Agrigento punica di Sabatino Moscati

Agrigento punica SORPRESE DAL QUARTIERE RISORTO Agrigento punica AGRIGENTO — Il vento africano, caldo e denso a folate rapide e improvvise, batte questo lembo di terra siciliana proteso verso l'Africa. La linea costiera è appena visibile (eppure dista solo poche centinaia di metri!) tra le nuvole grijgie che giungono a toccare la terra; l'orizzonte può solo immaginarsi, lontano. Le palme e i pini sparsi nella valle si piegano sotto l'incalzare delle folate impietose. Non cosi gli ulivi, che sorgono Titti e bassi a fasce sparse e formano, con le altre piante, un connubio inusuale. Per i navigatori che giungevano dall'Africa, essi dovevano apparire come il simbolo di una terra nuova, feconda, dove avrebbero potuto impiantarsi e creare ricchezza. Salvo il rumore del vento, tutto è silenzio nella Valle dei Templi. E il pensiero corre indisturbato alla grande avventura africana, ai Cartaginesi che nel V Secolo a.C. sbarcarono su queste sponde, vi s'impiantarono, conquistarono Agrigento per rimanervi quasi dueccnt'anni. Notizie dalla storia, queste: l'archeologia taceva, finora; e sembrava impossibile che tra i sacri templi greci, tra gli edifici monumentali della celebrata città, i conquistatori africani avessero lasciato una sia pur minima traccia. Gente capace più di distruggere che di costruire, si pensava. Gente che rappresentò la barbarie di fronte alla civiltà, l'ombra di fronte alla luce. E certo questo luogo co mune, come altri, può avere una parte di verità; ma solo una parte, perché ora l'archeologia compie il miracolo: un intero quartiere punico risorge ad Agrigento sotto gl occhi stupefatti degli specialisti non meno che degli osservatori comuni. Mi inerpico sulle pendici sud-orientali dell'acropoli, la parte alta dell'antica città. Sono nell'area del tempio di Demetra, poi divenuto chiesa di San Biagio: una trasformazione tutt'altro che rara, in questi luoghi, eppure finora ben poco nota, o almeno poco esplorata, sempre in base al pregiudizio che ad Agrigento tutto dovrebbe essere greco. Le margheritone, i cardi, gli spuntoni di roccia che affiorano dal terreno rendono l'ascesa difficile, ma tanto più suggestiva. Ecco, mi accorgo, sto seguendo una via che già fu antica. Verso il culmine, s'apre la nuova zona degli scavi. Un vasto complesso di edifici, che risorgono dal terreno rimosso, si qualifica e si caratterizza per l'aspetto particolare dei muri, che in linguaggio tecnico chiamiamo «a telaio». Sono fatti di grandi pilastri squadrati, posti in verticale alla distanza di un metro - un metro e mezzo l'uno dall'altro. Tra i pilastri, lo spazio è colmato da pietrame di piccole dimensioni. E' un tipo di costruzione caratteristico, ben noto agli archeologi perché compare solo in un'architettura: quella dei Cartaginesi! Muri del genere, infatti, non erano stati mai trovati ad Agrigento. Ma poiché si trovano a Cartagine, nella Sicilia occidentale, in Sardegna e in tutti i centri dell'espansione punica, una deduzione si rende necessaria: qui torna alla luce un quartiere che fu costruito dalle genti africane quando occuparono la città. La data che la storia ci offre per questo evento è precisa, il 406 a.C: ebbene, la cronologia archeologica corrisponde alla perfezione. I conquistatori, dunque, s'impiantarono in questa zona del centro greco, probabilmente con un quartiere militare. La soprintendente Graziella Fiorentini, che dirige i lavori, ricorda che qui, prima, era stata individuata un'area sacra greca, dalla quale provenivano, e continuano a provenire, splendide terrecotte figurate. Sono in specie busti di Core, la divinità dell'oltretomba: vi fu, dunque, un santuario il cui culto era dedicato alla vita dell'aldilà. Un fatto interessante, tra i molti, è che la produzione delle terrecotte continua nell'epoca cartaginese. I conquistatori, come spesso avviene (ma spesso lo si dimentica), non vollero sradicare la gente del luogo, anzi non vi pensarono neppure. Si limitarono ad acquartierarsi, a installare le loro difese su un punto particolarmente strategico che controllava l'accesso all'acropoli; ma le officine dei ceramisti, perché allontanarle? Troviamo, così, le testimonianze suggestive di un'attività artigianale che continua: ecco altre immagini modellate nella terracotta, specialmente di divinità sdraiate su letti. E con esse i «pani» di atgilla utilizzati nella lavorazione, i pozzi e le anfore per l'acqua che serviva a bagnare la materia prima e a renderla 'malleabile, perfino le lamelle d'Osso con cui le immàgini venivano rifinite. Quanto dura l'impianto cartaginese? Non è facile rispondere, perché esso non presenta tracce di distruzione; e dunque dobbiamo ritenere che la sua vita si estenda fino alla conquista romana, intorno al 250 a.C, quando la sconfitta di Cartagine nella prima guerra punica porta Roma all'occupazione di tutta la Sicilia. Ma di questo non abbiamo certezza: può essere che i Greci siano ritornati in quest'area senza un'occupazione violenta; può essere che invece vi siano giunti solo i Romani, e non è detto che anch'essi non l'abbiano lasciata com'era. Con la conquista romana, comunque, la storia di Agrigento antica finisce. Era stata uno degli episodi più splendidi, e insieme più brevi, della presenza greca in Sicilia; ma anche uno dei più vari, se guardiamo come i Cartaginesi vi si sovrapposero e come tra l'una e l'altra popolazione vi furono non solo le guerre che la storia racconta, ma anche la pacifica convivenza che l'archeologia documenta. Alla riscoperta di Agrigento punica si affianca, del resto, anche quella di Agrigento cristiana. Quando il dominio di Roma termina, o almeno s'indebolisce, tre chiese sorgono nell'area. La prima è una piccola basilica fuori delle mura, i cui resti tornano alla luce sul versante orientale della collina dei templi. La seconda compare a Nord della collina, in un'area che nell'età greca e romana era occupata da abitazioni e da edifìci pubblici. Ma il caso più interessante è quello di uno dei maggiori templi greci, quello della Concordia. Qui, ancora una volta, sono le fonti scritte a illuminarci. Nella biografìa del vescovo di Agrigento Gregorio, scritta dal monaco Leonzio, si narra che il vescovo stesso, ingiustamente calunniato dal clero agrigentino, dove andare a discolparsi dinanzi al papa e all'imperatore. Assolto, tornò in città e «pose la sua tenda nei pressi del tempio idolatrico che è vicino alle mura meridionali... Restaurò poi quel tempio in modo mirabile e lo intitolò al nome dei Santi Principi degli Apostoli Pietto e Paolo... Lo consacrò e vi celebrò i sacri misteri, dopo aver costruito nello stesso luogo comode celle nelle quali egli e i suoi abitarono». E' questo, secondo ogni verosimiglianza, il tempio greco della Concordia, divenuto così chiesa cristiana. Intanto la presenza della nuova fede si diffondeva in ampie necropoli e in un cimitero a cielo aperto, donde provengono rilievi marmorei, lucerne, monete. Se ne trova la testimonianza in un Antiquarium aperto recentemente, che riutilizza senza alterarne le strutture esterne una casa contadina. Dalle finestre dell'Ami quarium, la vista spazia sul l'immensa area archeologica. Torna al ricordo la descrizione di un viaggiatore celebre Goethe: «Una primavera splendida come quella che ci ha sorriso stamane al levar del sole, certo non ci è stata mai concessa nella nostra vita mottale... Dalle nostre finestre abbiamo contemplato in lungo e in largo il lieve declivio della città antica, tutto rivestito di orti e di vigneti, sotto là cui verzura non si supporrebbe neppure la traccia dei quartieri urbani un tempo così vasti e così popolosi». Non si supporrebbe... Ma ora si comincia a supporre, anzi a constatare, la realtà di un'Agrigento non solo greca e romana, ma cartaginese e cristiana, nel divenire di una storia cosmopolita che si sviluppa e si afferma all'incrocio delle grandi vie mediterranee. Sabatino Moscati Agrigento. Divinità sdraiata e, sotto, busto di Core in terracotta, dell'epoca del quartiere punico (V Secolo a. C

Persone citate: Core, Goethe, Graziella Fiorentini, Greci