«Bush, costruiamo in America Latina un'isola di pace» di Mimmo Candito

«Bush, costruiamo in America Latina un'isola di pace» «Bush, costruiamo in America Latina un'isola di pace» DAL NOSTRO INVIATO L'AVANA — Gorbaciov ha lasciato Cuba ieri mattina. !Sotto la scaletta dell'aereo in partenza per Londra, nei saluti ufficiali alle delegazioni e ai leader di due rivoluzioni che seguono strade diverse, ancora una volta si è parlato di amicizia eterna e di popoli fratelli; ma la ritualità delle formule ieri appariva scoperta, perfino imbarazzante. E' la prima volta, da quando Gorbaciov ha preso il potere in Urss, che un suo viaggio si chiude con un bilancio insoddisfacente, forse anche amaro. E il gran colpo di scena, previsto, preparato alla perfezione con lo sbarco qui di tutte le grandi catene tv americane, è mancato clamorosamente: la cancellazione del debito cubano non è stata nemmeno citata, le promesse di una perestrojka tropicale sono assenti dai resoconti della visita, non una parola nuova fa riferimento al Nicaragua o al Salvador. La sola affermazione politica che Gorbaciov ha voluto imporre con fermezza è stata l'annuncio che il tempo delle rivoluzioni armate è finito per sempre. Pronunciato qui, nella terra delle utopie guerrigliere, l'annuncio ha un impatto geopolitico straordinario, ma è davvero poco, tenuto conto delle aspettative. La divergenza (non è affatto una rottura, però la linea di separazione appare forte e chiara) si è consumata tutta nei cento minuti di colloquio faccia a faccia tra Castro e Gorbaciov, martedì pomeriggio, prima del discorso pronunciato davanti all'Assemblea nazionale. Quando i due si sono chiusi nello studio di Fidel. soltanto con gli interpreti, i giochi erano ancora aperti: Gherasimov, portavoce sovietico, sollecitato dai giornalisti a dare qualche an¬ ticipazione del discorso che il suo capo avrebbe letto dopo un paio d'ore, si era schermito, trincerandosi dietro la scusa che «ci sono ancora quattro o cinque punti in bianco-. Sembrava, appunto, una scusa per stornare le pressioni insistenti. Ma poi si è visto che era una stupefacente verità. Già la visita era andata avanti per tre giorni come dentro un acquario, con Castro e Gorbaciov imbalsamati nelle misure strette del piccolo schermo tv. Dominato dalle esigenze della televisione, cintato strettamente dalle misure di sicurezza, sottoposto anche a una sorta di controllo da parte di Castro, ogni passo e ogni incontro dei due finiva per appiattirsi sul protocollo. Si capiva che le cose non filavano al meglio. L'agenzia ufficiale Prensa Latina continuava a sfornare voci su una cancellazione del debito, qualcuno si lasciava incantare da ipotetici progetti di cogestione del Centro America, perestrojka e rinnovamento si confondevano con l'agitarsi improvviso di tutte le forme di dissenso politico. In cento minuti di confronto duro a quattr'occhi, cadeva però ogni illusione e ogni invenzione giornalistica. E le carte sul tavolo mostravano una partita povera, chiusa senza accordi concreti. In quei cento lunghi minuti. Castro ha rivendicato la diversità del modello cubano, la necessità strategica di salvaguardare il mito latinoamericano del suo trionfo anti-Usa, il bisogno angoscioso di crediti per un'economia incapace di produttività; l'obbligo di tempi lunghi e cauti per qualsiasi progetto di riforma. Ha anche enfatizzato il forte impatto che la cancellazione del debito avrebbe avuto sul Sud Ame¬ rica e sull'intero Terzo Mondo. Gorbaciov ha chiarito che lui era all'Avana per annunciare proprio questa cancellazione, ma che non avrebbe potuto farlo senza sostanziali concessioni di Cuba sul piano politico, interno e internazionale; la politica del Cremlino rifiuta i gesti unilaterali che possano apparire di rottura dalla linea dei consenso con la Casa Bianca, e l'impatto della cancellazione avrebbe messo in evidente difficoltà i piani di Bush e delle capitali finanziarie dell'Occidente. Non se ne faceva niente, se questo non poteva essere accompagnato dal contemporaneo annuncio di un cambio di direzione nella politica di Cuba verso gli Stati Uniti. Non se n'è fatto nulla. I due leader si salutavano freddamente e partivano per l'Assemblea nazionale. E nella delegazione sovietica era il finimondo: il discorso di Gorbaciov andava rivisto profondamente, tagliato in più parti. Quando i due entravano nell'Assemblea, il lavoro di correzione non era terminato. Per fortuna, ci pensava Castro, che nel tentativo di coprire di parole il vuoto dei risultati, saltava il protocollo e improvvisava un saluto a Gorbaciov che andava avanti per cinquanta infiniti minuti. Le facce della delegazione sovietica erano livide, tirate; lo stesso Gorbaciov, dopo mezz'ora, guardava ostentatamente l'orologio. Alla fine il Comandante cedeva il microfono e il leader del pcus poteva parlare. Ma poteva dire ben poco, al di là di una decisa dichiarazione iniziale sulle necessità dell'economia, che suonano come un avviso perentorio, e ultimativo, all'inefficienza di Cuba, n suo discorso, che generalmente è molto ricco di contenuti, ampio, questa volta era monco, privo di respiro. I ta¬ gli improvvisati si facevano sentire, e si sentiva intera anche la delusione. Unico spunto nuovo la proposta di creare una zona di pace in America Latina e nei Caraibi e l'impegno di non stabilire basi militari sovietiche nella zona. Ancor peggio andava la conferenza stampa. Castro occupava il palcoscenico in lungo e in largo, cercando sempre di mascherare con le chiacchiere e i riconoscimenti al suo collega le divergenze macroscopiche; quasi non lasciava il microfono a Gorbaciov. 'Non cercate la quinta zampa del gatto — diceva Fidei —, tra noi non ci sono ma¬ lintesi, siamo d'accordo su tutto-. E Gorbaciov poteva solo dire: 'Abbiamo discusso, stiamo discutendo. Credo che l'Onu sia la migliore sede per risolvere il problema del debito internazionale-. Era ben poco. Sull'aereo ieri mattina Gorbaciov ha potuto caricare un nuovo bagaglio diplomatico: il ruolo politico — negoziale, pacificatore, non rivoluzionario — che ora l'Urss può a pieno titolo rivendicare anche sull'America Latina. Mosca resta l'alleata di Castro, ma in qualche modo se n'è anche liberata. Mimmo Candito