Mindszenty rimorso magiaro di Guido Rampoldi

Mindszenty, rimorso magiaro La riabilitazione del Primate apre nuovi rapporti Stato-Chiesa Mindszenty, rimorso magiaro Budapest vuole soprattutto rendere omaggio al governo rovesciato nel '56 - Le asprezze conservatrici del cardinale anche trentanni fa imbarazzarono il Vaticano - Le accuse di spionaggio e la «confessione» - Un imputato del processo Nagy. «Restò sempre un curato di campagna» Come nel '71, quando Nixon e Paolo VI lo forzarono ad abbandonare l'ambasciata americana di Budapest, suo rifugio dal '56, il cardinale Jozsef Mindszenty torna ad essere, 15 anni dopo la sua morte, moneta di scambio sul tavolo della distensione. La revisione del processo nel quale il primate ungherese fu condannato all'ergastolo, nel '49, confermerà il nuovo corso nel rapporti Stato-Chiesa e spianerà la strada alla visita in Ungheria di Giovanni Paolo II, prevista per l'anno prossimo. L'assoluzione postuma chiuderà diplomaticamente un contenzioso storico tra i più aspri, origine tra le altre della scomunica inflitta ai marxisti da Pio XII tre mesi dopo la sentenza. Di questo conflitto Jozsef Mindszenty volle essere, anche contro VOstpolitik vaticana post-Concilio, l'emblema. Ma è probabile che la sua •riabilitazione» in Ungheria suonerà soprattutto come un riconoscimento al governo del '56, che liberò Mindszenty, piuttosto che come un tributo alla memoria dell'ex prelato, la cui visione del mondo pare oggi improponibile. "L'epoca moderna, con le sue idee liberali e ostili alla Chiesa — scrisse Mindszenty nelle sue Memorie, terminate nel '75 — ci portò indifferenza e irreligiosità. I costumi decaddero, il sacramento del matrimonio venne disprezzato, la comunità coniugale messa in pericolo'. Nessuno dei gruppi che formano l'opposizione sembra oggi conquistato dall'antimodemismo monarchico del tenace cardinale austro-ungarico. La Chiesa in cui crebbe Jozsef Pehm, cognome più tardi magiarizzato in Mindszenty, nell'Ottocento aveva appoggiato gli Asburgo contro l'indipendentismo ungherese, a cavallo delle due guerre mondiali si era schierata decisamente con il regime autoritario di Horthy, e nel '38-'39, attraverso i prelati che sedevano nella Camera Alta, aveva approvato la legislazione antisemita. Di questa tradizione Mindszenty, come del resto l'episcopato ungherese dopo l'ingresso delle truppe naziste, non condivise l'antisemitismo, e anzi si adoperò per la salvezza degli ebrei. Arrestato due volte, nel '45 venne nominato f primate di Ungheria da Pio XII. • Uomo battagliero e nient'affatto conciliante — scrivono gli storici Federigo Argentieri e Lorenzo Gianotti rievocando il dopoguerra ungherese — Mindszenty considerò che il suo ruolo fosse quello di homo regius, cioè capo legittimo della nazione in assenza del re, al punto che scrisse a Otto d'Asburgo affinché occupasse il trono di Santo Stefano-. Di fatto entrò subito in conflitto col governo provvisorio, una coalizione di sei partiti, dai liberali ai comunisti. Il primo terreno di scontro fu la riforma agraria, che sottraeva alle istituzioni ecclesiastiche la loro base economica: il latifondo. Ingaggiò, e perse, una seconda batta¬ glia contro la nazionalizzazione delle scuole, per gran parte controllate dalla Chiesa. Nel '48, quando 11 partito comunista, che rappresentava il 22% dell'elettorato, si impadronì del potere, fu subito chiaro che un compromesso con la curia ungherese, arduo per un governo liberale, era assolutamente incongruo per il totalitarismo stalinista. Arrestato e accusato con false prove di spionaggio. aggiotaggio, complotto per restaurare la monarchia, Mindszenty racconterà nelle sue Memorie di aver firmato la «confessione» dopo aver subito per giorni botte e violenze, -per quanto entro certi limiti e con una certa prudenza- (rispetto almeno alla ferocia con la quale erano di solito seviziate le vittime dello stalinismo). Aggiungerà di aver apposto accanto alla firma un «CF», per coactus fedi: fui costretto. Quella sigla non compare accanto alla firma riprodotta in un libro del '49 prefatato da Francois Mauriac, Un procès préfabriqué, che smaschera la montatura dei «giudici» e pubblica la foto di Mindszenty al processo: lo sguardo sconvolto, l'ombra dell'uomo entrato in carcere due mesi prima. La condanna all'ergastolo verrà annullata dal governo Nagy, nel '56, quando Mindszenty può tornare a Budapest da primate di Ungheria, salutato da un milione e mezzo di ungheresi; ma in un discorso alla radio evita di legittimare il governo che gli ha restituito libertà e rango, e anzi quasi sì propo¬ ne come capo dell'opposizione. Per MikJos Vasarhelyi, uno dei dieci imputati del processo Nagy, è la conferma che Mindszenty restò «un ex curato di campagna* del tutto inadeguato alla situazione. Quando arrivano i carri armati sovietici il primate si rifugia nell'ambasciata americana: vi resterà 15 anni; alla fine, come scrive, -ospite indesideralo-. Sarà costretto a lasciare l'Ungheria suo malgrado, nel '71, dietro pressanti richieste delle diplomazie americana e vaticana. «L'Osservatore romano — racconterà più tardi — commentò la mia partenza come se si fosse eliminato un ostacolo che rendeva più diffìcili i rapporti tra Chiesa e Stato-. Corre nel Portogallo di Salazar a pregare sulla tomba di Horthy. Poi si trasferisce a Vienna, dove conclude le Memorie, nella parte finale insolitamente polemiche verso il Papa, che nel frattempo ha dichiarato vacante la sua sede arcivescovile. Quando muore, nel '75, è ancora lo strenuo difensore di una linea pacelliana, di confront azione, che in Ungheria è risultata rovinosa. Non molto più produttiva si rivelerà la linea del compromesso, che tuttora impone alla Chiesa ungherese un'umiliante condizione di sudditanza. Ma più a Nord, in Polonia, la Chiesa del cardinal Wyszynski già si annuncia come il vero interlocutore del regime: a conferma che spesso è l'intelligenza e l'abilità degli uomini a fare la Storia. Guido Rampoldi Città del Vaticano. Il cardinale Jozsef Mindszenty in una immagine del '74 con Papa Paolo VI (Telcfoto Ap)