L'ordine serbo nel Kosovo

L'ordine serbo nel Kosovo f ì • A Pristina occupata dai carri armati che soffocano la rivolta L'ordine serbo nel Kosovo Belgrado denuncia «un complotto dei nemici interni ed esterni della Jugoslavia» -1 morti sono saliti a 23 - Un gruppo filoalbanese a Bruxelles parla di 137 vittime nell'ultima settimana DAL NOSTRO INVIATO PRISTINA — Le bandiere serbe sventolano a- decine nelle silenziose strade di Pristina, nel cuore del Kosovo riconquistato con la legge e con le armi dal governo di Belgrado. Gli albanesi sembrano essersi piegati al diktat del Parlamento serbo, che tre giorni fa ha di fatto cancellato l'esorbitante autonomia della provincia; e la velleitaria guerrìglia, dopo 48 ore di scontri episodici e feroci, dopo 23 morti (ma da Bruxelles 11 «Comitato per la difesa dei diritti dell'uomo nel Kosovo» ha smentito le cifre ufficiali,' sostenendo che i morti nell'ultima settimana sarebbero stati 137) e ondate di arresti, gli ultimi tra gli universitari ieri, pare essere stata acquietata da un'imponente morsa militare. Ma la mischia non è conclusa, e anzi potrebbe allargarsi. «C'è un piano organizzato dai nemici della Jugoslavia, interni ed esterni', ha annunciato ieri pomerìggio a Belgrado il ministro degli Interni serbo, Bugdanovic, descrivendo ■ una situazione drammatica che cambia di ora in ora*. Ecco cosi il motivo ed il pretesto per tenere ancora impegnate le forze armate Jugoslave, e i carri armati, come i sette tank in fila indiana che vediamo dietro un dosso, a 30 chilometri da Pristina, con i cannoncini come pun¬ tati contro una quindicina di casette addossate dentro un perimetro di mura, secondo l'uso musulmano. Quei tank sono una presenza più politica che pratica. Inutilizzati e inutilizzabili contro le bande armate albanesi, dovrebbero suonar di monito ai «nemici esterni», ovvero presumibilmente al governo di Tirana: ma con più efficacia ammoniscono i «nemici interni», profilando una velata minaccia soprattutto all'orizzonte della Slovenia, che in queste ore assiste intimidita alla vittoria di Slobodan Milosevic, l'uomo forte della Serbia, e dei suoi descamisados di Belgrado, per i quali il liberal- co munismo della ricca Lubiana e l'irredentismo arcaico di un Kosovo in miseria cadono sotto lo stesso reato, «controrivoluzione». L'ordine precario che regna adesso nel Kosovo è il figlio della paura. La paura fa dimenticare d'improvviso l'inglese anche agli albanesi dell'Associazione degli scrittori, l'anima della resistenza all'espansionismo serbo. Nessuno ha voglia di parlare, nessuno ricorda qualcosa delle notti in cui crepitavano le armi, nessuno ha l'ardire di obiettare. Neppure Lubiana, dove si fa sentire solo il vagiGuido Rampoldi (Continua a pagina 2 In quarta colonna)

Persone citate: Rampoldi, Slobodan Milosevic