Ardenzi, il padre padrone

Ardenzi, il padre padrone INTERVISTA / Il più grande impresario del teatro privato italiano Ardenzi, il padre padrone Ha esordito come cantante di Angelini ed ha recitato con Gassman e Ruggeri prima di passare dall'altra parte del palcoscenico ROMA — E' ancora un sogno per ora, ma è quello che più lo appassiona adesso, e non è detto che non riesca a realizzarlo anche presto: portare la gente a teatro col computer delle banche. -Sì, come per le bollette del telefono o della luce. Passi per una qualunque banca della tua città, scegli lo spettacolo teatrale tra i vari in programma, sul video compare la piantina dei posti disponibili, prenoti, paghi e te ne vai col biglietto-. Parla con voce modulata, si agita misurato sulla poltrona, e fa abbondante uso di gesti, come se il computerino magico fosse già li sulla sua scrivania. Forse recita un po' anche lui, Lucio Ardenzi. Ma come non perdonarlo, dopo trentacinque anni passati dietro e sopra le quinte, a scegliere e creare attori, lanciare testi e fare teatro in tutta Italia? E' il più grande impresario su piazza, il padre-padrone del nostro teatro privato: dunque si muove come un capocomico dell'insigne tradizione. Però è. convinto e molto professionale, per nulla guitto, quando spiega che quello è l'unico modo per sfondare il tetto degli undici milióni di spettatori annui che il teatro italiano realizza oggi. •Gli spettacoli sono ormai di alto livello, gli attori di grido non mancano, e le strutture sono buone un po' ovunque, eccettuata qualche regione del Sud. Se la gente non va di più a teatro è per le difficoltà organizzative: le file ai botteghini, lo spreco di tempo per le prenotazioni. Gli abbonamenti hanno già dato il massimo, ora bisogna modernizzare la distribuzione'. Sessantasei anni, barba alla Rey, Lucio Ardenzi ha esordito come cantante jazz nell'orchestra Angelini. Ha calcato anche le scene, con Ruggeri e con Gassman, prima che, racconta, -proprio Vittorio mi distogliesse da mia carriera di mediocre attore, scoprendomi invece grande organizzatore'. Da allora, le più celebri realizzazioni portano la sua firma. Con II gallo di Tullio Kezich — tratto dal Bell'Antonio di Brancati e interpretato da Turi Ferro — che viene rappresentato in questi giorni all'Alfieri di Torino, Ardenzi ha raggiunto quota trecento. Un bel record per un impresario che mostra soddisfatto i «biglietti d'oro» incorniciati alla parete. -E' il premio di Taormina per lo spettacolo che ha registrato le maggiori presenze nella stagione. Ne ho vinti una decina, praticamente ogni anno. E vincerò anche quello di quest'anno-, annuncia sicuro. Vorrebbe parlare del Gallo, e non solo per omaggio ad Antonia Brancati, che è la sua prima collaboratrice ed è li che ascolta, liberandolo dai telefoni che squillano a ripetizione. -E' uno spettacolo di cui sono particolarmente orgoglioso-, dice, perché l'idea di trarre una pièce proprio da un grande romanzo di un autore che non ha lasciato molte commedie è stata sua. Ma guai a chiedergli se è la prima volta che interviene così, travalicando i compiti storici dell'impresario. Sgrana gli occhi e compunto risponde: -Non ho mai rappresentato testi che non avessi scelto io, in collaborazione con i miei primi attori-. La gente di teatro gli riconosce tante doti, se non c'è attore famoso che non si rivolga alla premiata ditta Ardenzi: ma lo dipingono prepotente. Lui però, serafico, ribatte che -quella del teatro è una barca così fragile che se non c'è qualcuno che se ne assume il comando rischia di andare a fondo-. Giura che il potere non lo attrae, e che è affascinato molto più dal teatro. Infatti starebbe a parlare per ore dei quarant'anni di storia italiana sul palcoscenico, ed è pronto ad illustrare una per una le mille foto che lo ritraggono con i grandi dello spettacolo, tutte allineate negli spazi lasciati liberi dai «biglietti d'oro». Ma intanto il timone è saldamente nelle sue mani. Da dieci anni infatti, è presidente Agis del teatro privato (un'ottantina di impresari con più di cento spettacoli all'anno); ed ora è anche presidente del «Comitato coordinamento prosa», la massima struttura del teatro italiano, e rappresenta l'Agis nella Commissione ministeriale. Così, senza dimenticare l'impresa in cui alleva la figlia Francesca, firma contratti di lavoro, tratta coi politici, gestisce il presente e programma il futuro del teatro italiano. E' etichettato come andreottiano, un'attribuzione che non respinge pur se aggiunge, mentre accarezza uno stupendo dalmata che gli fa feste continue: -Ma sono amico dei verdi, e mi sento un ecologista puro-. E con soddisfazione mostra la targa del premio Scivac, attribuito annualmente dall'associazione internazionale dei veterinari. -L'ho avuto nell'87 insieme a Konrad Lorenz, a riconoscimento del mio grande amore per gli animali-. Come uomo di potere naviga a meraviglia. L'ultimo provvedimento del ministro Carraro? -Una circolare interessante, buon banco di prova per la futura legge, ma che deve essere approfondita-. Le discussioni sulla nuova legge di riforma? -Ci sono buoni spunti anche nel progetto Sirehler-Bordon, e penso che si possa arrivare ad una sintesi con quella ministeriale-. Non lesina nemmeno le critiche però: all'inefficienza dello Stato, alla tv che non fa promozione teatrale, a chi non vuol comprendere che il teatro è risposta viva e intelligente, davvero alternativa, ai rischi di appiattimento culturale di questa nostra società. Ah, il teatro! E con un velo di commozione, Ardenzi chiude citando Tognazzi, che l'anno scorso riempi le cronache per le grandi polemiche legate alla realizzazione dell'Acaro: -Era all'ultima rappresentazione. Alla fine dello spettacolo è venuto sul proscenio per salutare il pubblico dicendo: in questi due anni ho passato i mesi più belli della mia vita, ed ora è come se lasciassi un grande amore. Ho avuto infatti grandi dolori, grandi tormenti, grandi gioie e grandi soddisfazioni. Ora che lascio questa commedia, sentirò un gran vuoto-. Gianni Pennacchi L'impresario Lucio Ardenzi

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