TV e macchine anti-bugie

TV e macchine anti-bugie TV e macchine anti-bugie DIDIMO Non siamo di tanta innocenza da prestar fede intera ai responsi della macchina della verità, presentata e messa in funzione, in trasmissioni televisive del lunedì sera. Con quell'apparecchio si pretende di segnalare la verità o le bugie, nelle risposte di persone interrogate, grazie a sensori applicati ai loro corpi, i quali sensori indicano (e sono poi registrati su carta) gli andamenti del battito cardiaco, della sudorazione, del respiro, della pressione del sangue. Si suppone che una bugia, detta sapendo di mentire, induca nel mentitore alterazioni in quelle funzioni. Ma gli uomini non sono tutti uguali: c'è chi può dire il vero e il falso senza avvertibili effetti fisiologici; mentre una persona sensibile potrebbe palpitare per un'associazione d'idee, un ricordo, o per la paura di essere ingiustamente sospettata. Una delle signore, così interrogata, abile e fortunata venditrice di cosmetici dimagranti, ammettendo di mentire (come esige il suo mestiere), parve essere una reincarnazione di quell'Eubilide di Megara, o quale altro antico filosofo fosse, il quale disse: «Sto mentendo». Con questa breve proposizione metteva in un bell'impiccio gli ascoltatori, perché se mentiva diceva il vero, se diceva il vero, mentiva. Chi voglia cimentarsi con questa e altre difficili antinomie, veda, di Italo Aimonetto, // Mentitore e la Definizione di Verità (nella rivista Filosofia. ed. Mursia, maggio-agosto '88). La pretesa di scoprire il vero, di là del colloquio con l'inquisito, non è nuova. In passato si adoperavano strumenti meno delicati: la corda, la ruota o simili; col risultato che i più sensibili o pavidi, di fronte alla minaccia di sofferenze atroci, subito si dicevano colpevoli. La tortura «è il mezzo sicuro di assolvere i robusti scellerati e di condtinnare i deludi innocenti-, scrisse Cesare Beccaria nel suo famoso Dei delitti e delle Pene. Vorremmo poter aggiungere chetormenti o pestaggi per far «cantare» qualcuno sono cose d'altri tempi. Così non è, purtroppo. Anni addietro fu introdotto come anestetico, in chirurgia, il pentotbàl, un barbiturico capace di indurre un sonno tranquillo, che consentiva brevi interventi chirurgici. In una dose opportuna, il farmaco venne usato in psichiatria come «siero della verità». Il trattamento fu detto «narcoanalisi». L'iniezione della sostanza, capace di distendere e disinibire un paziente, parve facilitare il colloquio terapeutico di lui con l'analista. Si volle poi usare lo stesso accorgimento per far confessare gli inquisiti in giudizio, durante un interrogatorio. In realtà, quel che un paziente può discoprire al medico che l'ha in cura è ben altra cosa di quel die il colpevole di un reato sia disposto a rivelare all'inquirente. A parte la liceità di questa prassi, risultò ben presto la sua inefficacia. Ognuno tace quel che molto gli preme di tacere, anche se poi racconta, come vere, storie che si è inventato. Non meno in questo che in altri campi, la ricerca della verità, anche di una verità minuta, e spicciola, è difficile. Né furberia né violenza sono strumenti efficaci per stanarla; neanche l'elettronica con i suoi apparati; meno che mai se c'è anche l'intento di fare spettacolo.

Persone citate: Cesare Beccaria, Italo Aimonetto, Megara