Reporter kamikaze in stile americano di Lietta Tornabuoni

Reporter kamikaze in stile americano Conclusa la Settimana Cinematografica di Verona dedicata al Giappone Reporter kamikaze in stile americano Il protagonista di «Niente più fumetti» è un giornalista che assale, insiste, prende botte, s'infiltra, in competizione spietata coi colleghi - Le opere dei giovani registi raccontano la nuova realtà del Paese: violenta, conformista, omologata ai modelli Usa - Dicono: «I maestri non ci interessano, siamo gli unici a raccontare le degenerazioni della civiltà urbana» DAL NOSTRO INVIATO VERONA — Nel Giappone americano dei film giapponesi degli Anni Ottanta scelti dal direttore Piero Barzisa per la Settimana Cinematografica Internazionale conclusasi ieri, il kamikaze-reporter della tv assale, insiste, prende botte, aggredisce, s'infiltra, in competizione spietata coi colleghi: e se l'attrice perseguitata da domande su un suo amante non dice una parola, lui commenta dal teleschermo 'Insomma, non ha negato-. Il kamikazereporter giapponese abita in un complesso residenziale chiamato New Well Court, ha in casa un'intera parete di monitor; appena sveglio attinge a un cartone di succo d'arancia e inghiotte pillole euforizzanti: si allena su un emblematico campo da baseball; la sera va in locali di hard rock, in bar dove clienti armati di pistole a acqua cercano di colpire/irrorare proprio li certe ragazze seminude sedute su un ripiano a gambe divaricate. Il kamikaze-reporter ha un producer stilizzato Michael Jackson, ha una troupe composta di ragazzi duri e veloci sotto i vent'anni, ha informatori che incontra in un drive-in; cerca d'insinuarsi alla riunione d'una famiglia mafiosa, partecipa in incognito alle lezioni d'un corso di perfezionamento per gigolò, indaga sul set d'un pornofilm. Si trova coinvolto nella sanguinosa uccisione in diretta d'un truffatore (episodio vero, come tutti gli altri del film, avvenuto in Giappone nel 1985), e alla fine dichiara in diretta: -Posso dire una sola cosa: andate a fare in culo, giapponesi-. Comic zasshi nanka iranail (Niente più fumetti), del trentaquattrenne Yojiro Takita. è un film trucido che vorrebbe criticare il trucido ••giornalismo-commercialismo» giapponese all'americana. Billy the Kid no atarashii yoake (Il nuovo mattino di Billy the Kid), del trentaduenne Naoto Yamakawa, vuole invece condensare, dice il regista, -l'uniformità di massa della vita giapponese e l'individualismo della cultura americana-: il Billy the Kid giapponese arriva da un fondale rappresentante la Monument Valley in una taverna assediata da gangster; tra i personaggi ci sono Tatum la figlia del taverniere, il sergente Sanders in divisa da campo, la rock-band femminile Zelda e la misteriosa avventuriera chiamata Charlotte Rampling, sempre accompagnata da una folata di vento. Il protagonista di Gondola, del trentatreenne Chisho Itoh, è un ragazzo che lava i vetri delle infinite finestre dei grattacieli metropolitani. Nella commedia Ora Tokyo sa iguda (Vado a Tokyo), del quarant ottenne Tornio Kuriyama, si vedono quali possano essere le condizioni di lavoro in uno studio fotografico-televisivo. secondo le regole del capitalismo concorrenziale: calci nel sedere perché il dipendente si sbrighi, trasferimenti di punizione, lavoratori con un unico giorno di riposo al me¬ se, orari sino alle undici di sera, continue minacce di licenziamento, -ogni giorno è una battaglia- come nell'Ottocento della prima rivoluzione industriale inglese o americana. -La mia generazione è cresciuta con la cultura america?ia. più forte della cultura giapponese e anche più bella, più affascinante-, dice il giovane regista Yamakawa. La commistione culturale nippoamericana è molto più remota, dice il critico Tadao Sato: -Centotrenta anni fa, quando iniziò la modernizzazione del Paese, il Giappone cercò modelli politici e governativi in Inghilterra, modelli legislativi e militari in Germania, modelli artistici in Francia. I figli dei ricchi studiavano in Europa. Ifigli dei poveri andavano negli Stati Uniti, dove lavando piatti o panni sporchi riuscivano a pagarsi gli studi. Da cent'anni i giapponesi aspi¬ ravano alla cultura americana. Dopo la seconda guerra mondiale, hanno fatto propri certi valori americani: uguali opportunità per tutti, competitività negli affari, libertà personale. E anche l'amore tra uomo e donna: nella cultura giapponese questo non esisteva come valore, il solo amore era quello tra figli e genitori". Nel Giappone 1989, 'Paese senza più identità nazionale, quindi senza simboli», i grandi maestri del cinema giapponese sembrano non dire molto a un giovane regista come Chisho Itoh: «Da noi Kurosawa è troppo distante, lontano come era l'imperatore (e infatti lo chiamano Tenno); in "Kagemusha" o "Ran" io non ho trovato niente, soltanto personaggi morti. Pure Imamura secondo me non esiste più: avrà perso forza con la vecchiaia, o avrà perso rigore con la celebrità». Radicalismi generazionali, però non è fuori posto la fiera rivendicazione di realismo: «/ soli film sul Giappone contemporaneo, i soli che ne riflettano il cosmopolitismo integrato all'Impero americano, gli unici che ne raccontino criticamente le degenerazioni di civiltà urbana, sono i nostri». Lietta Tornabuoni Una scena del film «Il nuovo mattino di Billy the Kid», del trentaduenne Naoto Yamakawa