Se la statua chiama il taxi

Se la statua chiama il taxi LE METROPOLI AMERICANE INVASE DALLE SCULTURE-VERITÀ' Se la statua chiama il taxi A New York, al numero 255 di Park Avenue, un uomo in fibra di vetro tende il braccio a chiedere un passaggio - Di notte i tassisti fanno stridere i freni per caricare quel «cliente» - A Los Angeles, Boston, Detroit, in albergo o in aeroporto, personaggi che sembrano veri invitano alla conversazione o provocano allarmi - Che cosa ispira la pattuglia dei nuovi scultori? NEW YORK — Come se la popolazione non fosse già cosi densa, come se non fosse abbastanza sorprendente, diversa, tenuta insieme per miracolo dal contenitore urbano, sono arrivate le statue metropolitane. Nella mia memoria (ma naturalmente è solo una sequenza di esperienze personali) tutto comincia la scorsa estate a Santa Barbara, una cittadina a Nord di Los Angeles. Sul prato del migliore albergo della città, il Biltmore, affollato di turisti, compaiono un signore disteso sull'erba, intento a leggere il Wall Street Journal, e due bambini che aspettano. A gruppi, la gente cade sempre nella stessa sequenza. Prima non guarda, perché non è buona educazione guardare fisso qualcuno. Poi dà un'occhiata, attratta dalla immobilità delle figure. Infine c'è un ridere e un commentare nervoso: si sono accorti che adocchiavano statue. L'autore — uno dei tanti — di queste immagini a grandezza naturale, colorate, indistinguibili, a distanza, dalle persone vere, è Seaward Johnson, un rampollo della grande famìglia dei medicinali (Johnson and Johnson), che ha rivelato un'eccellente attitudine per la riproduzione realistica della gente. Se andate a Los Angeles, al nuovissimo Four Seasons Hotel, trovate due sue statuepersone, nell'atrio, una signora e un bambino seduti su una panchina, probabilmente in attesa del taxi. Ho visto clienti dell'hotel — esuberanti come sono spesso gli americani in vacanza — conversare con la signora, fare osservazioni sul tempo e sul caldo, prima di accorgersi che chiacchieravano con una statua. Se poi, sempre a Los Angeles, percorrete il celebre Sunset Boulevard verso Est, in direzione del mare, poco oltre l'Hotel Beverly Hills, noterete, sulla destra, un imbianchino intento a verniciare il muro di una villa. E' una creatura di Duane Hanson, altro autore di statueverità, talmente uguali alla gente che passando in macchina bisogna sapere che l'imbianchino è una statua, altrimenti non lo notate, pensate che si sia fermato nel mezzo di un gesto del suo lavoro. Nell'aeroporto di Atlanta le conversazioni con - il viaggiatore- che si incontra lungo il percorso verso il terminal della Eastern Airlines (subito prima o subito dopo essere scesi dalla stazione della ferrovia sotterranea che collega un terminal all'altro) sono frequenti. Una sera c'è stato un inseguimento, nel tentativo di bloccare qualcuno che aoeva eluso i controlli di sicurezza e si dice che ì poliziotti abbiano perso tempo prezioso cercando di arrestare la statua. E'il lavoro di John Aearn, e bisogna ammettere che il suo rapporto con la realtà è imbarazzante. A New York l'invasione delle statue è avvenuta lo scorso inverno, con l'insediamento dell'uomo di fibra di vetro che sta per uscire dal numero 255 di Park Avenue, un edificio di uffici. Tende il braccio nel tipico gesto newyorkese di fermare un taxi, e ogni sera, se uscite da un ufficio vicino, potete sentire lo stridore di freni di un taxi che cerca di prendere a bor¬ do quel cliente, seguito da imprecazioni, quando il taxista si accorge di avere frenato per una statua. L'uomo di Park Avenue è opera di Seaward Johnson, come quello di Santa Barbara, ma i padri ormai sono tanti, le statue metropolitane si moltiplicano, hanno abiti che sembrano veri, e le vernici opache che simulano la pelle e i tessuti rendono impossibile un riconoscimento a distanza, il Whitney Museum ha fatto un esperimento con una scultura di Duane Hanson, collocata sulla piattaforma del treno D della ferrovia sotterranea in Times Square. Testimonia il videotape che c'è stato un tentativo di aggredire e derubare la statua. Ma eia dove viene l'invasione delle statue metropolitane, che cosa ha provocalo il bisogno di avere altra gente per le strade di Minneapolis (c'è una coppia che si bacia nel sovrapassaggio fra l'edificio della Equitable Insurance e un centro commerciale), nel Renaissance Center di Detr-it da statua, seduta con le gambe accavallate, di un turista giapponese, va su e gin lungo la monorotaia che collega i due terminali del Centro/, nell'ascensore del Hayatt Hotel di Boston lè una ragazza che fuma, e ogni volta la gente indignata chiede alla statua di smettere subita, per le strade di Los Angeles e dì New York? ••Figure metropolitane che ; guardano figure metropolitai ne-, comincia un editoriale del New York Times del primo marzo. Il grande giornale | della città ha sentito il biso] gno di recensire la strana se| cpicnza e lo ha fatto senza I ironia, lo ha fatto per prendere nota di un fatto sociale, von di un evento d'arte. InI fatti, a parte la statua del citI ladino aggredibilc inserita liei sistema di trasporti sotterranei di Times Square, è stato fatto un altro esperii mento: i senza casa, che sostano sui marciapiedi c dentro le stazioni ferroviarie della città, non sempre sono j veri, benché quelli veri siano lanli. al punto da far parlare di una emergenza. A volte sono statue metropolitane. E così, anche fra le statue, il destino ha fatto delle divisioni, chi in Park Avenue. chi al Four Seasons Hotel di Los Angeles, chi sul marciapiede, sotto una coperta di resina che sembra assolutamcntc vera. L'ossessione del vero, il bisogno di ripetere la vita il più possibile uguale alla vita, c'è sempre stata nell'arte americana. Nonostante stagioni colte come quella dell'espressionismo astratto, e stagioni di sperimentalismo sfacciato come quella della Pop Art. l'ossessione del -vero- non si è mai spenta. Eppure bisogna fare i conti con un fatto che e difficile da esprimere a parole, e difficile anche, mi rendo conio, du capire guardando le illustrazioni di queste statue. Le sculture metropolitane di quest'ultima America non sono realistiche, non nel senso, per esempio, del realismo socialista. Ma non si ispirano neppure a quella americanissimo tradizione che è il realismo della classe media, le illustrazioni di Norman Rockwell, il realismo pittorico di Eric Fischi. Ci può aiutare il Whitney Museum, grande notaio dell'arte americana contemporanea. Suggerisce, nei suoi cataloghi di queste sculture, che è più proprio parlare di •naturalismo-. Ma che cosa lo distingue e lo segna? Forse l'autore dell'editoriale del New York Times, «figure metropolitane che guardano figure metropolitane», ha colto il punto: qualcosa ha indotto una pattuglia di nuovi scultori ad abbassare l'atmosfera, intorno alle nuove statue, fino a un livello in cui non c'è più alcuna ombra di celebrazione, alcuna aura di compiacimento. Nello stesso tempo, non c'è intento di commiserazione, giudizio o critica sociale, nel modo in cui è pensata e realizzata questa scultura. Il buono e il cattivo gusto non sono in discussione, solitudine o folla non sono l'argomento. In Park Avenue l'uomo appare elegante, rispettabile. Sulla panchina del Four Seasons Hotel signora e bambino mostrano benessere. L'imbianchino del Sunset Boulevard è un imbianchino. I senza casa dei marciapiedi di New York hanno la stessa autonomia figurativa di quelli veri, che quasi mai chiedono elemosina o si rivolgono ai passanti. C'è un innamoramento della vita, ed e altra cosa dal realismo che in qualche modo celebra un comportamento •esemplare- e ha bisogno — per farlo — di un concetto di classe che in America non esiste. Forse il primo carattere e questo: ogni statua metropolitana si ispira al mondo di un individuo solo, non a una folla di individui lanche se tutti quegli individui sono irrevocabilmente destinati a formare folla, a vivere e a comparire simili nella folla). Ogni statua metropolitana sembra immersa in una sola vita, che è contigua a quella di tutte ma che non si divide con le altre. La solitudine è un dato, non un commento, un fatto che può essere giudicato solo sapendone molto di più. L'innamoramento della vita di cui ho parlato e in qualche modo il segreto della citta, il collante che fa stare insieme gli individui che compongono la folla, nonostante gli incidenti, le tensioni, le divisioni, i contrasti. Mi sembra un segno, e non un caso, che un libro essenziale come City, dell'urbanista William Whyte, sia stato pubblicato, in questi giorni dopo l'arrivo e l'invasione delle statue metropolitane. City è una drastica revisione di tutti i luoghi comuni •■Per esempio, ammonisce Whyte. ci rigiriamo tutti questo concetto della folla vista con una connotazione malefica, la citta piena di gente immaginata come minaccio¬ sa, i luoghi più frequentati visti come pericolo. Ricordiamoci che la gente per la strada è come i canarini nelle miniere: se la gente scompare, se le strade diventano vuote, allora c'è qualcosa da temere. I luoghi di folla sono il segno di una vita che, tutto sommato, funziona». Whyte fa un elenco di errori urbani, nuovi quartieri di città che la gente non frequenta, nuove zone nate morte, esperimenti architettonici che non legano con la folla e che rendono la frequentazione impossibile. Il nemico — per Whyte — sono le ordinalissime città canadesi, dove passaggi aerei e passaggi sotterranei rendono inutile scendere in strada, e l'ambiente asettico e pulito delle strade vuote suggerisce una condanna imminente della città. Un altro avversario è l'atteggiamento da -salotto buono- del sindaco di New York (un atteggiamento che è anche impossibile) che cerca di •proteggere- certe strade, di impedire che ci siano venditori ambulanti per le strade di Manhattan, che vuole proibire la vendita sul marciapiede di hot dogs e fruita fresca. -Non vi accorgete che la folla tira la folla, che folla vuol dire vita e che la presenza della gente e in proporzione inversa al pericolo9". E allora, forse, la comparsa improvvisa delle statue metropolitane per le strade d'America questo significa: un appello della gente alla gente, un uso dell'immagine che realizza a rovescio la funzione dello spaventapasseri. Sono statue per suggerire presenza. Sono segni di vita. Più che preannunciarla, la notificano. Furio Colombo John Aheann «Uomo che pensa» e Duane Hanson: «Donna che legge un libro», due statue metropolitane, immagini a grandezza naturale, colorate, indistinguibili, a distanza, dalle persone vere