Rivive Angkor, città degli dei

Rivive Angkor, città degli dei LA CAMBOGIA DOPO 20 ANNI RIAPRE LE PORTE DELLA SUA VERSAILLES Rivive Angkor, città degli dei Fu capitale e simbolo del regno Khmer, che nel XII Secolo era, dopo l'impero cinese, il più splendido dell'Asia - Sepolta nella giungla, è ferita dalle guerre e dall'incuria • Ora 400 operai, guidati da archeologi indiani, ne ripuliscono pietre e bassorilievi • Specialisti polacchi sono attesi a Bayon, tempio-montagna dai mille Buddha - Ma altri Paesi pongono una condizione ai loro aiuti: il ritorno di Phnom Penh alla democrazia Dopo una parentesi di vent'anni la Cambogia riapre le porte agli stranieri. Un migliaio di persone hanno visitato nell'88 Angkor, l'antica capitale dei sovrani khmer. NOSTRO SERVIZIO SIEM-REAP — Ferita dalle guerre, erosa dagli anni, abbandonata per lungo tempo dagli uomini e dagli dei, Angkor rivive. La capitale dei sovrani khmer, sepolta nella giungla a Nord-Ovest di Phnom Penh, si riapre, seppure timidamente, ai turisti stranieri. La comunità internazionale continua, in maggioranza, a boicottare il regime instaurato dieci anni fa dai vietnamiti. Non è il caso dell'India che ha inviato in Kampuchea un'equipe di archeologi. Sotto la loro direzione, giovani cambogiani si danno da fare per restituire a Angkor-Val il suo ruolo di espressione più compiuta dell'architettura khmer, il suo splendore perduto. Specialisti polacchi sono aitesi a Bayon, il tempiomontagna, dove gli innumerevoli buddha monumentali scandiscono l'esasperazione del genio di Angkor e ne annunciano la decadenza. fi regime di Phnom Penh vorrebbe coinvolgere altri Paesi nella rinascita del luogo, in particolare la Francia, e dei francesi si può dire che, sei secoli dopo gli assalti distruttori dei thai, reinventarono Angkor. Ma la Francia fa orecchio da mercante. Il ritorno degli esperti dell'Istituto francese per l'Estremo Oriente presuppone, secondo Parigi, una condizione: l'instaurazione in Cambogia di un regime democratico. Il Paese si sta appena riprendendo dal caos, dieci anni di guerra e di follia omicida, da Lon Noi a Poi Pot, seguiti dall'occupazione vietnamita, la cui fine, annunciata come imminente, non esclude nuovi orrori. Sonò pochi, da vent'anni a oggi, quelli che hanno potuto visitare Angkor, capitale di un regno che, nel XII Secolo, fu, dopo l'impero cinese, ilpiù influente e splendido dell'Asia. Si è temuto che Angkor risentisse irrimediabilmente di questi anni di guerra civile. L'accusa di aver profanato questo simbolo della grandezza khmer è stata lanciata da più parti. Ma sembra che un solo ordigno esplosivo di grande potenza abbia danneggiato Angkor-Vat all'inizio degli Anni 70. Per il resto, i colpi di armi leggere sono un danno minimo. Se Angkor ha sofferto durante questi anni di isolamento, è piuttosto di incuria e di mancanza di manutenzione. Il ritorno della pace civile (forse) segnerà la rinascita di Angkor? I due schieramenti in campo non smettono di richiamarsi, simbolicamente, alla grandezza di Angkor. La bandiera della Repubblica popolare di Kampuchea (filo vietnamita) porta sullo sfondo rosso cinque torri colorate che sono quelle di AngkorVat. Il simbolo del regime di Poi Pot era lo stesso, cori due torri in meno. La guerriglia che i suoi partigiani, i Khmer rossi, continuano a combattere, rende Angkor poco sicura. E' comunque il motivo addotto dal governatore della provincia di Siem-Reap per limitare a poche ore la durala della visita. Il pilota del Fokker modello sovietico che garantisce andata e ritorno nella stessa giornata da Phnom Penh non sembra, peraltro, prendere particolari precauzioni. E' ben visibile in fondo alla pista un mezzo corazzato e, sul tetto della piccola aerostazione, dei nidi di mitragliatrice. Ma quel giorno erano senza serventi. Se la guerriglia è minacciosa, non la si prende | troppo sul serio. Lex corso General de Gaulle che, da Siem-Reap, porta a Angkor, è stato ribattezzato corso Unione Sovietica in onore del nuovo protettore. Avvicinandosi ai primi monumenti, uno striscione accoglie i visitatori nel moderno esperanto: «Welcome». Dopo che il regime di Poi Pot ha cacciato da Angkor gli archeologi francesi che ne garantivano la conservazione, la presenza francese qui è praticamente inesistente, come per altro in genere in Cambogia. L'ultimo responsabile francese della zona, Bernard Philippe Groslier, ora scomparso, ricorreva a questo paragone per descrivere ciò che è stato Angkor: «Immaginatevi, scaglionati dal quartiere parigino della Défense a quello della Nation, ma affogati nella giungla, Versailles, la Concorde, il Louvre, place des Vosges, Fontainebleau, circondati da Notre-Dame, dalle cattedrali di Chartres, Bourges, Strasburgo, Reims, Amiens, aggiungendoci tutte le chiese di Parigi costruite prima del 1800». Su una superficie di 800 chilometri quadrati, i re-dei di Angkor costruirono, superandosi l'unl'altro, santuari e palazzi al centro di uno stupefacente reticolo di canali, serbatoi e bacini che assicurano l'irrigazione delle terre coltivabili, anche nella stagione secca. La storia non ha conservato i nomi di questi artisti e architetti geniali, capaci di tracciare fossati di quattro chilometri di lunghezza con un errore di livello di un solo centimetro e di cesellare bassorilievi di pietra, di straordinaria finezza, che a Angkor Vat sono disposti su 1200 metri quadrati. La cronaca di questa epoca straordinaria ha tramandato soltanto i nomi dei re che seppero sceglierli. SuryavarMan II in particolare, il costruttore di Angkor-Vat, che Bernard Philippe Groslier paragona a Luigi XIV. Versailles e Angkor-Vat, prodigi di due regni che brillarono di mille luci prima di estinguersi entrambi nell'amarezza, suggeriscono, in effetti, questo paragone. A Angkor-Vat, per difendersi dal calore soffocante del mezzogiorno, gli operai khmer del cantiere, coperti dal tradizionale crama, un fazzoletto, si riposavano quel mattino all'ombra dei tamarindi. In quattrocento, si impegnano ogni giorno, sotto la direzione di una dozzina di archeologi indiani, a pulire la pietra con l'aiuto di soluzioni di ammoniaca e di Teepol Questa operazione ha già restituito a due biblioteche, che si scoprono dopo aver superato il fossato occidentale, un fulgore che contrasta con la patina scura degli altri edifici. Che la si apprezzi o no, dal punto di vista estetico, questa operazione di ringiovanimento era necessaria, sostengono gli indiani, che applicano lo stesso trattamento ai loro templi per proteggerli dalla muffa e dai licheni. Una visita di qualche ora non consente, dopo Angkor Vat, che un salto a Bayon, esempio parossistico della febbre costruttiva dei re di Angkor. Jayavarman VII, il re forse lebbroso a cui si deve l'apogeo khmer, ne fece il cuore scintillante della sua capitale. Angkor Thom. Circondata dalla giwigla. Bayon e le sue 54 torri scolpite con buddha dall'enigmatico sorriso, oggi sono sorvegliate da soldati adolescenti che trascinano i sandali. Archeologi polacchi stanno per avviare il restauro, come in passato si erano impegnati i francesi tra i sogghigni di Paul Claudel che in Bayon, ultimo guizzo geniale della grandezza khmer, non vedeva che «un gioco di birilli impazziti, di portafiaschi». Maggiormente conquistato, se non più ispirato, il Malraux della Via dei re andò a prelevare a colpi di sega una tonnellata di bassorilievi del tempio di Bantey-Srei, impresa che gli costò un arresto e un processo. Bantey-Srei, che i visitatori normali, un migliaio nell'88, non sono oggi autorizzati a visitare, sempre per ragioni di sicurezza. Perché la Cambogia non fa che socchiudere le porte di Angkor, anche a quei francesi che il governo di Hun Sen, il primo ministro, vorrebbe veder tornare nella zona. Anche una missione inviata a febbraio dall'Associazione degli amici di Angkor non ha potuto fare che una breve visita. Ex responsabile aggiunto del luogo, René Dumont è tornato da questa missione relativamente ottimista. Ha potuto constatare che i templi, come era state 'ietto pure a lui, non hanno sofferto della guerra. Gli archeologi indiani fanno un lavoro •positivo-, e anche se è impossibile sapere se reperti di valore sono scomparsi dai deposili dal museo nazionale di Phnom Penh, tanto gli archivi sono in disordine, il governo sembra deciso a preoccuparsi di nuovo attivamente della sorte di Angkor. Dal loro incontro con il ministro della Cultura, Cheng Phon, gli Amici di Angkor hanno tratto l'impressione | che Phnom Penh vorrebbe di nuovo affidare ai francesi il restauro di Baphuon avviato da Groslier prima di essere congedato dal regime di Poi Pot. Baphuon, oggi divorato dalla giungla, ma che. afferma Groslier. «non è inferiore a Angkor-Vat e che resta uno dei più grandi monumenti del mondo». Il governo francese ignora ufficialmente questi inviti discreti. Quanto all'Unesco brilla per la sua assenza in quanto le Nazioni Unite non riconoscono l'attuale regime di Phnom Penh. Dall'esito delle complesse trattative ile ultime si sono arenate a Djakarta) per riconciliare le diverse fazioni cambogiane, dipende anche il futuro di Angkor. Bertrand Le Gendre Cor...Tight di «Le Mondi e per l'Italia de «La Stampa» Angkor. La giungla s'insinua tra le pietre dell'antica città Khmer, cui ora si vuole restituire lu splendore perduto (Foto M. Montini) Il ritorno della pace civile L'e c Gel d Glchiltri dti i di i li i kh