Henry James inquilino del Canal Grande di Angela Bianchini

Henry James inquilino del Canal Grande Pubblicate le lettere da Palazzo Barbaro scritte negli anni del «Carteggio Aspern» Henry James inquilino del Canal Grande IN uno dei saggi di Ore italiane. Henry James osservò che Venezia rivelava appieno le sue bellezze soltanto a chi vi •indugiasse-: «Vien voglia di abbracciarla, di carezzarla; e nasce infine un dolce senso di possesso e la visita si trasforma in un amore etemo». Sono parole profetiche perché da lì a pochi anni, e precisamente nel 18S7, Henry James avrebbe trovato il rifugio ideale per portare avanti il suo love affair con Venezia: Palazzo Barbaro ormai dimora dei suoi amici bostoniani, Daniel e Ariana Curtis. Lì il romanziere soggiornò parecchie volte, ospite dei Curtis. Proprio nel 1885, il «palazzo discreto, dai muri spessi, con due straordinarie sequenze di finestre gotiche», che aveva conosciuto grande splendore nel Quattrocento, trovò i suoi amatori che lo restaurarono con molta dignità. I Curtis erano amici non solo di James e della mecenate Isabelle Stewart Gardner, che dai Curtis periodicamente affittava il palazzo, ma anche di Robert Browning e della cugina Mrs. Bronson, che per più di vent'anni abitò a Casa Alvisi di fronte a Santa Maria della Salute. I rapporti tra la società anglosassone e quella veneziana sono fitti e complessi e hanno, in confronto a quelli anglofiorentini, anche un tocco di esotismo in più. A Palazzo Capello abitava un altro habitué del Barbaro, il diplomatico Henry Layard, lo scopritore di Ninive, che possedeva una splendida collezione di quadri e la cui moglie portava un collier fatto di sigilli della Mesopotamia, come dimostra una ricerca recente (Austen Henry Layard tra l'Oriente e Venezia, a cura di F.M. Fales e BJ. Hickey, edito da L'Erma di Bretschneider). Un che di misterioso, seppure diverso, traspare anche dall'antologia di Rosella Mamoli Zorzi che sta per uscire ora nelle edizioni di Rosellina Archinto (Henry James, lettere da Palazzo Barbaro, 1869-1907, presentazione di Leon Edel, pag. 122, lire 24.000): vi è qui tutto materiale inedito per l'Italia, con alcune lettere mai pubblicate neppure in inglese. In questa raccolta la voce più forti., eliche se sottilmente ambigua, è quella di James che con Venezia ebbe un rapporto tortuoso, più complicato di quello, parai ,u, che lo legò a Firenze e a Roma. Dopo il primo viaggio italiano del 1869 in cui James affermava di non volersi ancora arrendere al fascino di Venezia, dal 1887 in poi predomina Palazzo Barbaro. E' del 1892 un sog¬ giorno di luglio, sempre al Barbaro, quando, sistemato il letto «nella divina antica biblioteca», lo scrittore può contemplare quel soffitto, con il gioco dell'acqua sugli 'arabeschi e medaglionU che incorporerà nelle Ali della colomba Ma il sogno accarezzato alla fine degli Anni Ottanta di possedere anche lui «an piede-in-acqua> a Venezia si infrange bruscamente nel 1894. Aveva preso dimora a Venezia una scrittrice americana. Constance Fenimore Woolson, nipote di James Fenimore Cooper, conosciuta fin dal 1880 a Firenze. C'erano parecchie cose a unire i due scrittori americani: e vivendo uno accanto all'altro a Bellosguardo, sopra Firenze, James aveva dato inizio al Carteggio Aspern che terminò poi a Palazzo Barbaro. E può darsi che nel rapporto tra il narratore e Miss Tina, la zitella inglese che in cambio delle carte del suo avo Jeffrey Aspern vorrebbe l'affetto del giovane studioso americano, ci sia il ri/lesso dell'amicizia un po' ossessiva di Constance per James. Certo è che Constance si attendeva di incontrare Henry a Venezia e li si trovava fin dalla fine del 1893 murata in una solitudine e sordità crescente. Invece, si ammalò d'influenza e in una notte di gennaio si lanciò oppure cadde dalla finestra di Palazzo Semitecolo. Suicidio o disgrazia, il gesto suscitò in James una vera frenesia e, piombalo a Venezia dopo due mesi, non ebbe pace finché non ebbe tolto di mezzo le carte e perfino i neri abiti dell'amica, insomma, i segni di una dimestichezza che si era spenta, gelata, come ormai gli appariva -l'aria di Venezia-. La storia della Woolson finisce tutta in materiale romanzesco: fu infatti sepolta a Roma, al cimitero del Testacelo, proprio nel luogo che Henry James aveva immaginato come la tomba della bella Daisy Miller nell'omonimo romanzo, «sotto i cipressi e i fitti fiori di primavera». E, nelle parole di Rosella Mamoli Zorzi, il rapporto di James con Venezia sì ristabilì «soltanto col tempo e soprattutto soltanto dopo che l'esperienza dell'incanto di Palazzo Barbalo» si fuse con quella della Woolson. sfociando nelle Ali della colomba, l'ultimo, più alto omaggio a Venezia. Ma forse a Venezia non finisce mai nulla e, grazie a quest'antologia su Palazzo Barbaro, padroni di casa, amici e inquilini continuano tuttora a parlarsi nel brusio controllato, sommesso e un po' misterioso, tipico delle conversazioni jamesiane. Angela Bianchini