Gessi bianchi dai fanghi rossi di Scarlino

Gessi bianchi dai fanghi rossi di Scarlino Gessi bianchi dai fanghi rossi di Scarlino di acque acide derivate dalla produzione del biossido di titanio: fino al '74 venivano scaricate così com'erano — nemmeno neutralizzate — a 50 miglia dalla costa a livello dell'elica (cosi in superficie che molte sostanze inquinanti restavano a galleggiare). Dopo battaglie e interventi ufficiali, per quattordici anni sono state prima neutralizzate con calcare per eliminare l'acidità, poi scaricate a 80 miglia dalla costa a una profondità di centinaia di metri, In modo da non interferire con la fascia di più intensa attività biologica, la zona eufotica. Dal 7 novembre '88 anche questa fase è superata: le bettoline sono in disarmo, i fanghi rossi non ci sono più. Com'è stato possibile? La storia di Scarlino è la storia dell'evoluzione nella produzione di biossido di titanio, un pigmento inorganico straordinariamente bianco e straordinariamen¬ L'antropologo Rich te coprente. Lo si usa dappertutto: negli smalti delle auto e degli elettrodomestici, nelle pitture murali e nelle tappezzerie, negli abiti e nella carta, nelle protesi dentarie e nei cosmetici. Quando lo stabilimento entrò in funzione — era il '72 e la proprietà era Montedison — ne produceva 36 mila tonnellate l'anno. Ora, passato da qualche anno alla britannica Tioxide, ne produce 75 mila. La materia prima è l'ilmenite, un minerale che non esiste in Italia ma si importa dall'estero a diversi gradi di purezza: la varietà norvegese contiene il 45 per cento di biossido di titanio, quella australiana il 55. Il resto è in gran parte ossido di ferro, che origina solfato ferroso, un sottoprodotto difficilissimo da smaltire in queste dosi: i possibili riutilizzi (pigmenti di ferro, trattamento delle acque, condizionamento dei terreni) sono as¬ ard Leakey: «Metterei solutamente inadeguati alle quantità prodotte. n problema è stato risolto importando dal Sud Africa una scoria titanifera già privata della maggior parte del ferro, pura all'85 per cento. I residui di ferro sono però solo uno dei problemi posti dalla lavorazione. Per ottenere il biossido di titanio, il minerale viene attaccato con acido solforico. Questo processo produce tutta una serie di scarti inquinanti: fanghi insolubili di attacco, costituiti dai residui del minerale non attaccato dall'acido solforico; soluzioni fino al 24 per cento di acido solforico libero e di solfati (gli «effluenti forti») e soluzioni analoghe ma più diluite (gli -effluenti deboli-): acque connesse con i lavaggi di gas, le condensazioni di vapori, i raffreddamenti; effluenti gassosi provenienti dai reattori, dai forni, dai filtri. La soluzione più ovvia è tutti i crani in un u ni sempre sembrata quella di far sparire tutto nel mare, tant'è che anche lo stabilimento di Scarlino è a un passo dalla costa. Ma l'inquinamento effettivo — e le proiezioni per il futuro — hanno spinto la Cee a elaborare una direttiva specificamente dedicata al biossido di titanio: nel giro di dieci anni ( '78/88) si è passati da un generico invito a ridurre progressivamente l'inquinamento al divieto di scarico nelle acque. La Tioxide italiana è riuscita a inventarsi un nuovo ciclo di smaltimento dei residui della lavorazione entro i tempi prestabiliti. I reflui, neutralizzati con calcare e calce, si trasformano in un gesso bi-idrato. Finora questi gessi, ottenuti per decantazione in grandi bacini, venivano semplicemente messi a terra nei terreni intomo allo stabilimento. Ora questa operazione avviene per filtrazioi.. e pressatura. Se co genere, Homo» ne ricava un gesso asciutto, rossiccio, classificato come rifiuto solido speciale, non tossico né nocivo, che continua a venir messo a terra nei terreni intorno allo stabilimento, pero in un modo un po' più sofisticato: va a riempire gli antichi bacini di decantazione, le zone degradate vicine al Padule, le cave abbandonate di Montioni, secondo un progetto di bonifica e di recupero del paesaggio. Per il momento, si fanno esperimenti con diverse qualità di erbe per vedere che cosa può crescere su questo terriccio rosso senza dover scotennare altre zone per trasportare humus fresco. Il ciclo di smaltimento ha però anche un'altra conclusione: un gesso bianco simile al gesso naturale, che potrebbe trovare un suo spazio come alternativa al gesso di cava, la cui estrazione pone problemi ambientali e paesaggistici. Marina Verna Australopithecus africanus, dall'andatura bipede perfetta bricazione di utensili siano in qualche modo correlati. La costruzione di strumenti in pietra faceva certamente parte dell'esperienza di quello che lei chiama Homo habilis, ma non c'è nulla che lo dimostri. Se gli scimpanzé usano utensili in pietra allora non è improbabile o poco plausibile che tutti gli omi¬

Persone citate: Leakey, Marina Verna

Luoghi citati: Italia, Scarlino, Sud Africa