Sanità, nel decreto non c'è solo il ticket

Sanità, nel decreto non c'è solo il ticket E' limitato il diritto alla salute Sanità, nel decreto non c'è solo il ticket Leggiamolo, dunque, il decreto legge sulla Sanità, tanto criticato in questi giorni. Pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 74 del 30 marzo scorso, alle pagine da 4 a 7, esso contiene tre importanti principi. Esaminiamoli uno per uno. Il primo stabilisce che il finanziamento dello Stato per la Sanità confluisce nei fondi generali di ogni Regione. In questo modo, da una parte, le Regioni non avranno più le mani legate da finanziamenti statali settoriali. Dall'altra, esse diventeranno veramente responsabili della Sanità, come è previsto dalla Costituzione. Se vorranno offrire maggiori servizi sanitari, potranno farlo, togliendo risorse ad altri settori e dandole alla Sanità. La seconda novità del decreto legge e la nettissima separazione tra politica e amministrazione. Il consiglio delle Unità sanitarie locali, nel quale siedono i politici, non dovrà più amministrare, ma solo dare le direttive, controllare i risultati e ..i>provarc i bilanci. La gestione è conferita a un amministratore unico. Insomma, il consiglio delle Unità sanitarie locali sarà come l'assemblea dei soci e il direttore l'amministratore delegato. Il terzo principio è quello del concorso di una parte dei cittadini alla spesa sanitaria diretta (il cosiddetto ticket). Esso non deve solo assicurare una entrata. Ha anche una funzione dissuasiva, per evitare che tutti, medici e pazienti, chiedano, senza limiti, cure e prestazioni. Ed ha, infine, una terza funzione: quella di ricordare che il diritto alla salute non è un diritto a espansione indefinita, accollato interamente allo Stato. Esposte le tre novità del decreto legge, quale giudizio darne? Il primo punto rientra in una richiesta unanime, ormai quasi ventennale. Le Regioni, che pure sono responsabili della Sanità, sono trattate come bambini da un padre che dà, volta per volta, i soldi per il cinema, quelli per comprare le caramelle, quelli per acquistare i libri di scuola, e così via. Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti. Da un lato, le Regioni non sono veramente responsabili dei propri fondi. Dall'altro, il Tesoro e coinvolto nella gestione regionale ed è chiamato ad intervenire come finanziatore di ultima istanza. Ora le Regioni sanno che possono contare su un finanziamento statale onnicomprensivo e che — per ritornare all'esempio —, se vogliono più caramelle, debbono rinunciare al cinema. Separare la politica dall'amministrazione. Ridare alla prima la nobiltà che ha perduto, togliendola dalla quotidiana gestione delle persone e dei soldi, assicurare, con un'amministrazione indipendente e non serva di questo o quel partito, servizi efficienti ai cittadini. Queste sono aspirazioni di tutti, da Silvio Spaventa in poi. Non è un bene che trovino, ora, attuazione per la Sanità, dove la scelta di un chirurgo o l'acquisto di medicinali dovrebbero essere decisi in stanze lontane dalla politica? L'argomento più discusso, infine, quello dei ticket. Quando Beveridge, negli Anni Quaranta, disegnò lo Stato del benessere e il servizio sanitario inglese, non pensava che istruzione, lavoro, sanità, pensioni — che costituiscono i quattro cardini dello Stato sociale — do¬ vessero essere distribuiti a tutti, gratuitamente e senza limiti. Sogni di questo genere si possono leggere nel «Viaggio in Icaria» dell'utopista francese Cabet. Il diritto alla salute ha limiti. Persino il diritto di libertà personale, sancito anch'esso dalla Costituzione, ha alcuni limiti. Non possiamo aspettarci, tutti, veramente tutto dallo Stato-Provvidenza. E' a causa di questo utopismo che uno dei più grandi giuristi americani, di origine italiana, ha scritto, di recente, proprio con riferimento al nostro sistema sanitario, che esso è fondato su una concezione «sentimentale» della eguaglianza. Il problema, dunque, non è se debbano esservi ticket. E', piuttosto, se i ticket siano giusti. Il decreto esclude: i poveri e i loro familiari; i pensionati con reddito inferiore a 10 milioni e i loro familiari (dalla determinazione del reddito è esclusa la casa in cui il pensionato abita e il reddito è aumentato a 15 milioni per il coniuge a carico e di un milione per ogni figlio); i titolari di pensioni sociali e i loro familiari; gli invalidi; coloro che abbiano forme morbose che richiedano cure lunghe o complicate. In tutto, circa un quinto della popolazione italiana. Mi chiedo: è giusto che i quattro quinti esclusi dalle esenzioni vogliano essere anch'essi esentati, danneggiando, così, quel quinto che veramente ne ha bisogno? E, poi, vogliamo veramente abbandonare i principi fondamentali della nostra Costituzione: autonomia decisionale delle Regioni, separazione tra politica e amministrazione, aiuto a coloro che sono privi di mezzi? Sabina Cassese

Persone citate: Beveridge, Sabina Cassese, Silvio Spaventa