Il Kosovo lancia i generali di Guido Rampoldi

Il Kosovo lancia i generali Dalla crisi etnica emerge il nuovo ruolo dell'esercito come arbitro Il Kosovo lancia i generali I militari si considerano difensori del modello titoista - Ma nelle loro file prevale l'autoritarismo serbo - La Slovenia, preoccupata, attenua le polemiche contro le forze armate DAL NOSTRO INVIATO BELGRADO — I carri armati schierati nel Kosovo hanno già vinto una battaglia: non sui separatisti albanesi, contro i quali sono inutilizzabili, ma sulla libertà di stampa in Slovenia. L'Armata incalzava il nemico dalla scorsa estate. L'ha raggiunto e sconfitto, per il momento, a Belgrado, dove negli ultimi giorni i dirigenti di Lubiana hanno acconsentito a frenare le polemiche dei mass media contro le forze armate, come richiesto in riunioni a porte chiuse dalla presidenza della Lega dei comunisti e dell'Alleanza socialista jugoslava. Nel clima prebellico costruito in questi giorni, con la crisi del Kosovo affrontata come se fosse in gioco l'integrità nazionale, "qualcosa si deve concedere», spiega Ciril Zlobec, vice presidente dell'Alleanza socialista slovena. Ma Zlobec non è affatto convinto che il compromesso basterà a disinnescare il velato ricatto che vede incombere sul liberal-comunismo sloveno, giacché "l'ingresso dei tank nel Kosovo rafforza l'implicita minaccia di un intervento militare contro l'evoluzione verso la democrazia in Slovenia». Minaccia mai formulata, considerata a Belgrado irrealistica. E tuttavia sulla Slovenia pende ancora l'accusa, mai ritirata, che aveva formulato l'anno scorso il Consiglio militare, un organo consultivo del governo: «Situazione controrivoluzionaria», nella quale trova spazio «la guerra speciale», combattuta anche attraverso la stampa da elementi in contatto con imprecisate potenze straniere. Analisi ricavata anche da un piano «segreto» per la destabilizzazione della Jugoslavia fatto circolare in ambienti militari. Con lo stesso copione in questi giorni il governo serbo ha attribuito al separatismo albanese un piano preordinato, in quattro punti, per realizzare nel Kosovo la "Controrivoluzione», sempre «in intelligenza col nemico». Da qui l'occasione per schierare l'esercito contro un separatismo che ieri, attraverso i colpi sparati da cecchini contro due elicotteri, slitta verso il terrorismo. Ecco così che sullo sfondo dei tank del Kosovo prende forma un «partito dei generali» che entra di prepotenza in una scena politica finora dominata da due «comunismi» antagonisti: il larvato pluripartitismo sloveno e il modello autoritario, monolitico e nazionalista di Slobodan Milosevic, il leader serbo. Ecco l'Armata che interpreta la propria «neutralità» non più nella chiave dello spettatore ma dell'arbitro. In questo autorizzata dalla Costituzione, dove è scritto che è compito delle forze armate la difesa non solo dei confini e del modello federativo, ma anche del sistema socialista autogestito: termine che si presta alle più svariate interpretazioni. Nella lettura del comitato delle forze annate della Lega dei comunisti, l'organo politico di una gerarchia militare che per procedere nella carriera è chiamata a digerire li¬ brerie di testi ideologici, la Jugoslavia deve restare quella di Tito. Come il comitato ripete ormai da mesi, per ultimo l'altro ieri in toni più perentori di prima, non c'è spazio né per il pluripartitismo legittimato dagli sloveni né per le modifiche ai confini intemi proposte da Milosevic per ricostruire una Jugoslavia a supremazia serba. Veti che l'Armata esprime in nome di una fedeltà al sistema jugoslavo e al Paese dei quali si considera l'unica garanzia, al cospetto di risse tra repubbliche e conflitti tra «comunismi» opposti. I quotidiani jugoslavi non si emozionano per sortite del genere. Però l'ultima, anch'essa relegata nelle pagine interne, "suona come un at- tacco diretto a una parte della leadership jugoslava», nota Stasa Marinkovic, direttore di Borba, il quotidiano del partito. L'attacco è rivolto a serbi e sloveni, che si affronteranno in autunno nel congresso della Lega, chiamato a modellare il nuovo socialismo jugoslavo e a legittimare o sconfessare l'esperimento di Lubiana. Quanto è effettiva l'equidistanza dell'Armata nello scontro tra i due modelli? I suoi quadri vengono per grande maggioranza dalle regioni povere e con forti tradizioni militari: sono cioè serbi, bosniaci di origine serba e montenegrini; serba è anche la lingua ufficiale delle forze armate. Questo, e una certa concezione autoritaria del potere, secondo Zlobec farebbe propendere il -partito dei generali» dalla parte di Milosevic. Con l'Armata, il leader serbo è l'altra grande incognita dei prossimi mesi. "Acclamalo da tutta la Serbia, che lo vuole insignito della medaglia di eroe del lavoro socialista», come ha scritto ieri Politika, Milosevic si appresta a diventare il Presidente della Repubblica serba. E poi? -/ suoi futuri passi sono imprevedibili», dice Marinkovic. Imprevedibili come gli esiti del marasma jugoslavo, con l'inflazione al 397 per cento, l'intervento nel Kosovo che rischia di spaccai e la nazione (e in polemica con Belgrado ieri Radio Lubiana parla di cento morti negli scontri), il partito disintegrato e l'urgenza di una riconversione produttiva che avrà forti costi sociali. Se la crisi precipitasse, sarebbero ancora i tank a pacificare, dopo il Kosovo, anche la Jugoslavia? Guido Rampoldi

Persone citate: Ciril Zlobec, Marinkovic, Milosevic, Slobodan Milosevic, Zlobec