L'Italia proibita di Zavarov di Gian Paolo Ormezzano

L'Italia proibita di Zavarov L'Italia proibita di Zavarov Lunedì sera non ha potato recarsi a Verbania perché il suo spostamento non è stato notificato in tempo alla Questura - Sacha deve sottostare ai vincoli che riguardano tutti i cittadini sovietici Alexandr Sacha Zavarov, cittadino sovietico, calciatore della Juventus, non ha presenziato ad una cerimonia a Verbania-Intra, nel Novarese, in programma lunedì sera, nonostante che il suo nome fosse «in cartellone». Aveva garantito la presema, è stato molto dispiaciuto di dover rinunciare: ma la Questura di Torino, non avvertita in tempo dalla Juventus, a sua volta non avvertita in tempo dal giocatore, non ha potuto, per una pratica che deve seguire una certa prassi, concedergli il permesso di lasciare Torino. Come tutti i cittadini sovietici in Italia (e come d'altronde tutti gli italiani quando si recano nell'Urss), Zavarov gode di un visto d'entrata limitato alla città di residenza. Per ogni spostamento, deve chiedere il permesso. La pratica è ovviamente semi-automatica per una trasferta calcistica, conosciuta a priori: ciò non toglie che la Juventus debba sempre notificare il viaggio -di campionato» del suo giocatore alla Questura, sia pure con un preavviso di tre soli giorni. Nel caso di Verbania-Intra, c'è la necessità di tempi lunghi (otto giorni), trattandosi di una località al confine con la Svizzera e in prossimità dell'Euratom di Ispra. Alla Questura, pur senza scendere in dettagli, il dr. Baglivo dell'Ufficio Stranieri ci ha appunto chiarito il di¬ sguido: la richiesta per Zavarov è giunta appena un giorno e mezzo prima del previsto trasferimento, impossibile a questo punto rispettare la prassi, con i suoi tempi tecnici, anche usando tutta la buona volontà di questo mondo. E si deve aggiungere che la Juventus non era troppo entusiasta del viaggetlo che attendeva il giocatore, anche perché c'era il sospetto che, anziché di una premiazione per un torneo di calcetto, si trattasse di una partita di calcetto vera e propria, ovviamente con lui in campo per qualche minuto. Insomma, Zavarov è rimasto a casa, senza che questo lignifichi un caso: salvo partire poi, autorizzatissimo, per l'Olanda, dove gioca stasera con la Nazionale sovietica. La Dorna, cioè l'agenzia con sede in Liechtenstein che ha trattato il suo trasferimento in Italia e che segue attentamente il comportamento del giocatore, fa sapere che i problemi sono ben più vasti e difficili per rappresentanti sovietici del mondo dell'industria (la Doma non si occupa soltanto di sportivi), se si tratta di zone-Nato: Napoli, Caserta, Vicenza, Verona e in particolare Padova... Gli italiani che vanno nell'Urss, a Mosca, «godono» di un visto limitato alla città, con spostamenti senza autorizzazione concessi nel raggio di 40 chilometri al massimo dal centro (in pratica, si è ancora alla periferia della capitale). Per altre città occorrono visti specifici. I sovietici in Italia teoricamente sono ancora più limitati, nel senso che non hanno i40 chilometri di franchigia dal luogo di residenza: però godono di permessi facili e relativamente rapidi, nonché di una certa tolleranza nell'ambito della provincia. Insomma, Zavarov — che comunque non è sottoposto a sorveglianza, ci mancherebbe altro: sarebbe una faccenda ben più costosa del suo ingaggio — non viene incolpato di nessun reato se accetta, da un amico italiano che passa a prenderlo a casa, un invito per andare a cena sul lago di Avigliana... Tutto chiaro, adesso, dopo lo sconcerto di ieri. E lapossibilità di riderci sopra. Cosa accadrebbe ad esempio se Zavarov, accusato di non scattare in partita dietro ad una palla difficile, si difendesse proclamandosi semplicemente ligio alle leggi del Paese che lo ospita? E cioè facesse sapere, per informazione e scusa, che questo suo spostamento non è stato notificato in tempo alla Questura, magari perché estraneo agli schemi di gioco studiati e dettati da Zoff? Potrebbe essere questa l'origine, semplice e con giustificazione burocratica, di certe deludenti partite del discusso Sacha. Gian Paolo Ormezzano