Il titano del latino di Carlo Carena

Il titano del latino CHI SI RICORDA DI FORCELLINI? Il titano del latino Oggi e domani si tiene a Padova, presso l'Accademia Patavina e l'Università, un convegno di studi in occasione del terzo centenario della nascita di Egidio Forcellini, uno dei maggiori lessicografi di tutti i tempi e straordinaria figura di studioso. Egidio Forcellini fu uno di quei preti-legionari che i villaggi e i cascinali del Veneto hanno fornito per secoli alla Chiesa cattolica; ma questa volta fornirono a tutri anche un genio, come pochi anni prima una catapecchia di Vignola dava al mondo il Muratori. A sedici anni, nel 1704, Forcellini entrava nel seminario di Padova e v'incontrava uno strano maestro, Iacopo Facciolati, che fra le molte altre sue ambizioni attendeva all'ennesimo rifacimento del Calepini/! septem lingitàriim. Il dizionario latino di fra Ambrogio da Calepio non è nemmeno più un libro, è un emblema, un rudere, uno scherzo. Dal 1502, anno della sua prima edizione a Reggio Emilia, aveva subito riedizioni e rimaneggiamenti infiniti, che, come spesso accade delle riforme, l'avevano rimpolpato ma sfigurato e reso quasi inservibile. Pure, due secoli dopo il Facciolati a Padova ne tentava quella che nel ' 18 apparirà come edizione «postrema". Ma il suo giovane e acuto allievo si rese subito conto ch'era impresa davvero disperata e che quella sarebbe ben dovuta essere l'edizione «ultima» come the List, non the lutisi. Cosi Egidio Forcellini si accinse all'impresa titanica di rifondare e quasi fondare la lessicografia latina, come a dire della lingua un tempo scritta e parlata da tutto il mondo, e ancora da tutti gli uomini di lettere e di scienze. Incominciava una storia culturale ed editoriale straordinaria, in apparenza impossibile per un uomo solo, e con le sue varie propaggini durata fin addentro al nostro secolo. Forcellini in realtà aveva tutto quanto occorre a imprese come quella: costituzione fisica, memoria, volontà di l'erro, e intorno quell'aria quasi palpabile nei seminari, dove si parlava solo latino o si taceva, e si studiava quasi più Orazio che teologia; infine, quel grande lascino dell'erudizione che la del Sei e Settecento due secoli straordinari, a cui siamo tutti debitori direttamente o indirettamente, per reggere i nostri studi. Pur con varie intermittenze e altri fastidi, quel prete campagnolo attese giorno dopo giorno alla sua fatica, trascorse decine di inverni rigidi e di estati soffocanti entro le pareti della sua stanza o sotto le volte della biblioteca, nell'indifferenza generale e quasi dimenticato da tutti tra gli scaffali dopo l'incoraggiamento iniziale. Mangiava pochissimo, dormiva altrettanto poco, non usciva mai se non per la messa all'alba. Poi sempre a sfogliare le immense cinquecentine o la Patrologia, a schedare gli scarni glossari dell'Impero e gli interminabili periodi di Cicerone, minimi e inesplorati frammenti di pocsiole o lapidi e monete. Nasceva un inventario della parlata e della letteratura, e con esse della mentalità di un popolo antico ammirate fino alla canonizzazione. Quando Forcellini posò la penna sull'ultimo foglio dei suoi quaderni, nell'aprile del 1755, era ormai incanutito, e più solo che mai: «Vi ho posto mano da giovane — annotò, naturalmente in latino —, e nel compierlo sono invecchiato, come potete vedere». Lasciò li tutto ad altri, che lo trascrivessero in bella copia, il diligente Ludovico Violato impiegò per la sola ricopiatura sei anni, riempiendo 16 tomi. E don Egidio si ritirò in campagna, nel suo paese di Alano di Piave, a insegnare catechismo ai bambini. Quando morì, il 5 aprile del 1768, il grande lessico non era nemmeno entrato in tipografia. E quando uscirà, nel 1772, non avrà nemmeno il modesto titolo immaginato dal suo autore, Nuovo Calepino, ma quello, bello però più pomposo e meno nostalgico, di Lexicon totins Imi innata, Vocabolario dell'intera latinità. A stamparlo, in quattro grossi e fitti tomi, fu la stessa tipografia del seminario padovano, questi incredibili editori di una volta. Chi crederebbe che quasi negli stessi anni, a partire dal 1781, la Tipografia del Seminario cominciava anche la srampa &c\X Enciclopédie di Diderot e D'Alembert, rimaneggiata ma riveduta con mano leggerissima, senza rinunciare ai contributi letterari di Voltaire, troppo -churnnints- per poter essere espunti, e tanto meno al «Discorso preliminare», definendolo «il più bel sistema della scienza umana che si possa trovare»? La sezione morale dell'Enciclopédie illuminista-seminarile comincia con queste parole: «De tonta Li parties de l'Enciclopédie la morale est celle oli /'oh Ironie Ics plus boni tirticles-. A scandalizzarsi fu quasi solo il Tiraboschi. Così anche il Lexicon del Porcellini cominciava il suo corso, sussidio straordinario di tutti i linguisti, ancora oggi insostituibile e non certo sostituito dal Thesaurus delieAccademie germaniche, che dopo quasi un secolo naviga ancora intorno alla lettera O. Esaurita la prima edizione a trent'anni dall'inizio, nel 1801, se ne provvide una seconda, e una terza nel 1834. Dopo di che, in due luoghi e da due persone diverse, che lavorarono per anni all'insaputa l'una dell'altra, Francesco Corradini a Padova e Vincenzo De-Vit a Stresa e a Roma, se ne intrapresero due revisioni approfondite, con i criteri e la terminologia ormai dell'idealismo e con i primi brividi della linguistica moderna. Il buon vecchio Forcellini s'era preoccupato soprattutto di un'esatta descrizione delle forme dei vocaboli, dei significati e degli usi; di fornire uno strumento retorico nel solco degli artisti sommi delle età «aurea» e «argentea» della latinità, le uniche che si sentisse davvero di raccomandare, e annotando cursoriamente, come coprendo una deviazione morale, le espressioni delle età «ferrea» e poi «lutea», quella fangosa della latinità che perisce. Ora sulle sue tracce rimescolate si delincava filologicamente e logicamente, a grappoli, la storia di ogni parola, e dall'insieme delieparole la storia di una lingua. Cosicché nel 1857 uscivano quasi contemporaneamente, a Padova ancora e a Prato, i primi fascicoli di due nuovi Forcellini, suscitando con la loro coincidenza e concorrenza lo scandalo e lo sdegno di Niccolò Tommaseo, come ennesima prova dell'inguaribile divisione e rivalità degli italiani. Il lessico primitivo passava da quattro a dieci tomi nella nuova edizione De-Vit, la più mastodontica, e da 35 milioni di lettere a 87. C'è, all'inizio della premessa di quest'ultimo lessico, che da sola occupa un volume di 260 pagine in folio su due colonne, la citazione di un carme di Giuseppe Giusto Scaligero, altro intenditore di linguistica già in pieno Cinquecento. «Se — cantava lo Scaligero in una delle sue Sy/rae, — se c'è da condannare qualcuno alle galere, meglio legarlo alla compilazione di un lessico: quest'unica pena ha tutti i tormenti delle altre messi insieme». Ma addetto a ciucila galera, Egidio Forcellini mori a ottantanni, Ambrogio da Calepio a più di 70, Iacopo Facciolati a 87 e Vincenzo De-Vit a 81, un mese dopo aver licenziato le bozze del quarto e ultimo volume a cui si arrestò la sua opera. Carlo Carena