«Tagliate le vie per Kabul» di Tito Sansa

«Tagliate le vie per Kabul» Drammatico annuncio della «Pravda», non confermato dai capi della guerriglia «Tagliate le vie per Kabul» La città sarebbe sotto assedio e rifornita con ponti aerei - Il comandante Abdul Haq: «Jalalabad ci costerà un bagno di sangue, non vorrei che si ripetesse per la capitale» - «L'India ha inviato seicento consiglieri militari a Najibullah» DAL NOSTRO INVIATO PESHAWAR — Kabul è completamente assediata o no? La radio sovietica e la Pravda, che dovrebbero avere l'interesse a dire che nella città la situazione è normale, informano che la capitale afghana è stata isolata dai mujaheddin i quali hanno tagliato tutte le principali strade all'intorno e che viene rifornita per via aerea. Il comandante dei mujaheddin della zona di Kabul, Abdul Haq, che invece dovrebbe essere interessato a propagandare i suoi successi, non fa menzione dell'isolamento e anzi dice che le autocolonne che trasportano viveri per la popolazione vengono fatte passare attraverso il passo di Salang, benché non gli risulti che in merito esistano accordi tra il regime di Najib e 11 comandante locale Massud. Lo conferma il nuovo ministro dell'Informazione della guerriglia, ingegner Najibullah Lafraie, che dice: «Le strade sono aperte. Noi del partito Jamiaì blocchiamo solo i trasporti di armi e munizioni. Quello che fanno gli altri sei partiti non è affare nostro». Insomma, per un qualche motivo imperscrutabile, le parti ne! gioco della propaganda si sono invertite. Lo stesso vale per la feroce battaglia intorno a Jalalabad che dura ormai da 18 giorni. Radio Mosca e la Pravda informano che un'autocolonna di rifornimenti, armi e munizioni partita un paio di giorni fa da Kabul non ha potuto raggiungere la meta perché i guerriglieri hanno fatto saltare alcuni ponti, che si sono dovuti inviare decine di eli cotteti e che gli assedianti sono stati ricacciati sulle loro posizioni. Fonti giornalistiche dei mujaheddin per converso dicono che la strada Kabul-Jalalabad è stata in terrotta per due giorni (cioè non lo sarebbe più) e che l'offensiva continua. L'unica coincidenza delle due versioni è quella dei rifornimenti aerei. Ma allora — viene da domandarsi — 1 mujaheddin hanno esaurito le scorte di missili terra-aria Stinger? Il comandante Abdul Haq ieri era in vena di confidenze, disposto perfino a parlare senza irritarsi di Jalalabad, la sua città, che viene distrutta pezzo per pezzo dalla battaglia in corso. Due settimane fa rifiutava 11 colloquio perché sembrava che la città dovesse cadere nel giro di poche ore, mentre lui aveva previsto che la conquista sarebbe costata un bagno di sangue. Ora però i fatti gli hanno dato ragione e Abdul Haq dice con fierezza: «L'avevo detto fin dall'anno scorso che sarebbe stata una carneficina. I mujaheddin sono forti e troppo orgogliosi ma non hanno cervello. Stupidamente si sono lanciati al massacro». Aggiunge: «Non vorrei che a Kabul accadesse la stessa cosa. Dobbiamo conquistare la città lentamente, distribuire volantini invitanti alla resa gli abitanti che non vogliono morire per il regime, e poi attaccare». Abdul Haq ci introduce poi nel suo sancta sanctorum, fa vedere per la prima volta, permettendo di parlarne, la centrale operativa del suo comando. Sono tre salette in una villetta nel più lurido quartiere della periferia di Peshawar, affogata tra smisurate pozzanghere di fango. Qui c'è tutta Kabul raffigurata dietro una tenda su una parete in un enorme pannello elettronico luminoso collegato con un computer. In rosso sono tutte le posizioni governative (le caserme, i bunker, gli uffici, il deposito di armi, di carburante, di viveri, ecc.), in verde tutte quelle dei mujaheddin infiltrati. Fino al 15 febbraio c'erano anche puntini blu, quelli dei sovietici, che ora con il ritiro dell'Armata Rossa sono spariti. Manovrando tasti multicolori nella sala dei bottoni, il comandante è in grado di ri¬ chiamare i dati memorizzati dal cervellone. Sono dati precisi su migliaia di installazioni e organizzazioni e su decine di migliaia di persone. Per gli individui vanno dalla data di nascita fino agli indirizzi palesi e segreti, dalla composizione della famiglia fino agli orari abituali degli spostamenti, dal numero di telefono fino alla targa dell'automobile, n contatto del cervellone, fornito dagli americani (Abdul Haq a Los Angeles ha una sua sede distaccata), con gli' informatori all'interno di Kabul è continuo per via radio, in cifra, rivela Abdul Haq, aggiungendo che i dati vengono modificati di giorno in giorno in tempo reale, che «di Kabul so tutto» perché ha centinaia di collaboratori infiltrati negli organismi politici e militari del regime che sono in contatto con lui. Il comandante racconta di uno scherzo che quasi ogni giorno fa al presidente Najib, facendogli pervenire le copie dei rapporti dei suol servizi segreti prima che questi le abbiano fotocopiate. Najib se le trova sul tavolo la mattina per vie misteriose, al risveglio, con la colazione, quando arriva in ufficio. Il comandante nega che vi siano pakistani che combattono a Jalalabad nelle file dei mujaheddin. Dice: «Non li vogliamo, non accetteremo mai la presema di soldati stranieri», ma ammette che «forse venti-venticinque volontari ci sono». Ripete invece l'accusa all'Unione Sovietica di avere inviato a Jalalabad a dar man forte alla guarnigione governativa assediata novecento soldati musulmani tagichi e uzbechi. Accusa anche l'India di avere in Afghanistan, e precisamente a Mazar-i-Sharif, vicino al confine con lUrss, seicento consiglieri militari e ufficiali al comando del generale Soran Singh. Del contingente indiano farebbero parte anche sessanta piloti che hanno già compiuto incursioni nella zona di Jalalabad, per «esercitarsi» e prepararsi al lancio di minuscole bombe chimiche soffocanti già depositate a decine di migliaia nell'aeroporto di Deh Dani, nell'estremo Nord. Le armi chimiche — secondo 11 rapporto di Abdul Haq — verrebbero impiegate dal regime di Kabul se i mujaheddin conquisteranno Jalalabad e vi insedieranno il loro governo provvisorio. «Se» riusciranno a conquistare la città, dice. Le ultime notizie infatti concordano nel dire che la battaglia continua ed è un duello di artiglieria a distanza. Il regime di Kabul comunque è convinto di durare. Tant'è che ha appena iniziato la costruzione di due grandi aeroporti militari vicino alla capitale. Tito Sansa