono poi identificare in un nucleo capace di assicurare certe garanzie di prodotto. E visto che l'avanguardia è la moda del domani perché non prepararla come si deve?», conclude Daelli. Paolo Severi è l'esperto commerciale della Compagnia delle Pelli, azienda di Empoli che produce varie «n nostro è un mercato di uova fresche, oggi la collezione vale tanto, domani è già superata, la si deve vendere a peso allo stocchista», racconta Carlo Zuccoli, responsabile dell'azienda fiorentina Gibò che produce le linee della spagnola Sybilla, del francese Jean-Paul Gaultier e del belga Blkkemberg, tre giovani stilisti stranieri che hanno scelto un'azienda produttrice italiana anche per assicurare un'adeguata distribuzione delle loro collezioni. «La qualità e la velocità nell'arrivare in negozio è importante. Non credo però al ribasso dei prezzi, certo bisognerà contenerli. Oggi in proporzione è più caro il prodotto medio che quello di pregio», dice Zuccoli. La Gibò esporta il 55 per cento della sua produzione e l'anno scorso ha fatturato 50 miliardi. «Un domani sarà comunque un grosso risultato non registare perdite» sostiene Zuccoli. Ma alla Gibò quali mercati interessano? «Quello europeo naturalmente». Antonella Ama pan e Do'«& Gabbana Se ne andò. Ma dopo due piami chiamò Fratti annunciandogli che aveva lavorato giorno e notte per creare un capo adatto a quel bottone. Tale era dunque l'importanza del piccolo oggetto rotondo che, nel libro dalle superstizioni, è menzionato in un paio di situazioni: -se al mattino non allacci la camicia o la giacca nella maniera giusta inizierai una brutta giornata-, oppure: -se per terra troverai un bottone, molto presto farai una nuova amicizia-. Superstizioni a parte, si diceva comunque che il mercato dei bottoni, è da qualche anno a questa parte ritornato in auge. Lo hanno anche confermato i dati resi noti a! 14° salone internazionale del -Bottone, materia prima, macchine e affini» di Piacenza: nel 1968 il volume di affari è stato di 223 miliardi, il 29 per cento in più rispetto al 1987. Alla Fiera, che si è conclusa il 5 aprile, sono inoltre state esposte le collezioni private di Giuliano Fratti, Vittoria de Buzzacarin e dell'azienda Liette: centinaia di bottoni, raccolti qua e là, che testimoniano la storia infinita di questo oggetto. E' inutile però chiedere agli antiquari stime o prezzi. -E' un settore particolare, difficilmente trattato e il prezzo lo fanno, in un certo senso, gli amatori». P- P-