Mollino, sogni di folgoranti architetture di Angelo Dragone

Mollino, sogni di folgoranti architetture A TORINO UN'AMPIA MOSTRA RICORDA EDIFICI, MOBILI E FOTOGRAFIE DI UN GENIALE IDEATORE Mollino, sogni di folgoranti architetture TORINO — Un'ampia esposizione antologica dedicata alla figura solitaria ma incisiva di Carlo Mollino (19051973) è stata inaugurata ieri alla Mole Antonelliana, per rimanervi aperta fino al 28 maggio. Verrà quindi trasferita a Parigi e presentata al Beauboug per iniziativa del Centre de Création Industrielle. Architetto geniale ed estroso, con un innato gusto trasgressivo, nella sua multiforme attività Mollino fu designer originalissimo, appassionato fotografo, romanziere e scrittore di fotografia e cinematografia, oltreché amante della montagna, maestro di sci, abile «discesista». Cultore del mito futurista della velocità (aveva brevemente aderito anche alle mostre del Gruppo torinese di Fillia) s'era dedicato all'automobilismo come progettista-pilota, e al volo acrobatico. Era stato infine docente di composizione architettonica nella facoltà di Architettura del Politecnico di Torino in cui, mentr'era cresciuto alla scuola severa del padre, l'ingegnere Eugenio, s'era laureato nel 1931 con il progetto di un palazzo per uffici e negozi di ascendenza mendelsohniana. La rassegna, organizzata per iniziativa pubblica, con la partecipazione del Politecnico e della Società degli Ingegneri e Architetti, è la prima che con qualche organicità abbia inteso documentare ogni aspetto d'una cosi versatile creatività, i cui segni si conservano oggi, chiaramente leggibili, nel Teatro Regio come nella sede del Palazzo della Camera di Commercio a Torino. Allestita da Carlo Viano, la mostra si sviluppa in quattro sezioni curate da Fulvio Irace (architettura e design, con oltre duecento disegni progettuali d'una rara bellezza di tratto, e una cinquantina di arredamenti), Piero Racanicchi (fotografia, con un'ottantina di stampe tratte da circa ottomila negativi), e Stefano Jacomuzzi (letteratura, epistolario compreso). Un cast di architetti ha costituito inoltre un comitato di consulenza, con Roberto Gabetti, Ignazio Gardella, Paolo Portoghesi e Francois Burkhardt, mentre si è potuto ampiamente attingere all'Archivio Mollino in deposito presso la Biblioteca di Architettura del Politecnico, del quale, responsabile Elena Tamagno, si è completata la catalogazione, rendendo disponibile una quantità di disegni e carte, schizzi e fotografie, mentre mobili e plastici sono venuti da collezioni private e pubbliche istituzioni. Nell'insieme, finalmente, un omaggio alla singolare personalità del «caro maestro», il Lieber Meister, come lo chiama Gabetti nel saggio introduttivo al catalogo (Electa), senza che tutto questo possa risarcirlo però della demoli zione, nell'inverno del 1960, di quel capolavoro che fu la sede della Società Ippica Torinese (in corso Massimo d'Azeglio all'angolo con corso Dante) che Mollino aveva progettato a sei anni dalla laurea, attirando subito l'attenzione sulle folgoranti novità del dettato architettonico. L'episodio appare oggi paradossale, ma come tutto ciò che ha riguardato Mollino, o certi suoi amici, a cominciare da Italo Cremona, risulta ben calato nella contraddittoria realtà di cui essi erano partecipi. Consapevole, l'architetto, della stessa sua crociana prospettiva estetica che non gli avrebbe tuttavia impedito di scrivere all'amico Gio Ponti: -Tutte le mie cose mi nascono non so mai come, sovente nascono proprio dal sogno del sonno. Ma. comunque originate, un'opera e sempre un'alzata difanlasia-. Per evocare quel suo mondo fantasticato, l'esposizione s'apre con una saletta in cui sono riuniti alcun; oggetti — un piede e un nudo in gesso, il calco d'una testa equina e il capitello antropomorfo — che compaiono in noti dipinti di Italo Cremona con nello sfondo, dietro la finestra, l'inquietante e un po' sognato profilo della Mole Antonelliana. Sono immagini di ambienti vissuti, come lo studio in cui Mollino ritrasse Piero Martina, l'altro amico pittore, seduto tra i suoi quadri e gli oggetti d'ogni giorno. Si ricerca in tal modo il clima. Io spirito di un'epoca della quale affiorano anche gli umori, le ironie, le stravaganze, ma anche il senso del destino che incombe su ognuno. Poi, quasi a fronte, la bellezza icastica dei disegni, tracciati sovente, come faceva Mollino, con due mani, e i primi mobili. I progetti di alcune delle sue costruzioni più famose, come l'Ippica e. tra le architetture montane, la stazione della slittovia del Lago Nero o quella, arditissima, della stazione d'arrivo della funivia del Furggen. Ma già la sede della Federazione Agricoltori di Cuneo e gli interni delle case Miller (1938) e Devalle (1939). con i rispettivi arredi, avevano chiarito la sua indipendenza da ogni schema precostituito, anche se non gli erano mancati gli amori profondi per Guarirli e per Antonelli. Negli arredi — dalle sorprendenti invenzioni linguistiche che puntualmente avrebbero potuto confrontarsi a livello intemazionale con le proposte di Alvar Aalto, Barnes e Saarinen — lo spirito d'un classico che porta in sé la tradizione del nuovo, aveva suggerito a Mollino tecniche da lui brevettate (dai «giunti universali» agli «snodi elettromeccanici"), per sfoggiare poi nelle scenografie degli intemi, come nell'arredo delle due case Minola, di Casa Orengo e Casa Provera, la straordinaria inventiva degna d'un grande minusiere del passato, accostando con modernissima sensibilità legni curvati e metallo, cristallo e rivestimenti in pelle, con strutture dalle precise ispirazioni organiche, compreso lo scatto dinamico d'un animale. Nacquero in tal modo le sedie-locusta e i tavoli-grillo, le poltrone-gazzella e le lampade-farfalla, ma anche il tavolo «a vertebre- e il tavolo «arabesco». La fotografia, indagata per la prima volta a fondo, in quest'occasione, da Piero Raoanicchi — anche alla luce del volume /( messaggio della camera oscura, scritto da Mollino dopo il dicembre del '43 e pubblicato da Chiantore nel gennaio 1950 —, si rivela non solo il campo d'un appassionato cimento, ma anche l'esercizio creativo legato a quel suo trattato di estetica fotografica: un testo in grado di offrire la chiave di lettura dell'intero operare dell'architetto e designer, con il suo gusto più aperto e l'originalità delle luci violentemente tagliate, il gioco degli specchi introdotto nelle foto di ambienti e nei ritratti come nelle fughe prospettiche e negli scorci delle sue architetture. Un libro destinato a rimanere tuttavia anche come l'opera di un autentico saggista. Angelo Dragone Carlo Mollino: uno scorcio della Società Ippica Torinese

Luoghi citati: Parigi, Torino