I desideri proibiti di Hanoi di Fernando Mezzetti

I desideri proibiti di Hanoi VIETNAM: DIETRO LA FACCIATA DRAMMATICA, SEGNI DI RIPRESA I desideri proibiti di Hanoi II boom demografico aggrava gli errori economici del terzo tra i Paesi più poveri del mondo - La capitale, gioiello urbanistico coloniale da 500 mila abitanti, ne ospita 3 milioni - Ha un mare di biciclette, un solo tram, negozi di Stato vuoti - Ma la perestrojka stimola l'iniziativa privata, l'arte d'arrangiarsi, i mercatini -1 giovani portano jeans, ballano l'hard rock: si guarda all'Occidente, anche all'America DAL NOSTRO INVIATO HANOI — L'aspetto è avello di una bella città francese di provincia andata a male. Lungo i grandi boulevard alberati di scuola del barone Haussman si allineano palazzine primo Novecento, in un misto di liberty e di rococò con lo stampo coloniale. Scenografici, con grandi spazi davanti a esaltarne l'antica imponenza di centri del potere, i palazzi della grandeur francese d'antan, del governatore del ronchino e di quello del governatore dell'Indocina tutta. Accanto, il liceo in cui si formarono coloro da cui i francesi sono poi stati cacciati, i personaggi dai nomi monosillabici così celebri quando sulle piazze d'Europa era per molti tanto facile e divertente gridare «Dos, tres, muchos Vietnam», riecheggiando il Che. Tutto deteriorato, cadente, compresi gli edifici pur utili a regimistiche manifestazioni di massa, come il teatro, piccola copia dell'Opera di Parigi. Il Vietnam ha avuto altre priorità che non la cura di questo gioiello urbanistico che è Hanoi, salvatosi da sé nelle sue strutture fondamentali grazie all'assoluta mancanza di sviluppo. La popolazione in tumultuosa crescita, più di tre milioni oggi, vive in una città a suo tempo concepita per mezzo milione di abitanti. Tutti l'uno sull'altro, in due metri quadrati a testa, nei pochi stabili costruiti e in quelli vecchi continuamente rimaneggiati, ricavando dai balconi stanzini col tetto di lamiera. Un triste profumo di Asia perduta, vagheggiata da occidentali tardo-romantici e bucolici a spese altrui, aleggia su questa capitale povera d'un Paese povero, stremato dalle guerre e dalle insensatezze politiche. Non il caotico sviluppo di Bangkok, né i grattacieli di Seul e Hong Kong, o il nitore di Singapore, noiosa Svizzera equatoriale. Ma neanche il colore, la vitalità o il senso contemplativo d'una certa Asia da mito e da cartolina, bensì una forte impronta di qualcosa a essa estraneo, alieno: la burocratizzazione di stile sovietico che dà il benvenuto in aeroporto con gli stessi formulari doganali moscoviti, stampati in russo. Il modello polar-siberiano ai tropici, mitigato dalla dolcezza della gente. Inesistente il traffico auto¬ mobilistico, nessuna vettura privata e pochissime quelle di Stato, rari camion e autobus, sulle larghe strade scivolano silenziose le biciclette e i ciclobus, i tricicli con l'uomo al pedale che fanno da taxi, meccanizzata versione del risciò. Sulla centrale via della Seta scampanella ogni tanto l'unico tram, una sola vettura d'anteguerra, tutta rugginosa, con appeso dietro, all'esterno su un precario punto d'appoggiof un uomo che tiene il troUer fissato ai filo dell'elettricità. Su questa strada su cui si allineano centinaia di negozietti che vendono di tutto un poco si avanza con sgomento, tra turbe di mendicanti, soprattutto bambini e mutilati, e gruppi di donne accasciate a terra con in vendita canestri di arachidi, microscopiche meline, sospette baguette. La sensazione più immediata è che il tempo si sia fermato, il pensiero più angosciante è che il Vietnam sia perduto, incatenato al sottosviluppo, mentre tutti gli altri Paesi dell'area si sono mossi, alcuni diventando potenza industriale: lo hanno fatto soprattutto a partire dagli ultimi 15 anni, quando anche il Vietnam ha conosciuto la pace e l'unificazione con un Sud vitale e economicamente più avanzato del Nord. E' così? Le cifre sembrano darne conferma. Con un reddito prò capite di 180 dollari l'anno, è il terzo tra i Paesi più poveri del mondo, secondo^ la Banca Mondiale, con un sistema economico che, come gli stessi dirìgenti oggi riconoscono, si segnala soprattutto per l'inefficienza. Da decenni il Paese è fermo, pressoché privo di infrastrutture, strade.ferrovie, comunicazioni. Non un telefono pubblico per le strade in tutta la capitale. Agli errori economici si aggiunge l'impetuoso sviluppo demografico, il 2,17 per cento l'anno scorso, per cui ogni anno finora il livello dì vita s'è abbassato. L'indice della situazione è dato dal fatto che fino a poco tempo fa lo Stato pagava sostanzialmente i suoi dipendenti in riso, di fatto confiscato ai contadini, ai quali veniva lascialo il minimo per sopravvivere. E tuttavia, in questa facciata drammatica affiorano segni di novità incoraggianti. Anche il Vietnam non è rimasto esente dalla perestrojka e si è già spinto più in là di quanto non abbia fatto Mosca. Con l'ascesa nel dicembre 1986 di Nguyen Van Linh a numero uno del partito, personaggio chiaramente favorito da Gorbaciov, ripescato dopo che nel 1982 era stato espulso dal Politbjuro per aver restituito troppo respiro a Saigon di cui era stato a capo, sono stati varati negli ultimi tempi provvedimenti di apertura economica diretti a stimolare l'iniziativa privata. Si sta smantellando l'agricoltura collettivizzata, dando le terre in affitto per alcuni anni ai contadini, con l'obbligo di consegna soltanto di una parte del raccolto potendo vendere da sé privatamente l'eccedenza. A operai e altri dipendenti, lo Stato garantisce solo una parte di riso a prezzo sovvenziona¬ to, il resto se lo dovranno comprare sul mercato. La nuova politica sembra cominciare a funzionare, avendo trovato rispondenza immediata nella operosità e nelle capacità di inventiva della gente. I negozi di Stato sono assolutamente vuoti, ma nelle bottegucce di via della Seta o di via del Cotone d'improvviso rivitalizzate, sui banchetti dei mercatini subitaneamente formatisi, è in vendita apertamente di tutto, contrabbandato dalla Thailandia o privatamente importato. In primo luogo il superfluo: grandi marche di whisky e di cognac, birra occidentale. Caviale, anche, contrabbandato dalle migliaia di tecnici russi per comprarsi cose che non hanno in casa, come jeans e altri capi provenienti da Bangkok. I negozietti sono anche una esemplificazione delle insensatezze delle economie socialiste: vi si trova, per esempio, con le scritte in russo sulle scatole, del latte artificiale per lo svezzamento, di produzione irlandese, fatto per l'esportazione in Russia ma assolutamente introvabile in tutta l'Urss. Chi possa comprare tutto questo, in primo luogo il riso a 700 dong al chilo, rimane un mistero, perché i salari sono motto bassi con decrescente potere di acquisto. Ma motti sembrano arrangiarsi e del resto la parola d'ordine è questa malgrado l'inflazione galoppante: il mille per cento nell'ultimo anno nel cambio del dollaro, il 350 per cento sul mercato interno. Per acquisti d'una certa importanza vale, pubblicamente, solo il dollaro. Con le riforme si è avuta anche una certa glasnost. Si ammette apertamente che ad Hanoi, l'austera e monacale Hanoi, non la corrotta Saigon del periodo americano, la prostituzione è in aumento, come la droga tra la moltitudine de: disoccupati, oltre sette milio ni in tutto. Riferendone, ur. giornale avverte che non si può più attribuirne la causa all'eredità americana. Un minimo di tolleranza dopo decenni di chiusura suscita la voglia di sapere e dì conoscere. C'è grande curiosità verso l'occidentale, gli uomini di mezza età lo avvicinano in francese, molti giovani masticando un po' di inglese. «Fino a poco tempo fa la gente aveva paura a sorriderti», dice un uomo d'affari occidentale che da tempo ha rapporti col Vietnam. Per i ventenni la guerra con gli americani appartiene alle patrie glorie, i verdi caschi coloniali da Vietcong restano invenduti nei negozi di Stato, i pantaloni neri delle guerrigliere sono stati sostituiti dai jeans. Ovunque è percepibile la nostalgia di desideri proibiti, il sogno americano che la storia ha impedito e che la situazione attuale acuisce. Un negoziet- I to in centro esibisce giubbotti coki da Bangkok con la . scritta U.S. Army. Da alcuni i mesi, negli alberghi, si organizzano serate danzanti, aperte ai vietnamiti, non riservate agli stranieri. L'orchestra suona strazianti motivi francesi di fine Anni Quaranta, a conferma d'un tempo fermatosi. Ma poi passa di colpo all'hard rock, recuperando decenni. E'quello che il Paese intero sembra vorrebbe poter fare, riflettendo sulle proprie scelte economiche e internazionali, come molte indicazioni e colloqui ufficiali suggeriranno. Se cosi è, forse il Vietnam non è irrimediabilmente perduto. Fernando Mezzetti Hanoi. Biciclette nelle strade della capitale. Fino a poco tempo fa lo Stato pagava i suoi dipendenti in riso (G. Neri)

Persone citate: Gorbaciov, Nguyen Van Linh