ll pm del crack Ambrosiano ricorre contro De Benedetti
ll pm del crack Ambrosiano ritorre contro De Benedetti Dopo il proscioglimento dall'accusa di estorsione ll pm del crack Ambrosiano ritorre contro De Benedetti Il documento è firmato da Dell'Osso e dal procuratore capo Borrelli MILANO — Sarà la sezione istruttoria della Corte d'appello a decidere se Carlo De Benedetti debba o meno essere processato per estorsione, n sostituto procuratore Pierluigi DeU'Osso ieri mattina ha depositato U ricorso contro il proscioglimento deciso il 7 aprile scorso dai giudici istruttori Antonio Pizzi e Renato Brichetti. n documento porta anche la firma del procuratore capo, Francesco Saverio Borrelli. E' quindi la Procura come ufficio che chiede di rivedere la decisione su De Benedetti: se il ricorso sarà accolto, il presidente dell'Olivetti sarà direttamente rinviato a giudizio. Per la decisione i tempi non saranno però rapidi: Dell'Osso ha venti giorni di tempo per presentare le motivazioni. poi potranno passare alcuni mesi. Il ricorso del pubblico ministero non arriva inaspettato: Dell'Osso, nella sua requisitoria, appariva infatti molto determinato nell'attribuire a De Benedetti l'accusa di estorsione. E un primo cont'-as;o con i giudici istruttori c'era già stato durante l'inchiesta, ne' maggio dell'87. q jando aveva chiesto che De Benedetti fosse formalmente imputato con un mandato di comparizione. Pizzi e Brichetti avevano respinto questa richiesta, limitandosi ad una comunicazione giudiziaria che tale è rimasta anche dopo un supplemento di indagini. Motivo del contrasto tra Procura e giudici istruttori è la definizione giuridica da dare all'uscita di De Benedetti dal Banco Ambrosiano: una condotta con •connotazioni di illeicità penale' secondo Dell'Osso; un comportamento che «induce ad escludere radicalmente il reato di estorsione-, secondo Pizzi e Brichetti. Non è in discussione £ comportamento di De Benedetti nei suoi 65 giorni come vicepresidente dell'Ambrosiano. Lo stesso pm afferma che -non si allineò al modus operandi adottato dal vertice della banca che anzi contesto decisamente-. Questo atteggiamento però, secondo la tesi di DeU'Osso, -si disuniva- ne! momento in cui De Benedetti -trattando le condizioni della sua uscita imponeva come conditio sine qua non ed otteneva che Calvi rilevasse un consìstente pacchetto di emittende azioni Brioschi al prezzo complessivo di 32 miliardi di lire, procurandosi così un ingiusto profitto con danno ingente per Calvi e le società da lui dirette-. Per ottenere ciò «si avvalse della rilevante intimidazione' costituita "dalla prospettiva della sua ulteriore permanenza nell'azienda" con le "reiterate richiestesull'effettiva situazione dell'Ambrosiano. Questa interpretazione è stata rovesciata dai giudici istruttori: De Benedetti non decise di andarsene daU'Ambrosiano ma -fu costretto' da Calvi a trattare la sua uscita; De Benedetti aveva semplicemente "manifestato di voler esercitare i suoi diritti ed adempiere i suoi doveri di amministratore" ma non conosceva U reale indebitamento dell'Ambrosiano e non poteva perciò minacciare «rivelazioni- rovinose per Calvi; "la condotta di De Benedetti non fu contrassegriata da alcun atteggiamento, né esplicito né implicito, di costrizione personale esercitata su Calvi'. Inoltre quei 32 miliardi non costarono nulla al Banco Ambrosiano perché il debito venne rilevato dal gruppo Cabassi, cui apparteneva la Brioschi, e rifuso fino all'ultima lira. s. mr.
Luoghi citati: Milano
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