Il Papa: Cresci, uomo europeo di Jas Gawronski

Il Papa: Cresci, uomo europeo COLLOQUIO SOI RAPPORTI EST-OVEST, LA PERESTROJKA, IL PROGRESSO Il Papa: Cresci, uomo europeo «Sarebbe mio desiderio che l'Europa libera si espandesse alle dimensioni assegnatele dalla storia» - «Uniti, i Paesi europei potranno difendersi contro un eventuale egemonismo» - «C'è una certa tendenza a rivalutare i valori cristiani, ma si rafforzano anche quelli materiali, soprattutto in campo economico e scientifico» • «Siamo testimoni di una crisi nella Chiesa, ma se diminuiscono le vocazioni al sacerdozio, crescono i movimenti laici» • Speranze per Gorbaciov, preoccupazione per il nucleare Jas Gawronskì, giornalista e deputato europeo, ha raccolto in un libro che esce venerdì Primi piani - incontri con i protagonisti del nostro tempo (ed. Bompiani) una serie di inchieste e di interviste da lui realizzate. Quello che segue è il resoconto di un colloquio che ha avuto con il Papa. Era domenica, giorno in cui tradizionalmente al suo tavolo da pranzo siede uno dei suoi amici più cari, un alto prelato polacco da tempo residente a Roma. Quel giorno era malato, ed io mi ritrovai solo di fronte a Papa Wojtyla, con il suo segretario di lunga data, monsignor Dziwisz, a lato. Avevo chiesto di poterlo vedere per concludere il mìo libro con la testimonianza di un uomo che credo segnerà profondamente, forse più di Qualsiasi altro leader vivente, gli ultimi anni del nostro millennio. Volevo soprattutto ascoltare ed approfondire quella sua visione di un'Europa carolingia e pancristiana, così diversa da quella dei suoi predecessori, che gli aveva suggerito durante un viaggio in Spagna queste alte e toccanti parole: «Io, Giovanni Paolo II, figlio della nazione polacca, slavo tra i latini e latino tra gli slavi; io, successore di Pietro nella sede di Roma e pastore della Chiesa universale, dico a te, vecchia Europa, con un grido pieno di amore: ritrova te stessa, sii te stessa, riscopri le tue origini, ravviva le tue radici». Quella visione d'Europa, alimentata contemporaneamente da due polmoni, l'Occidentale e l'Orientale che nell'ottobre dell'anno scorso è venuto ad illustrarci con tanta semplicità quanta determinazione al Parlamento di Strasburgo. Mi fece invitare a pranzo al Vaticano, in quell'ampia sala con la più bella vista che si possa avere su Roma. Non era la prima volta che stavo per sedermi al suo tavolo, ma quel giorno salii ai piani alti del Vaticano con particolare emozione perché sapevo che non ci sarebbero stati altri ospiti e speravo che essendo domenica il Papa avrebbe avuto più tempo da concedermi. E infatti la conversazione, in polacco, finì per spaziare liberamente, per un'ora e mezzo, non solo sull'Europa ma anche su vari temi di politica internazionale con una particolare attenzione ai rapporti tra Est e Ovest. Nelle parole del Papa ho sentito l'interesse e la speranza per la perestrojka e per il suo ideatore, Gorbaciov, che Giovanni Paolo II aveva manifestato all'inizio dell'anno a tre rappresentanti del Comitato sovietico per la pace da lui ricevuti in Vaticano. Il risultato più tangibile ed immediato di quell'incontro fu un'intera pagina della Pravda dedicata al Papa e alla sua politica che è stata interpretata come una riabilitazione del Vaticano agli occhi del Cremlino in vista di una normalizzazione dei rapporti diplomatici e di un possibile viaggio del Santo Padre in Unione Sovietica. E sono passati solo venticinque anni da quando Papa Roncalli, sollevando critiche e polemiche, ricevette per la prima volta un sovietico in Vaticano, nella persona del genero di Krusciov, Agiubei. Nelle sue parole ho ascoltato analisi e giudizi acuti sul marxismo e la sua crisi che solo un uomo dotato della sua doppia esperienza di filosofo e di polacco vissuto sotto il comunismo potrebbero sviluppare con tanta profondità e autorevolezza. Nelle sue parole ho trovato conferma dell'interesse che continua a rivolgere a quelli che definisce i popoli sovente dimenticati dell'Est europeo. I suoi predecessori Giovanni XXIII e Paolo VI tendevano a considerare Europa solo la sua parte occiden¬ tale. Quella orientale la vedevano più come un problema diplomatico da risolvere secondo i metodi indolori della diplomazia: cauti negoziati con i governi locali per ottenere maggiori spazi di libertà alla Chiesa cattolica, tenendo in scarso conto i suggerimenti e le esigenze degli espiscopatì locali, e sema mai battersi a fondo in difesa delle proprie posizioni. Un esempio: nel '73 il Vaticano concesse la nomina a vescovo di un prelato cecoslovacco notoriamente favorevole al regime in base ad un accordo che prevedeva le sue successive dimissioni da una associazione di preti controllata dai comunisti — una nomina «ad nutum Sanctae Sedes», che cioè poteva essere revocata. Il neovescovo non onorò l'impegno, ma il Vaticano non revocò la nomina. Ora i 60 milioni di cattolici che vivono all'Est europeo si sentono rassicurati dall'avere a Roma un Papa che ha vissuto, o sarebbe meglio dire patito, l'esperienza di un regime comunista. Un Papa che crede nel contributo che le nazioni dell'Est possono dare alla costruzione di una grande Europa attraverso la loro identità uscita maturata e rafforzata, in un istinto d'autodifesa, dalle trasformazioni marxiste. Un Papa che proprio da Strasburgo ha lanciato la sua campagna per una Europa senza frontiere politiche o spirituali. . — Il discorso che lei l'altr'anno ha pronunciato a ■Strasburgo ha destato molto interesse al Parlamento europeo. Può riassumerne le idee che ritiene più importanti? «Sarebbe mio desiderio che l'Europa, dotandosi di libere istituzioni, possa un giorno espandersi alle dimensioni assegnatele dalla geografia, ma soprattutto dalla storia. Da quando in terra europea si sono sviluppate in epoca moderna le correnti di pensiero che poco a poco hanno allontanato Dio dalla comprensione del mondo e dell'uomo, due visioni opposte alimentano il punto di vista dei credenti e quello dei fautori di un umanesimo agnostico e a volte anche ateo. Per la prima l'ubbidienza a Dio è la sorgente della vera libertà. Per la seconda, avendo soppresso ogni subordinazione della creatura a Dio, l'uomo in sé diventa il principio e la fine di tutte le cose, e la società, con le sue leggi, sua opera assolutamente sovrana. «Dopo Cristo, non è più possibile idolatrare una società come grandezza collettiva divoratrice della persona umana e del suo destino. Nessun progetto di società potrà mai stabilire la perfezione sulla terra. I messianismi politici sfociano spesso nelle peggiori tirannidi. «E' nell'humus del cristianesimo che l'Europa moderna ha attinto il principio che governa in modo più fondamentale la vita pubblica: mi riferisco al principio, proclamato per la prima volta da Cristo, della distinzione fra. "ciò che è di Cesare" e "ciò che è di Cristo, di Dio". Ma il cristianesimo non può essere relegato alla sfera privata. Esso ha un ruolo di ispiratore dell'etica e una sua efficacia sociale. Se questo suo sustrato religioso o cristiano dovesse essere emarginato, non è soltanto tutta l'eredità del passato che verrebbe negata, ma perfino l'avvenire dell'uomo europeo, credente o meno, verrebbe gravemente compromesso». — Ma quale senso vede lei in un'Europa unita? «H senso principale consiste nel fatto che l'Europa è un continente piccolo, e le nazioni europee, anche se grandi come cultura, storia, lingua, sono piccole dal punto di vista del territorio. Mi sembra che l'idea di un'Euro¬ pa unita, l'idea di quei politici emersi nel dopoguerra come Adenauer, Schumann, De Gasperi, sia stata un'idea molto indovinata. Loro avevano capito che ci dobbiamo difendere, all'interno dell'Europa, dal pericolo dell'egemonismo. D'altra parte, in seguito al processo di decolonizzazione, i Paesi europei hanno cambiato peso e misura, oggi sono Paesi piccoli, e quindi una qualche nuova unione di questi Paesi ha una sua logica, razionale. Nessuno del Paesi europei, abbandonato a se stesso, potrebbe difendersi contro un eventuale egemonismo, mentre tutti insieme uniti, in qualche modo, riuscirebbero a farlo». — E che ruolo può avere la Chiesa in questa Europa unita? Il marxismo, lo abbiamo detto, ha perso mollo della sua attrattiva. Si è creato un vuoto. Come si potrebbe riempirlo? «Un vuoto c'è, ma non è un vuoto del tutto neutro, perché in questo vuoto si muovono certe forze, soprattutto occidentali e collegate fra di loro. Una di queste forze è l'economia del mercato libero, l'economia capitalista; l'altra forza è la scienza, la capacità intellettuale, la cultura scientifica, la scienza moderna dominata malgra¬ do tutto dalle scienze naturali, colorata di positivismo. Ecco, se si prendono in considerazione tutti questi elementi è facile capire che questo vuoto non è così adatto, disponibile, a riempirsi di contenuti cristiani. «Forse si comincia a notare una certa tendenza a rivalutare questi valori cristiani, un certo maggiore interesse nei loro confronti, ma l'Europa occidentale ha ancora molti di questi contenuti, di questi valori materiali, soprattutto nel campo economico ed in quello scientifico che continuano a svilupparsi, a progredire. Ed è per quello che la visione del progresso in questi settori costituisce ancora una grande attrattiva. Anche se questa visione del progresso indubbiamente è stata scossa dall'impatto con alcuni fattori concreti. Questo progresso per esemplo si è così tanto identificato con la minaccia nucleare, da mettere in forse in qualche modo il suo valore come progresso. Sono tutte cose a cui bisogna pensare, ed io ci penso spesso. «Naturalmente la Chiesa, la Cristianità, deve prendere in considerazione questo vuoto e adeguarvi la sua missione e il bisogno di una nuova evangelizzazione in Europa. Di tutto questo si parla molto, e forse si parla di più di quanto non si faccia. «Contemporaneamente siamo testimoni, cosa abbastanza sorprendente dopo il Concilio, di una certa crisi nella Chiesa, di una crisi delle vocazioni. Ma è una crisi di tipo particolare, non generale, perché al posto delle vocazioni tradizionali, quelle che portano al sacerdozio e agli ordini monastici, si è sostituito un altro tipo di vocazioni, per esempio i movimenti laici. Ecco tutto questo dev'essere preso in considerazione e dev'essere coordinato in qualche nuovo modo». Ho citato alcuni brani del colloquio con il Papa. So anche che a molti lettori interesserebbe sapere come e cosa si mangia a pranzo dal Papa. Mi perdoneranno se non soddisfo la loro legittima curiosità: mi sembrerebbe indiscreto e di cattivo gusto rivelare dei dettagli della vita privata di Giovanni Paolo II di cui, anche se per un attimo, è stato cosi gentile di rendermi partecipe. Prima di congedarmi e di ringraziarlo gli ho posto un'ultima domanda: 'Padre Santo, è difficile essere Papa?». «Non è proprio facile — mi ha risposto con un sorriso — ma con l'aiuto di Dio ci si può riuscire». Jas Gawronski Strasburgo, ottobre 1988. Il Pontefice durante la Messa nella cattedrale. «Non è proprio facile fare il Papa, ma con l'aiuto di Dio ci si può riuscire»