«America, fidati di Gorbaciov»

«America, fidati di Gorbaciov» L'ex ambasciatore Kennan denuncia la mancanza d'una risposta adeguata alla perestrojka «America, fidati di Gorbaciov» «II nostro governo finora ha complicato il problema dei tagli negli armamenti convenzionali esagerando la superiorità sovietica» - «La stretta di Mosca sull'Est oggi è così tenue da rendere irrealistico ogni intervento tipo Ungheria '56» Sul fiitum delle relazioni UsaUrss pubblichiamo la relazione presentata da George Kennan alla Commissione Esteri del Senato, il 4 aprile. L'autore, che è stato ambasciatore Usa in Unione Sovietica nel 1952, è professore emerito all'Institute for Advanced Sludy di Princeton, New Jersey. Oggi siamo testimoni dello smembramento, in Russia, di gran parte, se non di tutto il sistema di potere che ha tenuto insieme e retto il Paese a partire dal 1917. Fortunatamente, questo sfaldamento è più pronunciato proprio in quegli aspetti del potere sovietico che hanno creato i maggiori problemi dal punto di vista delle relazioni UsaUrss, soprattutto l'ideologia della rivoluzione mondiale, gli sforzi retorici e politici della vecchia leadership sovietica (per fortuna non sono più un elemento significativo nella condotta di Mosca) e il macabro estremismo dell'oppressione politica stalinista. Quest'ultimo elemento incominciò a essere fortemente ridimensionato subito dopo la morte di Stalin, nel 1953. Sotto Michail Gorbaciov ci sono state ulteriori modifiche molto ampie e quanto resta viene ora smantellato a una velocità tale che non è più un ostacolo serio a normali rapporti Usa-Urss. Restano, tuttavia, tre elementi che effettivamente turbano questo rapporto e vanno presi in esame quando se ne discutano gli sviluppi futuri: le dimensioni delle Forze Armate convenzionali in tempo di pace, che molti in Occidente considerano eccessive; ciò che resta dell'egemonia politica e militare sovietica nell'Est e in parte dell'Europa centrale; la rivalità tra le due potenze nel coltivare e sviluppare gli armamenti nucleari e convenzionali. A questi elementi, che costituiscono gli attuali problemi nelle relazioni Usa-Urss, andrebbe agggiunta la situazione politica interna instabile e per certi aspetti pericolosa che oggi prevale nell'Unione Sovietica. Vorrei qui commentare brevemente ognuno di questi elementi. Primo: mantenere forze di terra che sembrano quantitativamente esagerate in tempo di pace è stata una costante tipica della politica russa e sovietica per la maggior parte degli ultimi due secoli. Le ragioni sono state parte inteme, parte difensive. Mai, in tutto questo tempo, queste forze sono state impiegate per aprire le ostilità contro una superpotenza militare. Sotto Gorbaciov, il numero degli effettivi viene in qualche modo ridimensionato. Tutto sommato, questa non dovrebbe rappresentare una seria complicazione nei rapporti Usa-Urss. Secondo: a partire grosso modo dall'intervento in Cecoslovacchia nel 1968, l'egemonia politica sovietica sugli altri Paesi del Patto di Varsavia è andata diminuendo. Dall'arrivo di Gorbaciov al potere, c'è stato un netto progresso sulla strada dell'indipendenza effettiva di questi governi satelliti. Nel modellare la loro economia e le loro relazioni con i Paesi occidentali, quei regimi hanno ora sostanzialmente mano libera, alla sola condizione che non mettano in discussione i loro doveri di membri del Patto di Varsavia e non rinuncino al termine «socialista» come definizione ufficiale del loro sistema economico. Così tenue è oggi la stretta sovietica su questi Paesi che personalmente dubito che un intervento militare come quello del '56 in Ungheria sarebbe ora un'opzione realistica della politica sovietica. Non solo sarebbe grossolanamente in conflitto con gli impegni pubblici presi da Gorbaciov, ma le conseguenze sul resto dell'area satellite e fra le nazionalità non russe dell'Unione Sovietica sarebbero imprevedibili. Terzo: il nostro governo non ha fatto gli sforzi che avrebbe potuto e dovuto fare per raggiungere accordi accettabili con la controparte sovietica per ridurre le armi nucleari e convenzionali. Questo aspetto è troppo complesso per un'analisi dettagliata in questa sede, ma vorrei ugualmente fare qualche commento a livello generale. Negli ultimi mesi e anni, l'Unione Sovietica ha avuto molte iniziative, con suggerimenti interessanti e incoraggianti ai quali sostanzialmente non abbiamo dato risposta. Ovviamente, queste iniziative e questi suggerimenti non potevano essere presi alla lettera. Il loro realismo e il loro significato pratico andavano esplorati e discussi con la controparte sovie¬ tica. Ma questa analisi non è stata fatta seriamente. Io penso che avrebbe dovuto essere fatta. II problema dei tagli negli armamenti convenzionali è stato inutilmente complicato e distorto dalle spropositate esagerazioni sulla superiorità sovietica in questo campo, che ha segnato le dichiarazioni pubbliche e le premesse ufficiali del nostro governo. Questo atteggiamento, naturalmente, andrebbe corretto. Gli arsenali nucleari attualmente in possesso dell'Unione Sovietica e degli Stati Uniti sono evidentemente eccessivi in rapporto allo scopo cui si suppone debbano servire. A causa della loro sovradimensionata capacità distruttiva e delle loro implicazioni suicide, queste armi sono sostanzialmente inutili stando all'attuale livello di coinvolgimento in un conflitto militare; e qualunque funzione «deterrente» essi possano utilmente svolgere, in realtà potrebbe essere svolta da forze più piccole. Le dichiarazioni e le linee politiche del nostro governo sembrano riflettere l'assunto che il mantenimento di questi eccessivi arsenali non sia un problema serio e che non ci sia urgenza di ridurli. Io non condivido questa compiaciuta opinione. Non solo c'è il pericolo che queste armi possano essere usate per caso, per equivoco o per altre disattenzioni. Sembra anche che ci sia un reale pericolo di proliferazione nell'immediato futuro. Questo richiede che si affronti con urgenza l'intero problema della proliferazione. E condizione preliminare sarebbe, a quanto io vedo, un'ampia riduzione degli armamenti delle due superpotenze. C'è poi un quarto punto: la situazione politica personale di Gorbaciov sul piano intemo. Per molti aspetti appare precaria, soprattutto alla luce dei magri risultati finora ottenuti dalla perestrojka. Ma la sua posizione ha avuto anche elementi di forza, ad esempio grazie al programma di riforma. Ed entrambi sono ora rafforzati dai risultati delle recenti elezioni. Le sue iniziative in politica estera non hanno incontrato serie resistenze inteme. Non c'è perciò ragione di supporre che accordi conclusi sotto la sua leadership, se correttamente negoziati e formalizzati, non debbano essere rispettati dai successori. In conclusione, mi sembra che qualunque ragione possa esserci stata in passato per considerare l'Unione Sovietica innanzitutto come un possibile, se non probabile, antagonista militare, il tempo per questo tipo di cose sia chiaramente passato. Questo Paese ora dovrebbe essere considerato essenzialmente come una potenza alla pari delle altre grandi, una potenza cioè le cui aspirazioni e linee politiche sono profondamente condizionate da situazione geografica, storia, tradizione. Non sono dunque uguali alle nostre ma neanche cosi seriamente in conflitto da non poter essere conciliate con i normali mezzi di compromesso e accomodamento. Ora il nostro obiettivo dovrebbe essere eliminare il più presto possibile, con un negoziato amichevole, quella tensione militare anomala che ha dominato le relazioni tra sovietici e americani in tempi recenti, e rivolgere la nostra attenzione alle potenzialità positive di questo rapporto, tutt'altro che insignificanti. George F. Kennan Cojmight «The New York Tiraes» e per l'Italia «La Stampa»

Persone citate: George F. Kennan, George Kennan, Gorbaciov, Kennan, Michail Gorbaciov, Stalin