Una «resa» che divide anche i politici di Augusto Minzolini

Una «resa» che divide anche i politici Una «resa» che divide anche i politici ROMA — Può un giudice aver paura? La domanda ieri è rimbalzata per tutto 11 giorno tra i crocchi di deputati in Transatlantico e nelle sedi del partiti. La decisione di Gianfranco Riggio, il presidente della corte dì assise di Agrigento idi dare le dimissioni dallo staff dell'alto commissario per la lotta alla mafia Domenico Sica dopo le minacce ricevute dalla sua famiglia, ha diviso anche il mondo della politica. Nelle sale ovattate di Montecitorio si è materializzato il dramma personale di chi è esposto in prima persona nella battaglia contro la piovra. E sono venuti fuori tanti interrogativi, tanti atteggiamenti diversi su un episodio noto dietro al quale se ne nascondono altri mille che probabilmente si sono consumati in silenzio, coperti dal velo dell'intimidazione. Così il personaggio Riggio, conosciuto e stimato da molti anche nei palazzi della politica romana (nelle penultime elezioni politiche è stato candidato dal psi al Senato, ma il seggio non è scattato), è diventato il caso su cui si misura un problema drammatico. E nei giudizi spesso si confondono principi, esperienze personali, e l'inquietudine verso un avversario, come la mafia, che non si riesce a sconfiggere. •No, per me non è giusto avere paura- dice Tina Anselmi, ex presidente della commissione P2 che nell'81 si è ritrovata un ordigno con 2 chili di tritolo (per fortuna scoperto in tempo) nel terrazzo di casa, a Castelfranco Veneto. 'Per me il giudice ha detto una cosa sacrosanta: si può decidere di rischiare per se stessi, non per la propria famiglia' ribatte Carol Tarantella, vedova dell'economista della Cisl assassinato dalle Br. Ma c'è chi affronta l'argomento soprattutto nell'ottica del confronto contro la criminalità mafiosa, contro la sua capacità di ricatto e di minaccia. -Mi colpisce — spiega Gerardo Chiaromonte, presidente della commissione antimafia — la pubblicità che si è voluta dare alla decisione, che non contribuisce certo a rafforzare la volontà di lotta contro il fenomeno mafioso'. 'Riggio mi ha stupito: non è altrettanto, e forse più pericoloso fare il presidente di corte d'assise, ad Agrigento, in processi contro la mafia?' polemizza Ombretta Fumagalli, exesponente del Csm e ora deputato de. •La sua pubblica confessione — rincara il liberale Alfredo Biondi, vicepresidente della Camera — rafforza oggettivamente l'immagine di una mafia sempre più invincibile e credibile nella sua forza intimidatrice». Non tutti però sono spietati. Molti non dimenticano le responsabilità dello Stato e del governo: perché il magistrato non si è sentito garantito, difeso? E' un altro aspetto del problema che non sfugge. 'La rinuncia di Riggio — è l'opi¬ nione di Claudio Martelli — conferma le diagnosi pessimistiche del capo della polizia e dell'alto commissario su chi effettivamente controlla il territorio in Sicilia: se la mafia o lo Stato-. E allora si ripetono le promesse e le accuse che accompagnano tutte le pagine della lotta alla mafia: i repubblicani insorgono per chiedere l'impegno delle autorità politiche, mentre il comunista Luciano Violante indica le responsabilità del governo e dei partiti: -Salvo Lima — dice — che siede nella direzione della de non è certo un simbolo di lotta contro la mafia'. Si ripropongono tutti i problemi legati alle disfunzioni, alle inefficienze. Si cita la relazione dell'antimafia 'su Reggio Calabria (l'ultima denuncia di un organismo parlamentare di questi problemi) in cui ancora una volta torna lo stesso ritornello di sempre: «Anche par la Sicilia da parte del Csm c'è una richiesta di aumento dell'organico dei magistrati». Ai temi di sempre, poi, si aggiunge anche il dramma personale, il ricatto spaventoso che si presenta con le minacce verso i familiari. •No, io non mi sento di giudicare — spiega Guido Bodrato, vicesegretario de—chi ha paura per la propria famiglia'. "Bisogna rispettare i drammi di tutti' ripete Giuseppe Gargani, già responsabile della de per i problemi della giustizia. E Carol Tarantelli fotografa la solitudine di chi è chiamato a questa lotta impari: "Bisogna capire che è terribile combattere contro chi non ha limiti e, contemporaneamente, essere grati verso chi si sente ancora di lottare. Invece, spesso, non pochi di noi accusano di protagonismo chi è pronto a rischiare la propria vita-. C'è chi condanna la decisione del magistrato, chi la comprende; chi avrebbe consigliato maggior riserbo, chi gira le colpe all'inefficienza dello Stato. E in più c'è anche la paura di chi conosce la mafia, di chi ce l'ha sotto casa: -Io — racconta un uomo politico siciliano — ho ricevuto delle minacce personali ma mai contro la mia famiglia. Ma per favore non scriva il mio nome, altrimenti la prossima volta potrebbero usare la stessa tecnica con me». Anche nel Palazzo c'è chi ha paura. Augusto Minzolini

Luoghi citati: Agrigento, Castelfranco Veneto, Reggio Calabria, Roma, Sicilia