Che manager quel buon pastore
Che manager quel buon pastore I PRETI D'OGGI: LE MISTERIOSE DIMENSIONI DELLA PARROCCHIA Che manager quel buon pastore «Messa non più lunga di 45 minuti», orari precisi per ogni esigenza - A Parma don Fausto non sposa chi non partecipa ai colloqui prematrimoniali - Ma non fa più crociate, per esempio, contro il cinema a luci rosse: «Vorrei che la gente mi vedesse come uno che fa un pezzo di cammino con gli altri» - «Il quartiere è pettegolo» • La confessione e la tentazione della psicoanalisi DAL NOSTRO INVIATO PARMA — Fausto Torresendi ha quarantadue anni, veste sportivo, è stato missionario in Sud Africa, ora è parroco. Un parroco di questa nostra realtà fatta anche di preti, cioè di uomini che anche se ti sembrano gente comune, hanno, come dice Padre David Maria Tumido, misteriose dimensioni. Nel mistero non si penetra, ma ci si può domandare cosa vuol dire essere parroco oggi che la Chiesa si fa, per forza, sempre più azienda, cosicché anche i parroci si chiedono: chi siamo? Persone che hanno accettato di camminare insieme con gli altri, oppure ancora pastai: che guidano il gregge? Certo, l'equazione buon pastore eguale parroco, gregge eguale popolo di Dio, in passalo funzionava. Mafunziona ancora? Cosa vuol dire essere parroco oggi che le pecorelle sembrano diventate pecore matte, abituate a 99 canali della televisione, alle lunghe file dell'autostrada, ai viaggi avventurosi sui treni, sulla metropolitana? Sono cambiati i buoni parrocchiani e il buon pastore deve essere anche un manager per stare al passo con i tempi in quanto, come osserva Raffaello Ciccone, parroco a Legnano: «Le ansie e le attese si riversano sulla parrocchia poiché deve essere a dimensione umana ma anche una macchina perfetta con gli orari precisi, con la messa non più lunga di 45 minuti, con l'appuntamento alla benedizione delle case che abbia uno scorrimento di non più dì cinque minuti, con gli incontri organizzativi per comunioni e cresime non più lunghi di un'ora ma tutti fatti in modo da garantire spazio e libertà a vestiti bianchi da sposa per bimbe di nove anni, partecipazioni, confetti, pranzi, orari adatti per ogni famiglia che ha parenti in Usa o madrine in Venezuela». Un bel lavoro, non c'è che dire. Ma tutti i parroci lo svolgono inappuntabilmente allo stesso modo? Od sono stili diversi? A Parma, alla parrocchia del quartiere Montanara, che sarà anche il Bronx di qui '•:£? c'è tanto verde, le case sono belle e nuove, come è bella grande e nuova la chiesa e la sede parrocchiale, incontro Fausto Torresendi della Congregazione dei Padri Stigmatini di Verona. Un frate e un ex missionario — è stato cinque anni in Sud Africa — che fa il parroco. E' una cosa abbastanza rara ono? «Non tanto rara, mi spiega, nelle periferie ci sono molte parrocchie gestite da religiosi che vivono in comunità. Noi qui siamo in quattro, facciamo vita in comune, ci dividiamo i compiti anche se il titolo di parroco per legge lo deve avere uno solo. Sa, prima siamo arrivati qui in due soli, quattro anni fa, tutti e due della stessa età, sotto i quaranta. La gente diceva: ma come si fa, una parrocchia così grande in mano a dei giovanotti? Volevano un parroco vero». La gente come se lo figura il parroco? «Non è che se lo figuri in modo particolare, è che noi non volevamo identificarci nel ruolo». E perché? Per modestia? «No, per scelta». Allora, uno fa il parroco e non vuole assumere il ruolo del parroco? Come sarebbe? «Insomma, detto in parole povere, è che dal parroco la gente si aspetta del servizi. Noi invece volevamo occuparci della vita spirituale della comunità il che non è proprio lo stesso». E le due cose non si conciliano? «Si cerca di farlo ma è difficile. Vede, oggi la parrocchia ha una definizione molto strana Una volta era collegata a un territorio, oggi lo è ancora formalmente ma è legata soprattutto a determinati gruppi di persone. Non so, in un quartiere così di diecimila persone, saranno duemila quelli che partecipano alla vita della parrocchia, ai suoi programmi che possono essere ricreativi o d'informazione, per i ragazzi o per gli adulti. Per gli altri ottomila la parrocchia è invece soltanto un centro erogatore di servizi, funerali, certificati di battesimo, matrimoni. Quando vengono due che si vogliono sposare io lì blocco e loro dicono in giro : ah. quanto è cattivo il prete...-. Come sarebbe a dire che li blocca? -Gli chiedo di partecipare a cinque o sei incontri di preparazione al matrimonio. E loro protestano: ma cosa è 'ngntlsscilciggqddravivvpgcqmncc 'sta roba, a cosa serve? dicono. E io gii spiego che se si vogliono sposare in chiesa devono sapere cosa significa il matrimonio religioso, altrimenti la chiesa fornisce soltanto un servizio, non somministra un sacramento. E mica va bene cosi No, proprio no». Sono importanti per lei questi colloqui pre-matrimoniali? «Sì, certo. Vede, per me la cosa più importante è incontrare la gente, non tanto il lavoro organizzativo che c'è anche quello, ma mi preme di più il dialogo». E la gente ha voglia di parlare con lei? «Si. Mi pare proprio di sì. Però bisogna andarla a cercare mentre io vorrei che la gente capisse che il parroco è uno che c'è se lo vuoi incontrare. Insomma, se vuoi incontrare una persona per parlare non so di che, magari di tutto, qui la persona c'è». Quali sono i problemi del quartiere? «Droga, tantissima. Spacciano qui davanti, nel giardinetto, dice L. P. indicando fuori dalla finestra il campo giochi, e noi, che vuo¬ le, siamo impotenti. L'anno scorso abbiamo fatto dei corsi per sensibilizzare le famiglie ma per quel che servono... Ora poi c'è il fenomeno della droga matura, cioè gente di trent'anni e passa, magari sposata e con il lavoro, che si buca. Che si può fare? Chi si sensibilizza?». Come mai ha deciso di fare il parroco? «Tornato dalla missione in Sud Africa facevo un lavoro girando per le parrocchie un po' per tutta Italia, parlando delle missioni, dei loro problemi. Poi a Verona, nella nostra sede, facevo lavoro d'ufficio, mi occupavo delle spedizioni di macchinari e altre cose in Africa. Ma era un continuo andare, non hai casa, non hai patria... Allora ho detto: se credete potrei fare un'altra attività, magari anche il prete. Così è andata che sono venuto qui a Parma, in questa parrocchia che è sempre stata gestita da noi Padri Stigmatini». E le piace? «Sì. Ma fare il parroco è una cosa difficilissima», sospira don Fausto. Due ragazzini irrompono nella saletta dove stiamo a chiacchierare. Reclamano una pallina da ping-pong nuova. Al parroco danno del tu, lo chiamano per nome, nessun rispetto formale. Ottenula la pallina se ne vanno. Don Fausto allora mi spiega che la parrocchia si sta dando un'organizzazione per le attività sportive e ricreative, ma è ancora poco. Ci saranno una settantina di ragazzini delle medie che girano intorno alla parrocchia e si possono dire tanti perché prima non se ne vedeva memmeno uno. I ragazzi si autogestiscono con gli animatori che sono studenti universitari o giovani operai. «Ma lo sport, il gioco, non sono l'essenziale, conclude, essenziale per me è il corso di formazione mensile che facciamo per questi ragazzi, proponendo temi che possano aiutare la formazione globale, come il rapporto con gli altri, cioè la socialità, o il rapporto con l'altro, cioè l'amore. E se possiamo metterci dentro anche la Bibbia, lo fac¬ ciamo, mica ci vergogniamo. Siamo un movimento confessionale, no?». E' contento don Fausto dei risultati raggiunti finora? «Abbastanza, però bisogna proprio dire che fuori dalla parrocchia non c'è niente, proprio niente. Un solo bar con i bigliardini, un solo cinema a luci rosse per tutto il quartiere. Quando vado in giro le famiglie mi dicono di fare qualcosa contro il cinema pomo, una raccolta di firme. Io? gli rispondo. E perché proprio io? Io sono uno degù' abitanti del quartiere, fate voi che io firmo». Insomma, si direbbe che non voglia fare il parroco nel senso tradizionale, nel senso cioè di comportarsi come una pubblica autorità. I parroci di una volta mi sembra che fossero più desiderosi di guidare delle crociate di popolo. O sbaglio? « Una crociata di popolo contro il cinema a luci rosse? Mi vien da ridere solo a pensarci... Vorrei che la gente mi vedesse come uno che fa un pezzo di cammino assieme agli altri, tutto qui, dice don Fausto, ma invece è difficile essere parroco. Le dirò poi che il quartiere è pettegolo, è un continuo spettegolare su di noi preti». £ che dicono? Quello lì è buono, quell'altro cattivo? «Magari fosse solo questo». Forse non vi accolgono come gente davvero di qui. Vi sentono estranei al posto. «Forse. Noi > siamo mobili. Di sicuro entro' qualche anno io non ci sarò più qui. Però penso che una diecina di anni siano un periodo giusto di tempo, si possono vedere dei risultati, si può vedere una persona crescere, seguirla. Certo, sarebbe anche bello mettere radici ma la parrocchia si deve riciclare con dei nuovi animatori, dei nuovi collaboratori laici. Quelli che c'erano quando sono arrivato qua io ora non ci sono più. Forse non gli andavo bene, forse non mi andavano bene, tutto può essere. Con un nuovo parroco vi sarà ad ogni modo un ricambio». Ma quando ha le sue soddisfazioni come parroco? «La domenica». Perché? Conta la gente in chiesa? «No. Conto quanta gente mi saluta. Certo, anche l'occhio vuole la sua parte e vedere la chiesa piena è una roddisfazione biologica. Anche vedere che ce n'è pochi che sono venuti di malavoglia, che friggono per andarsene, è una soddisfazione. Ma io conto quanti mi salutano, per me è importante avere stabilito dei rapporti umani». E come li stabilisce questi rapporti? «Chiacchierando. O anche in confessione. Io confesso molto, qui in questa stanza dove siamo adesso. Ascolto tante storie di vita, credo di aiutare chi si confessa a camminare nella direzione che vuole». Un po' di psicoanalisi in parrocchia? -No. Quella della psicoanalisi è la tentazione del prete, ma nella confessione non si è in due. ce sempre un terzo interlocutore più importante di me e di te. Nella psicanalisi invece, a tu per tu, si può sbandare verso l'innamoramento». Guardo don Fausto che laicamente parlando non è niente male. Gli domando se di lui qualcuna si è mai innamorata. -Tantissime. Si innamorano perche sei stato la soluzione, o la mediazione, per risolvere un problema. E' un tipo particolare di innamoramento- Ma lo capiscono che e un innamoramento particolare? -Se non lo capiscono glielo si dice. Siamo abbastanza scantati per saperci districare-, conclude il parroco ridendo. Renata l'isu
Persone citate: L. P., Padre David Maria Tumido, Raffaello Ciccone, Torresendi
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