«Budapest sogna un'altra Finlandia» di Guido Rampoldi

«Budapest sogna un'altra Finlandia» Imre Pozsgay, leader dei riformisti ungheresi, parla del nuovo corso «Budapest sogna un'altra Finlandia» «Il nostro obiettivo è di entrare nell'Europa del '93» - «Democrazia e neutralità dovranno marciare insieme» - «Ho detto al Papa che sarà riesaminato il processo Mindseznry» - «in ottobre celebreremo l'anniversario del '56» DAL NOSTRO INVIATO ROMA — n padre della patria che l'Ungheria attende dopo quattro secoli di dominazione ottomana, asburgica e sovietica, appena interrotti tra le due guerre dal confuso regime di Horthy, potrebbe essere Imre Pozsgay, 56 anni, un leader dal singolare destino: è il comunista più odiato nel partito e il più stimato dall'opposizione. I brezneviani del posu lo vorrebbe eliminare, non solo in senso politico: in un recente raduno della Milizia operaia, l'organizzazione paramilitare comunista, ne è stata chiesta da molti l'espulsione, e una voce, non zittita, si è levata per incitare ad 'impiccare Pozsgay e quelli come luU. Ma se riuscirà a sopravvivere alla sorda, furiosa guerra scatenata nel posu dalle sue offensive anti-staliniste, allora gli si potrebbe schiudere la prospettiva ventilala dall'Bconomist: diventare il «Mitterand comunista-, capo di una Repubblica presidenziale eletto a suffragio diretto. E anche qualcosa di più: lo statista che riporterà in Europa lungheria Di sicuro quest'uomo affabile, concreto, spregiudicato, diverso anche nel tratto dall'antropologia sbiadita della Nomenklatura ungherese, sarà uno dei protagonisti nel thrilling politico di un'Europa orientale in cerca di nuovi as¬ setti e nuove identità. Reduce da un lungo incontro con il numero 2 del pcus, Jakovlev, in margine al congresso del partito comunista, del quale entrambi erano ospiti, ieri Pozsgay ha indicato in un incontro con la stampa la possibilità di una nuova condizione geopolitica per l'Ungheria. Uno «status finlandese», ovvero un'Ungheria ancora nella sfera d'influenza sovietica ma sganciata dal Patto di Varsavia? Forse. Certo, 'vorremmo un futuro a nostra immagine»; ma 'integrando in questa immagine le esperienze accumulate in Europa, e da questo punto di vista l'esempio finlandese è di particolare interesse'. L'obiettivo è comunque chiaro: conquistare il diritto e le credenziali politiche per entrare nell'Europa (e nel mercato unico del '93). Con la consapevolezza che «per giungere in Europa dobbiamo passare per l'Europa centrale'. Dove per Europa centrale Pozsgay intende un'area che nel suo nucleo corrisponde alla vecchia Austria-Ungheria, dalla Boemia all'Adriatico. Pozsgay ci dice che i percorsi verso la democrazia e verso l'«autonomia», ovvero una qualche neutralità, dovranno essere paralleli e marciare alla stessa velocità. La società gli sembra «matura» per la svolta; il partito solo per una par te. Le vere incognite, sembra dire Pozsgay, sono proprio all'interno del posu, dove c'è «un'area settaria e fondamentalista che ha forti difficoltà a digerire i cambiamenti. Gente cresciuta con una concezione paternalistica, nel credo dell'onnipotenza del partito». Quadri, soprattutto, dato che invece «la base in maggioranza è con le riforme'. Per liquidare i «fondamentalisti» Pozsgay confida nella nuova Costituzione, che tra l'altro disarmerà le formazioni militari del partito, e nella revisione storica del '56. Un'arma affilata che lui continuerà ad usare nei prossimi mesi. Precisa che saranno rivisti tutti i processi dal '48 al '62, incluso quello, come ha annunciato personalmente al Papa nei giorni scorsi, del cardinal Mindseznty, condannato all'ergastolo nel '49, liberato nel '56, poi per 15 anni costretto a vivere nell'ambasciata americana. E il prossimo 23 ottobre, garantisce Pozsgay, per la prima volta sarà possibile celebrare in Ungheria l'anniversario della rivolta del '56. Nella Storia che Pozsgay intende riscrivere c'è una tesi acrobatica: quell'area socialdemocratica inglobata nel '48 dal partito è sopravvissuta alle purghe e vive ancora nel posu. Pozsgay sembra candidarsi a rappresentarne la continuità. Guido Rampoldi