Wim e lo stilista dei suoi timori

Wim e lo stilista dei suoi timori Parigi, parla Wenders impegnato in un film sul giapponese Yamamoto Wim e lo stilista dei suoi timori Dice il regista tedesco: «Desideravo conoscerlo perché quando porto i suoi vestiti ho l'impressione es.s^re protetto» - Nelle riprese vengono seguiti i momenti (solitari) deUa creazione tra i lunghi tavoli nen della sua sartoria parigina - Coperà verrà presentata al Centre Georges Pompidou il 25 aprile PARIGI — Wim Wenders gira con Yohji Yamamoto, su di lui, sul suo lavoro di stilista, un film che verrà presentato In anteprima il 25 aprile al Centre Georges Pompidou. Wim Wenders ama il Giappone, c'è stato varie volte, si è riconosciuto nei film di Ozu. Senza averlo incontrato, conosceva Yohji Yamamoto, portava i vestiti creati da lui: 'Quei vestiti m'aiutano enormemente, e io ho spesso bisogno d'essere aiutato... Prima mi vestivo come capitava, sema farci attenzione. Quando porto i vestiti di Yamamoto, ho l'impressione d'essere protetto: hanno la stessa funzione delle armature nel Medioevo. Desideravo conoscere il creatore di quei vestiti; con Solveig (Solveig Dommartln, sua moglie, l'acrobata de fi cielo sopra Berlino, n.d.rj ne avevamo parlato spesso*. 'Ne D cielo sopra Berlino, la scena secondo me più importante è l'ultima, che è l'ultima non soltanto del film ma anche di una fase del mio lavoro: per la prima volta, in un'opera mia, la donna parla e si rivolge all'uomo... In questa scena, Solveig doveva sentirsi perfettamente a suo agio, e il suo modo di presentarsi era importantissimo. Abbiamo studiato a lungo come dovesse essere vestita. Alla fine abbiamo trovato un abito rosso meraviglioso: era di Yohji. Poi il Centre Pompidou m'ha chiesto d'incontrare Yamamoto, di vedere se si poteva fare un film. Ho accettato immediatamente». Si può Immaginare l'Incontro fra i due Introversi, il tedesco con lo sguardo malinconico e l'aria da adolescente, 11 giapponese sorridente e silenzioso... Per Yohji Yamamoto vivere e lavorare davanti all'obiettivo della macchina da presa, consentire di filmare l'intimità della creazione, non è stato sempre piacevole. Poi s'è adattato: minuto, discreto, bisognoso d'una solitudine assoluta per poter disegnare o scegliere un tessuto, un colore, è riuscito a organizzarsi, a vincere il timore ispiratogli dalla gente di cinema. -Mi metteva paura conoscerli*, dice. Dà un'impressione di calma inesorabile. Confessa d'avere avuto a volte scoppi di collera, e d'averli dominati accorgendosi che destabilizzavano 1 suoi collaboratoli. Vuole armonia. La sua sartoria parigina, con quei lunghi tavoli neri rettangolari, ricorda la dolcezza atemporale d'un chiostro: si parla a bassa voce, come per non infrangere qualcosa d'Invisibile, d'Impalpabile. Non c'è traccia d'angoscia. 'Il solo dilemma che mi dia angoscia è l'esistenza o meno d'un distacco tra me e la nostra epoca*, riconosce Yohji Yamamoto. L'aria del tempo la coglie attraverso 1 libri, a volte il cinema, qualche viaggio, lo sguardo del suoi collaboratori. Non si considera uno del mondo della moda: 'Fashion o chic non mi riguardano. Io sono un fabbricante di vestiti. Per me un vestito è un oggetto che esiste comunque in sé, ma prende vita quando qualcuno lo indossa*. 'La creazione di moda m'interessa non in quanto moda, ma in quanto creazione; dice Wim Wenders. 'Della moda non sapevo nulla. Avevo visto qualche sfilata nei cinegiornali, prima che esistesse la televisione: a mia madre naturalmente interessavano, mio padre inorridiva all'idea che le piacessero. Quando ho cominciato a girare, ero curioso di questo Yamamoto che lavorava in un campo a me perfettamente igno- lo. Ho imparato molto. Ho visto due sue sfilate, ne ho seguito la preparazione, ila in sé il processo di creazione è indescrivibile, ineffabile come per un compositore che stia scrivendo una partitura. D'un architetto puoi forse mostrare gli schizzi, ma come puoi far vedere la maniera in cui immagina il suo edificio collocato in una strada, un quartiere, una città? Nella creazione c'è qualcosa di segreto, di chiuso*. 'Puoi soltanto seguire quel che succede dal moinento in cui appare un elemento fisico. Puoi pedinare il creatore, e io ho pedinato Yamamoto con la mia macchina da presa... Il suo lavoro, per come l'ho visto, non è molto diverso dal mio sul set. Io ho un copione, e lui un'idea, di partenza; poi c'è una componente d'improvvisazione, un lavoro con la luce e col montaggio; alla fine ci sono la presentazione, la distribuzione. Io non mi occupo più della distribuzione dei miei film, ma in passato l'ho fatto. Yohji Yamamoto possiede delle boutiques; io non possiedo cinematografi, altrimenti... Yohji controlla tutto dall'A alla Z, padroneggia magistralmente la sua società: nel cinema ci saranno forse quattro o cinque persone capaci di fare altrettanto. Controllare almeno la produzione di un film sarebbe indispensàbile, è la sola cosa che permetta la libertà di creazione e che la garantisca: più che in ogni altra arte, nel cinema la creazione si compra coi soldi... In questo senso Yamamoto, anche se ha maggiori responsabilità, è più libero dì me*. Dichiarazioni raccolte da Colette Godard (Copyright Le Monde/La Stampa) ■»« « i. Solveing Dommart in e Wenders durante la lavorazione de «Il cielo sopra Berlino» in cui l'attrice indossò abiti di Yamamoto

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