In punta di coltello
In punta di coltello In punta di coltello Beh. come storia del coltello può bastare anche perché, per chi ne volesse sapere di più. è uscito recentemente un ottimo libro di Franco Lorenzi dal titolo •Coltelli in cucina e a tavola- (Franco Muzzio Editore). Sua Maestà il Coltello ha più luoghi di nascita sparsi ormai in tutto il mondo. Solingen, nella Germania Federale, è forse il posto più conosciuto per la sua produzione ma in Italia esistono luoghi importanti come Maniago in Friuli, Premana in Lombardia, Scarperia in Toscana, Campobasso nel Molise. E poi Pattada in Sardegna dove c'è un'ancestrale tradizione per il' coltello pastorale (molto ricercati quelli estremamente taglienti dell'artigiano Delinna con impugnatura in osso). Né poteva mancare il Giappone. Nella città di Seki esiste un'industria all'avanguardia che produce coltelli con lame di titanio e di ceramica. E ad alta tecnologia. Come per tutte le produzioni di rispetto passate dalla fase artigianale a quella industriale attraverso millenni di storia, c'è una ricca nomenclatura per addetti ai lavori. L'arrotatura e l'ondulatura riguardano c'era una bacinella per lavarsi le mani mentre leccarsi le dita (all'epoca nasce questa frase per indicare soddisfazione) voleva significare che la pietanza era buona. Insomma, al tempo dei romani antichi, l'uso del cutter coquinarius era relegato alla cucina dove la carne veniva tagliata prima di essere portata a mensa. Usanza che in un certo senso si dilatò sino al XVI secolo quando, al fianco dei commensali, comparve una simpatica e utilissima figura: il trinciante. Come dire che il coltello abbandonò la cucina e le mani dei servi per passare in quelle di un professionista del taglio che appagava ogni desiderio mangereccio del signore a tavola. Questo trinciante che oggi chiameremmo «operatore gastronomico» ebbe comunque il suo momento di maggiore fama ed esaltazione nella prima parte del '600. A lui furono dedicati libri, poemi e onori. Fusoritto da Nardi, trinciante del cardinal Farnese, fu addirittura una star dell'epoca. Vincenzo Cervio gli dedicò un libro, il clero e i nobili se lo disputavano a peso d'oro perché sapeva tranciare con colpi sicuri le parti ghiotte della grande selvaggina tenendo l'animale sospeso con un forchettone. Senza alcun contatto fisico delle sue dita con le carni cotte. Il coltello, nel XVII secolo, usci dalle cucine e diventò oggetto abituale del commensale. Ma. come sempre accade, ogni mutamento ha il suo risvolto negativo. Si, il coltello fu impugnato direttamente da chi si voleva divertire a tagliuzzare un pezzo di anatra glassata (all'epoca piaceva pazzamente) o un tocco d'agnellino farcito nel miele. Ma lui. il coltello, diventò pure uno strumento infallibile per commettere venefici a corte, sistema di fare critica politica che nel '600 andò molto di moda. Bastava collocare una minima quantità di arsenico nelle scalfitture provocate dai punzoni nella lama e ricoprirle di cera per eliminare «in maniera pulita» l'avversario. La cera, a contatto con la pietanza calda, si scioglieva lasciando le labbra a contatto con il micidiale veleno. Ecco perché improvvisamente ci fu l'abitudine di portarsi da casa il proprio coltello oppure quella di chiuderlo in vigilati forzieri tra un pranzo e l'altro. c.1710 !
Persone citate: Franco Lorenzi, Franco Muzzio Editore, Nardi, Seki, Vincenzo Cervio
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