Gelli: la P2 dei buoni samaritani di Vincenzo Tessandori

Gelli: la P2 dei buoni samaritani Il «venerabile» spiega alla Radio Svizzera la sua verità sulla Loggia massonica Gelli: la P2 dei buoni samaritani «Portavamo coperte a chi dormiva sotto le stelle, soccorrevamo gli ammalati» - «Ed eravamo anticomunisti: significava vedere e eliminare il male» - «Associazione riservata, non segreta: tutti conoscevano sede, telefono e nome del gran maestro» DAL NOSTRO INVIATO GINEVRA — L'ultimo titolo scelto è La verità. E basta. Senza neppure l'aggiunta del possessivo «mia». Intestazione breve, aggressiva, carica di promesse e, forse, priva di pudore. Non c'è spazio per il dubbio. Autore un maestro, anzi il venerabile maestro della Loggia Propaganda 2, in dozzine di fascicoli processuali indicata sbrigativamente P2. E' il suo secondo tentativo letterario, l'altro, Fuoco.', usci al termine dalla guerra civile di Spagna, dove aveva chiesto di andare volontario con le camicie nere. Non fu un best seller. Stampato nel Canton Ticino, La verità. 421 pagine, allegati compresi, sarà presentato ai primi di maggio in un albergo del centro di Roma. Racconterà i fatti ma verosimilmente tacerà i misfatti della loggia segreta che più ha inquietato il nostro Paese e non soltanto il nostro. Che cosa ha spinto l'autore a ritentare la via del racconto? Mai sopite ambizioni letterarie o la speranza di convincere quanto, secondo lui, giornali e televisione abbiano deformato i fatti? "La P2 era una loggia all'obbedienza del Grande Oriente d'Italia, normale ma con caratteristiche particolari, riservala ma non segreta, come è stato detto più tardi-, ha spiegato il «venerabile' in un'intervista alla Radio della Svizzera Romanda nella quale ha toccato vari argomenti del libro. E ha aggiunto: -Tutli conoscevano sede, numero di telefono e nome del maestro venerabile. Dunque, non poteva essere segreta. Ma in Italia è tutto possibile e quando è necessario distrarre l'attenzione dell'opinione pubblica da cose assai più gravi s'inventa, o si fa credere che l'abito che porta il Papa non è bianco ma nero: Gelli tenta un restauro radicale dell'immagine della :>ua creatura'..«PersQ7tfiiila di grandissimo livello avevano aderito alla P2, dotale di cultura, d'intelligenza, di carisma, di prestigio. La P2 era considerala come un'attrazione che affascinava il mondo politico-. E a che cosa mirava?, gli hanno chiesto: ■/ suoi scopi erano umanitari. Tutti noi lavoravamo per migliorare la società. Non avevamo fini politici, eravamo di tutte le ideologie politiche, religioni e dottrine. Avevamo elevato a dogma i tre pilastri: Dio, patria e famiglia-. Dunque, i «fratelli" avrebbero dato vita a un'istituzione beneflca e non a una sorta di associazione per delinquere votata a tramare, complottare, deviare servizi più o meno segreti, come molti magistrati italiani hanno sospettato. -Volemmo ridar importanza a certi valori morali che oggi sono perduti. Soltanto questo. Se qualcuno aveva bisogno, cercavamo di aiutarlo, ciascuno di noi pagava una quota e avevamo un fondo a disposizione. Offrivamo borse universitarie a due o tre studenti, portavamo coperte a chi dormiva sotto le stelle, soccorrevamo chi, all'ospedale, si trovasse privo di affetti o gli anziani nelle case di riposo-. Buoni samaritani e anticomunisti viscerali. E' facile parlarne per Gelli, che negli anni della Resistenza esibiva una giubba per ogni stagione. «Eravamo tutti anticomunisti. Perché esserlo significava vedere ed eliminare il male. Per esempio, quando combattevamo in Spagna volavamo liberarla e l'abbiamo liberata dal comunismo. Subito avevamo avuto come un presentimento su che genere di germe sia il comunismo: l'abbiamo combattuto e lo combattiamo. Non si tratta di un credo politico, lo facciamo soltanto per aiutare l'umanità a eliminare l'unico moie, la sola peste, il solo cancro che s'insinua dappertutto e distrugge il tessuto della società e, in modo particolare, della famiglia-. Ma tutto questo non significa che i fratelli aiutassero qualche partito politico, garantisce il «venerabile»: -La massoneria non è una religione né un partito, non ha colore. Ma il partito comunista è sempre stato il nostro peggior nemico ed è cosi che noi lo trattiamo-. Ma il bel tempo che fu. almeno per lui. provoca nostalgia nell'ex materassaio di Arezzo: «Sono stato consigliere di molti capi di Stato e anche loro consulente. Ma non sono slato io a dire che quei capi erano il generale Perón. Reagan, Carter, il presidente liberiano Tobler. Certo, ho donato il meglio di me stesso nel mio campo: la finanza. Il che non significa che io abbia qualcosa a che fare con la delinquenza». Da quando, or è un anno, è rentrato in Italia, dopo un breve soggiorno nel cercere ginevrino di Champ Dollon, il Venerabile ha mutato aspetto. Allora, in attesa dell'estradizione, appariva curvo, il volto sofferente, incerto nella vo¬ ce, remissivo, preoccupato per le pessime condizioni del cuore: «E' grave, dev'essere scarcerato e poi operato-, ripetevano i medici. Processato, si mostrò imputato modello e rassegnato. Oggi, da Villa Wanda, sul colle di Santa Maria delle Grazie presso Arezzo, lascia capire di voler tornare il potente personaggio di un tempo, quello che chiamavano «il burattinaio». 11 tono della voce è spavaldo e aggressivo, così diverso da quello udito nell'aula del tribunale di Ginevra ma cosi uguale a quello che rimbombava nei corridoi dell'ambasciata argentina a Roma, o alla Casa Rosada a Buenos Aires, dove contava legami stretti, soprattutto negli Anni Settanta quando la repressione provocò oltre 30 mila desaparecidos: fratello in P2 era l'ammiraglio Eduardo Massera, uno de'Àajunta. In questo ultimo anno ha scritto il libro, è stato condannato a pene che non sconterà perché per quei reati la Svizzera non ha concesso l'estradizione: 10 anni per calunnia nel processo per la strage alla stazione e, a Firenze, otto per aver finanziato una cellula terroristica. Protesta: «Mai dato soldi, né a destra né a sinistra. E voglio aggiungere una cosa: all'epoca in cui si sarebbero consumati quei delitti ero amico di 150 generali delle tre Armi. Non abbiamo mai pensato a scardinare le istituzioni democratiche, ma avevo 150 generali fedeli e, dunque, non avevo alcun bisogno di appoggiarmi a ragazzi fra i quali, se ricordo bene, il più vecchio aveva 17 anni. Avrei dovuto essere completamente pazzo per fare una cosa del genere. Abbiamo fatto appello contro la sentenza di Firenze». E ora, ai vecchi arnesi della P2 il momento per il ritomo pare favorevole e anche Umberto Ortolani si dice disposto a lasciare il Brasile. Anche lui ci regalerà un'altra Verità? Vincenzo Tessandori

Persone citate: Eduardo Massera, Gelli, Rosada, Tobler, Umberto Ortolani