La furia di Sbarbaro di Mario Baudino

La furia di Sbarbaro UN CONVEGNO E STUDI SUL POETA La furia di Sbarbaro Se c'è un segreto in Camillo Sbarbaro, sembra destinato a non resistere a lungo, visto che del poeta ligure è ormai in corso un'attentissima edizione critica che ha appena dato il primo volume con Resine, scritto nel 191 1, e tutte le varianti, i componimenti scartati, le correzioni, gli inediti. Proprio sabato, a Spotorno, città dove lo scrittore (nato a Savona nel 1888 e morto nel 1967) visse a lungo raccogliendo e studiando licheni, si è svolto un convegno dal titolo appunto «Sbarbaro segreto", che è stato anche l'occasione per presentare Resine nell'edizione di Vanni Scheiwiller. Ma che cosa c'è da svelare, nel poeta ligure? Forse nulla, perché il segreto di Sbarbaro è probabilmente la sua furia pignola e continua, il suo accanirsi a correggere sempre, senza sosta: una diramazione labirintica del segreto, lì se infine dette all'amico Scheiwiller la sua opera omnia che costituisce ora il grosso volume edito due anni fa da Garzanti e curato appunto da Scheiwiller e da Gina Lagorio, torse fu proprio per mettere finalmente un punto fermo alla sua poesia che continuava a non trovare quiete, e scivolare dolcemente in mille rivoli di ripensamenti. Sbarbimi, estroso fanciullo, piega ivrsicolori cartel e ne trae navicelle che affida alla fanghiglia! mobile d'un rigaglia; tedile andarsene fiori./ S/i preveggente per liti, tu galantuomo che passi:/ cui ino bastone raggiungi la delicata flottiglia./ che non si perda: guidala a mi porticello di sassi", scriveva Montale negli Ossi di seppict, intuendo questa particolare caratteristica del poeta, ma perdendone altre: per esempio la forza di Sbarbaro, una forza che vive nell'apparente abbandono. * * Come è stato ricordato sabato sera da Giovanni Giudici, e ribadito da Giuseppe Conte che ne ha letto in modo assolutamente trascinante al¬ cune fra le poesie più belle e non necessariamente più note, il poeta di Spotorno è, soprattutto nel primo Novecento italiano, l'unico erede vero della lezione di Charles Baudelaire: e anticipa alcune delle intuizioni che T. S. Eliot avrebbe affidato alla sua Tarra desolata. Sbarbaro, amante dei licheni, estroso e solitario fanciullo, scopre ad esempio per primo, e in modo da rappresentare un'eccezione vistosa nella nostra tradizione, la «poesia della città». Ne vede l'aspetto desolato, spettrale, diventa per sprazzi e illuminazioni uno dei più attenti esploratori dell'irreale. Viaggiatore in un mondo di fantasmi, «che la città mi pare/ sia fatta immensamente vasta e vuota./ /ina città di pietra che nessuno/ abiti, dove la Necessitai sola conduca i carri e suoni l'ore-, ne contempla attonito il paesaggio, affascinato, orrificato occhio sull'invisibile: «Fronti calve di vecchi, inconsapevoli! occhi di bimbi, facce consuete! di nati a faticare e a riprodursi,! facce volpine stupide beate,/ facce ambigue di preti, pitturate! facce di meretrici, entro il cerve/lo/ mi s'imprimono dolorosamente./ E conosco l'inganno pel qttal vivono.I il dolore che mise c/uella piegai sul loro labbro, le speranze sempre/ cklnse.l e l'inutilità della loro filai amara e il loro destino ultimo, il buio». Questa Genova dei tempi di Pianissimo, quindi prima del '14, sembra già l'annuncio della Londra «uureal city di Eliot. Ma Sbarbaro ancora una volta non è. Ossia, nella sua vaga inesistenza, non è solo «questo». E' anche il poeta che sa parlare alla sua anima, all'onda della sua anima, con una capacità d'ascolto e una disponibilità generosa, lo ricorda a proposito Gina Lagorio, non paragonabile a quella di Montale, cosi attento, cosi controllato. Il merito dell'incontro di Spotorno, ben coordinato dal professor Domenico Astengo e col sostegno di due critici come Giorgio Barberi Squarotti e Franco Contorbia, è proprio quello di frugare all'interno del dedalo di «inesistenze» del poeta: non per trovarne una chiave, ma per sovrapporre a questa immagine di labirinto quel «segreto» che non è rintracciabile in esso, perché ad esso corrisponde. Non sarà l'edizione critica, certo utilissima per gli specialisti e i lettori più curiosi, ad aggiungere molto a un profilo di scrittore che si staglia nel nostro secolo con una grandezza ritrosa. Andrà tentata invece, e ancora, una lettura «amorosa» che sappia trovare nuove strade nel labirinto, proprio nei licheni che tanto piacevano a Sbarbaro, dove una vita insieme pietrificata e fervida si frastaglia in un misterioso dedalo di corrispondenze. E in certi casi soccorre anche la biografia. E' stata certo una buona idea dar la parola a una serie di testimoni, amici, conoscenti, parenti di «Millo», che ne tengono in qualche modo vivo il ricordo privato, la gioiosa e riservata umanità degli anni di Spotorno. Perché è stato tante cose: il signore gentile e severo che collezionava licheni e si commuoveva al dono d'un mazzo di fiori di prato, il poeta delle strade oscure di Genova, ma anche il creatore di momenti come questo: «la trama delle lucciole ricordi! sul mar di nervi, mia dolcezza prima?/ (trasognato paese dove fui/ ieri e che già non riconosce il cuore)-, da cui non poco ha imparato Montale. E poi è stato il prosatore scraordinario di Trucioli, e prima ancora il giovane poeta romantico che in Resine, come travolto da un'onda, si abbandonava a una musica lontana, magari quella dell'Ode al vento di ponente di P. B. Shelley, per invocarlo a sua volta: «0 sempre sveglio, o libero/ immenso, irrefrenabile,/ anche potessi un'ora sola vivere/ di tua vita tenibile!». Mario Baudino Camillo Sbarbaro in una fotografia del 1959 (Da «Immagini e documenti», ed. Scheiwiller)

Luoghi citati: Genova, Londra, Savona, Spotorno