Dostoevskij detective della coscienza

Dostoevskij detective della coscienza In anteprima uno studio di Vasilij Rozanov sull'autore di «Delitto e castigo» Dostoevskij detective della coscienza Un fratello di Dostoevskij. Così era considerato Vasilij Rozanov: per la sua vita di avversità economiche e sentimentali, per il suo pensiero crogiuolo di ricerca mistica e conservatorismo slavofilo. E proprio a Dostoevskij aveva dedicato la sua prima opera di rilievo, «La leggenda del Grande Inquisitore», pubblicata nel 1891, a 35 anni: una lettura filosofica del celebre incontro tra Gesù e l'Inquisitore, nei «Fratelli Karamazov»; più che un esercizio di critica letteraria una meditazione sulla religione, la lotta tra 11 bene e il male, II destino dell'uomo. Il saggio di Rozanov— del quale Adelphi già ha fatto conoscere l'opera più importante, «Foglie cadute» e di recente lo studio sui miti egizi «Da motivi orientali» — esce in italiano da Marietti, a cura di Nadia Caprioglio e con un'introduzione di Vittorio Strada (pp. 186, L. 27.000). Per concessione dell'editore, anticipiamo le pagine iniziali del quinto capitolo, sull'anima religiosa di Dostoevskij. DOSTOEVSKIJ è considerato il più profondo conoscitore dell'anima umana, Lo è diventato per aver visto in essa la concentrazione di tutti i misteri che travagliano l'uomo e la soluzione di tutte le difficoltà che nella storia finora all'uomo non è stato dato di superare. Abbiamo definito L. Tolstoj artista della vita dalle forme compiute, che hanno acquisito solidità; il mondo spirituale dell'uomo entro queste forme è da lui preso in esame con ineguagliabile cura: ogni minimo moto del cuore, ogni impercettibile germe di pensiero nelle forme della vita realizzata, del realizzato ordine spirituale, sono rappresentati nelle sue opere con una precisione che non lascia nulla al caso. Ma non tocca due momenti fondamentali della vita che si va storicamente definendo, la genesi e la dissoluzione; momenti questi che, indubbiamente, portano in sé un che di morboso, spesso racchiudono qualcosa di ingiusto, a volte di criminale. Ed egli rifugge inequivocabilmente tutto questo. Dostoevskij, invece, ne è irresistibilmente attratto: egli completa Tolstoj; al contrario di lui, analizza quanto c'è di irrisolto nella vita dell'uomo e nell'animo umano. La sua assoluta separazione dalla realtà quotidiana, la mancanza di qualsiasi legame organico, di simpatie, è certamente la causa principale del fatto che egli si soffermi esclusivamente sui momenti della genesi e della dissoluzione. Pieno di attese o di rimpianti, egli era eternamente rivolto al futuro o al passato, mai al presente. Per questo seguire la disgregazione e la morte del presente o l'alba di una nuova vita in mezzo a questa dissoluzione, rappresentava per lui la massima soddisfazione. Nella lunga serie del suoi romanzi, da Delitto e castigo fino a Ifratelli Karamazov, vediamo i personaggi già definiti solo baluginare, come in lontananza; in primo piano si muovono uomini che non appartengono a nessuna determinata categoria, inquieti e sempre alla ricerca di qualcosa, intesi a distruggere o a creare. Di qui le particolarità della sua analisi psicologica: è un'analisi dell'anima umana in generale, nelle sue diverse condizioni, in vari stadi, transizioni, ma non un'analisi della vita interiore individuale, isolata e conclusa come in Tolstoj. Non sono figure compiute, ognuna con il proprio centro interiore, quelle che si muovono davanti a noi nelle sue opere, bensì una schiera di ombre di qualcosa di unico, come differenti trasformazioni, pieghe di un unico nascente o morente essere spirituale. Perciò la riflessione, e non la contemplazione, è l'effetto più rimarchevole che provocano su di noi i suoi personaggi. Dostoevskij apre davanti ai nostri occhi i recessi della coscienza umana, direi, scioglie e rivela, nel limite delle proprie forze, quel nodo mistico che rappresenta il centro della natura irrazionale dell'uomo. Tuttavia, nell'ordine dei suoi interessi, l'analisi psicologica era soltanto secondaria e circoscritta: essa si sviluppa solo a cominciare da Deliito e castigo. La condizione più importante, che determina ogni cosa, per lui era la sofferenza umana e il suo legame con il senso generale della vita. E in ef¬ fetti, il tema della sofferenza appare già, ma solo come Immagine, nella sua prima opera, Povera gente, mentre essa viene studiata dialetticamente nell'ultima (/fratelli Karamazov). n male radicale della sua storia consiste in un errato rapporto tra il fine e i mezzi: la personalità umana, considerata solo un mezzo, si butta ai piedi dell'edificio innalzato alla civilizzazione e, naturalmente, nessuno può determinare in che misura e per quanto tempo questo possa essere perpetuabile. Schiacciate già ovunque le classi inferiori, essa si sta preparando a schiacciare le popolazioni primitive e nell'aria a volte si diffonde l'idea che la generazione ora vivente possa essere sacrificata per il bene futuro, per un Indeterminato numero di generazioni venture. Qualcosa di mostruoso si compie nella storia, come se uno spettro l'avesse afferrata e corrotta; per ciò che nessuno ha mai visto, che tutti attendono soltanto, si compiono cose intollerabili; l'essere umano, fino a oggi eterno mezzo, si butta non più ad unità, ma in massa, a popoli interi, in nome di un lontano fine comune, che non si è rivelato ancora a nessun vivente, su El Greco: «Ritratto del Cardinale Juan de Tavera» cui possiamo solo congetturare. E dove tutto questo abbia termine, quando mal apparirà l'uomo finale, al quale sono state sacrificate tante vittime, non è noto a nessuno. ' Là critica della possibilità di un ideale definitivo costituiva solo la prima metà del problema che si prefiggeva di risolvere. Dimostrata l'irrazionalità della natura umana, e quindi l'inconsistenza di un fine ultimo Dostoevskij si levò in difesa della dignità non relativa, ma assoluta, della personalità umana, di ogni singolo individuo, che per nulla al mondo potrà mai essere soltanto un mezzo. In questo rientra l'ordine delle sue idee religiose. Straordinaria e felice è la coincidenza verificatasi fra il risultato della sua spassionata analisi della natura umana e ciò che richiedevano gli obiettivi della sua lotta: mostrando l'irrazionalità dell'essere umano, ha rivelato in esso la presenza di qualcosa di mistico, senza dubbio trasmessogli all'atto della creazione. E ciò concordava in pieno con la necessità di guardare all'uomo come a qualcosa di incomparabilmente superiore rispetto a quanto si pensava di lui, qualcosa di religioso, sacro, Inviolabile. Come aggregato di funzioni fisiologiche, una delle quali è la coscienza, l'uomo è indubbiamente soltanto un mezzo, per lo meno ogni qual volta lo esiga un altro e maggior numero di eguali aggregati fisiologici. Lo vediamo in modo totalmente diverso se riconosciamo la sua origine e natura mistica: egli porta l'impronta del suo Creatore, in lui c'è il volto di Dio, che non si oscura, che non si piega, ma che va difeso come un bene prezioso. Bisogna notare che soltanto nella religione si rivela il valore della personalità umana. Nel diritto la personalità è soltanto qualcosa di fittizio, il centro indispensabile cui fanno riferimento gli impegni contrattuali, le proprietà e simili; il suo significato qui non è chiarito né motivato, e se essa viene determinata in un modo o nell'altro, tale determinazione risulta primitiva, arbitraria: è una condizione che si può anche non accettare. La stessa personalità nel diritto può essere oggetto di un contratto, e la schiavitù in genere è la naturale conseguenza di un puro e semplice ordinamento giuridico. Nell'economia politica la personalità sparisce del tutto: conta soltanto la forza lavoro, in cui l'individuo è un accessorio del tutto inutile. Così, per mezzo del sapere, della scienza, la reintegrazione della personalità nella storia è inattuabile: possiamo rispettarla, ma ciò non è neanche indispensabile, e possiamo trascurarla soprattutto quando essa è empia, depravata. Tuttavia l'introduzione stessa di queste condizioni limita l'assolutezza della personalità: per i greci erano empi tutti i barbari, per i romani coloro che non erano cittadini dell'impero, per i cattolici gli eretici, per gli umanisti gli oscurantisti, per gli uomini del 1793 tutti i conservatori. A questo relativismo, e con esso a tutti i dubbi e le incertezze, pone fine la religione: qualsiasi personalità che goda del bene della vita, è assoluta come l'immagine di Dio ed inviolabile. Ecco perché, nel caso della schiavitù, essa si rafforzava quanto più la religione si indeboliva o veniva travisata; e, al contrario, si rafforzava con la coerenza, la precisione, l'insindacabilità del diritto. In Delitto e castigo per la prima volta Dostoevskij manifesta dettagliatamente l'idea del valore assoluto della personalità. Fra estreme sofferenze, alla vista di uomini che soccombono o vanno incontro alla rovina, l'anima casta del protagonista di questo romanzo si ribella, ed egli decide di infrangere la legge dell'inviolabilità dell'uomo Una dialettica geniale viene posta a giustificazione del fatto; questo si compie. E subito dopo comincia l'interazione mistica fra l'assassino, la vittima e le persone che gli stanno intomo. Tutto ciò che avviene nell'anima di Raskol'nikov è irrazionale; egli fino alla fine non sa perché non doveva uccidere l'usuraia. Ed insieme con lui anche noi non comprendiamo razionalmente, dialetticamente, gli stati della sua coscienza, le peculiarità del suo gesto. Ma in tutto il nostro essere avvertiamo con assoluta chiarezza la necessità di tutte le conseguenze dell'azione da lui compiuta. Ha appena calpestato il volto divino, deturpato, d'accordo, dal suo portatore,' èd écccTcHèrvsènte come anche in se stesso questo volto si sia offuscato e con lui tutta la natura: -Non la vecchia ha ucciso, ho ucciso me stesso», dice a un certo pun to. Come se qualcosa si fosse insediato nella sua anima, facendo apparire tutto sotto una luce nuova e oscurando per sempre le sue certezze di prima. Sente che con tutti i \1venti rimasti da questa parte del delitto non c'è più niente che lo accomuni, che lo unisca, e che non ci sarà mai più. E' passato dall'altra parte, si è allontanato da tutti gli uomini per andare là. dove sarà solo con la vecchia che ha assassinato. Il nodo mistico del suo essere, che noi chiamiamo anima, è strettamente unito da un legame impercettibile al nodo mistico dell'altro essere, di cui ha distrutto la figura esteriore. Si direbbe che tutti i rapporti tra assassino e vittima si siano conclusi, e invece essi continuano; si direbbe che tutti i rapporti fra lui e le persone che gli stanno intorno siano mantenuti e soltanto un po' mutati, e invece si sono completamente interrotti. Qui, in questa analisi della criminalità, nella rivelazione, per così dire, degli strati d'atmosfera spirituale che circondano ogni personalità, ora interagendo, ora cessando di interagire, si scopre il più grande mistero della natura umana, è svelata la somma e sacra legge dell'inviolabilità dell'essere umano, della sua assolutezza. Vasilij Rozanov

Luoghi citati: El Greco, Ifratelli Karamazov