La Piovra finisce nel grandguignol di Ugo Buzzolan

La Piovra finisce nel grandguignol L'impavida e truculenta morte di Cattani La Piovra finisce nel grandguignol Conclusione strappalacrime con pistolotti e assurdità Ma che brutto finale per la Piovra. Brutto perché il protagonista muore? Anche. In un feuilleton — e la Piovra era un dichiarato feuilleton—il protagonista non muore mai: ha mille traversie e amarezze, ma infine trionfa'e non muore; tutt'al più si dilegua misteriosamente come un antico eroe rapito sul carro degli dei, e lascia nell'incertezza, turbati e affascinati, gli spettatori. Qui invece non solo fanno morire Cattani — una morte annunciata nei dettagli da più di una settimana — ma è il modo della morte che non convince e quasi «offende». n commissario s'avvia all'agguato presentendolo (e dopo aver pronunciato al capezzale dell'agonizzante un alato pistolotto sull'immensità della volta celeste in rapporto alla fragile modestia dell'essere umano); assume la facies del santo che mesto e impavido, già con l'aureola in testa, affronta la mannaia o la graticola; poi si fa mitragliare e ridurre a colabrodo, si contorce, ulula, e si schianta contro il muro reclinando il capo nell'estremo sospiro come i mattatori che ne 'La morte civile» si esibivano sulla scena in rantoli e sussulti. Ma non basta. Mentre 1 killer spariscono (inviati dalla Cupola, da Espinosa, o dalla direzione di Raiuno dopo che Placido ha annunciato di passare a Berlusconi?), ecco arrivare la bella giudice che fa un predicozzo fremente in cui commemora le virtù del santo Cattani, e quindi si butta sul commissario bucherellato abbracciandolo e scoppiando in irrefrenabili singhiozzi; musica di strazio e parola fine. n guaio è questo, che nella conclusione il feuilleton precipita vorticosamente nel grandguignol e in quell'inverosimiglianza che è nociva agli stessi racconti di fantasia dove una certa logica e una certa 'credibilità» — tra l'altro legate all'efficacia della suspense — non dovrebbero mal venir meno. Qui al contrario si assiste all'inopinato, assurdo ritomo di Ester dal perfido Tano; e all'inopinata pazzia del medesimo Tano che, appena conquistato un dominio finanziario internazionale, crolla, e strozza la moglie nel letto come Desdemona, e da inesorabile gelido magnate diventa in due minuti un povero diavolo rincoglionito che balbetta; e si assiste all'inopinato, inutile viaggio di Cattani in Svizzera, a far che cosa non si sa, solo a farsi sbeffeggiare sinistramente da Espinosa, e vederlo involarsi in elicottero. Peccato. Brutto finale bolso a petto di cinque puntate (e mezza) valide nella loro dimensione di romanzo popolare ad effetto, con robusto impatto e ritmo (unico neo, nella quinta, la morte in più del marito della giudice, cornuto e gassato si potrebbe dire: ma forse si vuole dare a lei, appetitosa vedova, la chance di nuovi amori in un seguito). Peccato. E comunque — nonostante la caduta sul traguardo — un'affermazione indubitabile della Rai nel campo del miniserial che resta l'unica via congeniale su cui insistere contro il maxiserial estraneo alla nostra mentalità e organizzazione. Un'ultima postilla: adesso, almeno per un po', basta con le storie di mafia proprio per non ingenerare la convinzione che la mafia esista soltanto come favola buona per la fiction tv. Ugo Buzzolan

Persone citate: Berlusconi, Cattani, Espinosa, Ester

Luoghi citati: Svizzera