Addio Grande Fratello di Jas Gawronski

Addio Grande Fratello Come Varsavia (e l'Est) si affrancano da Mosca Addio Grande Fratello Tre flash dì un viaggio in Polonia - Dopo 45 anni l'annuncio ufficiale: la strage di Katyn fu opera della polizia segreta di Stalin - Il partito rinuncia a controllare mezza gioventù - Il primo ministro: siamo su una strada senza ritorno Durante un recente soggiorno in Polonia ho avuto la fortuna di assistere a due avvenimenti che non hanno avuto molto risalto e che rappresentano invece segnali importanti del cambiamento in atto fra i Paesi dell'Est e l'Unione Sovietica, e del disorientamento di quei partiti comunisti al potere che si ispirano alla linea di Gorbaciov. Il primo episodio ha avuto come sfondo la conferenza stampa settimanale del portavoce del governo Jerzy Urban. Uomo tanto intelligente e capace quanto odiato dai polacchi non di regime. Urban non è certo tipo da mostrare emozioni. E quel giorno lesse l'annuncio con la solita voce querula e stridente con cui illustra i fatti di ogni settimana: «Abbiamo le prove: a Katyn i nostri ufficiali furono assassinati non dai nazisti ma dalla polizia segreta di Stalin, la NKVD». Se la voce a lui non tremò nel proclamare questa verità che i polacchi hanno sempre conosciuto e che le autorità hanno sempre negato, certo i redattori del telegiornale della sera devono aver vissuto momenti di agitazione e di panico nel mettere in onda la notizia, tanto che per errore la trasmisero due volte di seguito, a distanza di pochi minuti. Con quella frase Urban, in pochi secondi, aveva annullato 45 anni di bugie e falsi storici rivoltando la versione ufficiale della strage di Katyn, quella sovietica, secondo cui autori del massacro furono i nazisti. L'episodio è noto: migliaia di ufficiali polacchi, Velile dell'esercito, furono catturati dai sovietici nel '39 all'inizio della guerra e sparirono fino al '43, quando i loro corpi, ciascuno con un colpo alla nuca, furono riesumati dai tede schi nella foresta di Katyn. Per 45 anni la falsa versione dell'avvenimento imposta dai sovietici ai polacchi, che han no un culto particolare per la loro tradizione militare, ha pesato nei rapporti fra i due popoli più di qualsiasi altro sopruso perpetrato da Mosca o dai suoi agenti di Varsavia. Per chiudere il contenzioso, almeno dal punto di vista storico, manca ancora la conferma del Cremlino, attesa giù due anni fa, quando Gorbaciov visitò Varsavia. Allora la speranza andò delusa, ma ere do che la verità non rimarrà nascosta ancora per molto tempo negli archivi che il KGB ha ereditato dalla NKVD staliniana. L'annuncio di Urban sembra indicare che i partiti comunisti nei Paesi dell'Est sentono ora autorizzati, se vo gliono guadagnarsi prestigio e legittimità, ad iniziative che possono anche precedere, spiazzare ed imbarazzare grande fratello sovietico. D'ai tra parte, la verità annunciata su Katyn non mancherà di smussare ulteriormente quei sentimenti antisovietici, già molto ridimensionati dalla politica di Gorbaciov, che i polacchi hanno sempre nutrito nei confronti della potenza confinante. Del resto, che i tempi fosse ro maturi per la «rivelazione fatta da Urban lo avevo intuì to qualche giorno prima, cam minando lungo la Krakowskie Przedmiescie, una delle strade principali di Varsavia, quando avevo notato una grande ressa attorno a delle bancarelle vicino all'Università. Pensavo al'arrivo di un nuovo carico di frutta o verdura, e invece in bella mostra per la vendita trovai giornali e libri ciclostilati e clandestini, per il possesso dei quali ancora qualche tempo fa si rischiava l'arresto. Lì, in mezzo a tanta verità nascosta ai polacchi per così molti anni, vidi un libro marrone con il titolo: Zbrodnia Katynska, la strage di Katyn. Non riuscii a prenderlo in mano perché c'era troppa folla, ma non ho dubbi che la strage di cui parlava era quella dei sovietici, non dei nazisti. Il secondo episodio di cui fui testimone si svolse lo stesso giorno, qualche ora più tardi, durante un'altra conferenza stampa, quella in cui ogni sera i portavoce di Solidamosc illustrano l'andamento della trattativa alla tavola rotonda a cui siedono coi rappresentanti del potere. Mentre un delegato del sindacato indipendente spiegava la sua posizione sul problema della sanità, arrivò trafelato il portavoce personale di Lech Walesa per annunciare che il Premio Nobel per la pace aveva ottenuto dal ministro degli Interni Kiszczak il riconoscimento della struttura giovanile dell'opposizione, la NZS. Le autorità comuniste polacche, sentendosi scivolare il potere di mano, vorrebbero almeno mantenere i connotati essenziali del tradizionale sistema di controllo partitico e poliziesco sul Paese. In un rapporto segreto ai Segretari provinciali riuniti nella piccola cittadina di Sierock, il membro dell'Ufficio Politico Ciosck ha spiegato qual è il dilemma, oggi, dei comunisti polacchi: «Abbiamo scarso appoggio fra la popolazione, ma dobbiamo mantenere il potere, e per giunta con metodi democratici. Una cosa è certa: non possiamo cedere il potere, anche se siamo costretti ad ammettere che il nostro sistema si è logorato». In questa ottica, il partito comunista, in Polonia più che negli altri Paesi dell'Est, aveva sempre cercato di mantenere il controllo sui giovani, allettandoli con vantaggi materiali e possibilità di carriera, e cercando così di neutralizzare l'influenza della Chiesa cattolica. Il fatto che abbia rinunciato anche a questo baluardo può essere interpretato come un indice di scarsa fiducia nel proprio futuro. Lo stesso Walesa, durante una colazione a tre all'Hotel Eurpoejski con il suo consigliere per la politica estera Bronislaw Gieremek, mi ha spiegato la sua semplice e limpida tesi sul comunismo: «E' finito. E anche loro se ne rendono conto». Nel linguaggio polacco del dopoguerra «loro» sta a significare gli altri, i comunisti, innesto estraneo ed imposto a un popolo che non li ha mai voluti. «Ed ora — ha continuato Walesa — noi che per anni siamo stati tormentati dal comunismo, dovremmo salvarlo!». Secondo il leader di Solidamosc, che mi è apparso vivace come al solito e più maturo politicamente, il comunismo è un sistema di altri tempi, «che non ha nulla in comune con il computer», e più la tecnica progredisce, più ci si accorge che è antiquato. «In pochi anni di gestione del potere sono riusciti a trasformare la Polonia in un labirinto più perfetto di quelli ideati dagli antichi greci, ed è veramente difficile trovare una via d'uscita», ha detto Walesa con un sorriso ironico. Lui è convinto che una via d'uscita riuscirebbe a trovarla, ma ha bisogno che l'Occidente investa in Polonia, «perché allora tutti si muoverebbero e la Polonia diventerebbe il Paese che dovrebbe essere». A questo proposito gli ho chiesto se è vera l'idea di un appello congiunto Solidamosc autorità per ottenere l'inter- vento di capitali stranieri, la riduzione del debito esterno e in genere l'abolizione delle ultime vestigia della quarantena finanziaria imposta dopo l'entrata in vigore, sette anni fa, della legge marziale. Secondo Walesa, Stati Uniti ed Europa occidentale hanno sempre sostenuto che, se la Polonia si fosse mossa sulla strada della democrazia, sarebbero intervenuti. Ed i polacchi, la strada della democrazia l'hanno non solo imboccata, ma anche percorsa per un buon tratto. E c'è un altro elemento da tener presente: la crescente crisi economica, con un livello di vita ben inferiore a quello del '78, rischia veramente di suscitare manifestazioni di malcontento tali da provocare una repressione violenta che metterebbe in difficoltà Gorbaciov, bloccando per un lungo periodo l'attuale sviluppo positivo dei rapporti EstOvest. E questo non sarebbe nell'interesse di nessuno. «L'idea di un appello congiunto è stata discussa — mi ha precisato Walesa — ma solo se ci sarà un completo accordo o alla tavola rotonda conclusiva del 3 aprile. Spero che ci riusciremo, perché le riforme sono indispensabili e improrogabili: tutto sta a vedere se riusciremo a svilupparle con l'evoluzione o la rivoluzione. E'l'ultima occasione che abbiamo per farle in via pacifica. E anche Gorbaciov sarebbe contento. Ed è per questo che ho deciso di rischiare, di sedermi alla tavola rotonda. In questo modo però rischio solo io: se l'esperimento del dialogo fallisce, la mia carriera politica è finita. Ma se non ax'essi accettato questo rischio personale, se non avessi fatto nulla, tutta la società polacca correrebbe oggi rischi ben più gravi». Ma un'intesa verrà trovata, anche se non sarà necessariamente di lunga vita, perché le due parti sono unite da un interesse comune: avendo legato il loro futuro a! raggiungimento di un accordo, sia Walesa che i comunisti «riformatori» non possono permettersi di tornare alle loro organizzazioni a mani vuote, per non dare potere e prestigio alle rispettive ali estremiste, che si sono sempre opposte al dialogo. Altrettanto incerto sulle prospettive polacche mi è apparso Mieczyslaw Rakowski, che ho visto per la prima volta, a suo agio e sempre brillante, nel suo nuovo ruolo di primo ministro. «I sovietici la definiscono perestrojka, noi preferiamo parlare di rinnovo del socialismo, ma non saprei dire come cambierà il sistema e quali forme definitive assumerà. Ci sono troppe incognite, e la più decisha è l'economia. Per razionalizzarla dovremmo andare contro delle abitudini molto radicale. Per 40 anni ogni cittadino polacco era sicuro che avrebbe avuto un lavoro. E' scritto nella Costituzione. Tutti vorrebbero vivere in un. sistema capitalista e lavorare con le garanzie di un sistema socialista». Come Walesa, anche Rakowski sente l'urgenza di cambiamenti, ma li considera più facili in politica che in economia. Il capo del governo prevede che si raggiungerà un certo grado di accordo con Solidamosc che non significherà però pace politica. Anzi, secondo Rakowski, si formeranno vari gruppi politici, con il pericolo che si arrivi alla polverizzazione che caratterizzò il periodo fra le due guerre, quando sulla scena politica agivano una trentina di partiti. «Questa prospettiva non mi entusiasma, ma è inevitabile: è la logica reazione a tanti anni di paralisi politica». Non lo entusiasma perché non crede che possa contribuire ad un allentamento delle tensioni politiche e soprattutto alla soluzione del problema che reputa più importante, quello economico appunto. «La presenza di due o più sindacati nelle aziende non potrà che sviluppare una concorrenza per allargare la rispettiva influenza, e ciò si può ottenere solo con concessioni demagogiche. Lo temo molto — mi ha spiegato Rakowski —. Si è chiusa una fase slorica, se n 'è aperta un 'altra, e non c'è ritomo. Ma anche un Paese cattolico come la Polonia sa che non si può contare sui miracoli per risolvere i problemi del Paese». Jas Gawronski