Pinter nel triangolo dei tradimenti di Masolino D'amico

Pinter nel triangolo dei tradimenti La celebre commedia in scelta a Trieste con la regia di Furio Bordon Pinter nel triangolo dei tradimenti Giampiero Bianchi, Paola Sacci e Paolo Bonacelli sono i persuasivi interpreti dello spettacolo - Un unico ambiente che allude di volta in volta ai tre luoghi deputati dell'azione - Opinabile la scelta di far indossare lo smoking ai due attori: un passo nella direzione di Noel Coward e dell'anglicismo più convenzionale - Grande successo di pubblico DAL NOSTRO INVIATO TRIESTE — Tradimenti (1980) è l'ultima commedia intera scritta da Harold Pinter, che in seguito avrebbe interrotto una lucrosa e spesso anche acclamata attività di sceneggiatore cinematografico soltanto con qualche pezzo breve o brevissimo; e quando comparve non mancò di suscitare perplessità, n difficile, ambiguo Pinter sembrava stavolta troppo facile, troppo superficiale, n suo dialogo continuava a basarsi su luoghi comuni, su fruste frasi fatte orecchiate dalla vita di tutti i giorni; ma mancava, o sembrava mancare, l'atmosfera sottilmente inquietante che negli altri testi insinua prima il sospetto, quindi la certezza di una verità sotterranea, sfuggente per non dire inafferrabile, che i personaggi con i loro clichés tentano di controllare, e che noi pubblico siamo chiamati a cercare di ricostruire come possiamo. Ora, in Tradimenti l'attesa e puntualmente esibita inadeguatezza della parola non faceva sospettare di voler nascondere nulla: perché nell'occasione, e per la prima volta in questo autore, anche la vicenda era banale, anzi, ostentatamente banale. Pinter era andato a prendere addirittura la situazione più frusta di tutta la tradizione del teatro borghese, quella del triangolo—lui, lei e l'altro — e l'aveva sciorinata seccamente, senza commentarla, in una serie di scene brevi e aride, con l'unico espediente di cominciare dalla fine, ossia dall'incontro fra gli amanti clandestini o presunti tali un paio di anni dopo la fine della loro relazione, per andare indietro nel tempo e concludere con la rivelazione della loro passione, nove anni prima, in un momento che potrebbe sembrare, non sapessimo quanto ormai sappiamo, pieno di felicità. Confesso che fui anch'io fra i semidelusi dopo il pur otti- mo primo allestimento del National Theatre; ma in seguito vidi con interesse il buon film ricavato dalla stessa pièce, su un copione dello stesso Pinter, e anche la versione italiana con la regia di Giuseppe Patroni Griffi. Oggi, dopo una quarta esperienza, ossia l'odierna edizione prodotta dal Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia con la regia di Furio Bordon, mi sono finalmente convinto che sbagliavo. Tradimenti è un testo di prim'ordine, intelligente, penetrante, amaro, e magnificamente teatrale; oltre me del resto ha avvinto i 1600 (o poco meno) convenuti al Politeama Rossetti di Trieste. L'attenzione del quali è stata tenuta desta dal buon ritmo dello spettacolo, che non ha intervallo: si è cominciato puntualmente alle 20,30 e alle 21,50 si cercava il soprabito. Cosa lodevolissima, ma che ha comportato alcune scelte non tutte egualmente convincenti. Alle prese con il problema di un'azione spezzettata in tanti ambienti diversi, Bordon ha optato per una scena unica, ideata da Carlo Sala, una specie di stanza semicircolare e scura, alcune delle cui molte finestre si aprono su cieli con nuvole magrittiane; qui sono tre luoghi deputati, un letto matrimoniale, un sofà, e un bar con sgabelli girevoli. I tre at¬ tori sono sempre presenti in scena, e quello non impegnato nell'azione assiste, isolandosi per il momento; a dirigere gli occhi del pubblico e a sottolineare la funzione via via dei vari ambienti pensano le luci di Sergio Rossi. Per rientrare in questo schema la scena fra marito che sa e amante che non sa che l'altro sa, prevista in un ristorantino italiano, si svolge invece nel predetto bar; poco male, anzi bene, in quanto così si elimina un personaggio minore (un cameriere) realizzando un'economia. Più opinabile, dovendo i tre attori indossare lo stesso abito dal principio alla fine, la scelta di mettere 1 due uomini in smoking: è un passo nella direzione di Noel Coward e comunque dell'anglicismo più convenzionale. Decisamente contro lo spirito della commedia, inoltre, l'inizio inventato dalla regia, con il terzetto seduto a contemplare una serie di diapositive di vita familiare, in sequenza cronologicamente progressiva, proiettate su uno schermo che continuerà a incombere anche in seguito. Queste sono minuzie, l'importante è che sia stata trasmessa al pubblico la fiducia di regista e attori in un testo che quando lo si lascia parlare, funziona. Ho pertanto molto apprezzato la limpidezza della dizione di Giampiero Bianchi e di Paola Bacci, più distaccato, più ironico lui (forse un po' troppo, al momento della «passione» nel finale), più dolorosa lei, cui peraltro il copione consente meno possibilità di variazioni. Dal canto suo Paolo Bonacelli vince ancora una volta la personale scommessa di far accettare la lentezza sorniona dei tempi su cui imposta la sua voce: che all'inizio fa l'effetto di un disco a 45 giri suonato a 33, ma il cui ritmo sonnolento alla lunga rilassa come un massaggio giapponese. Masolino d'Amico Paola Bacci e Paolo Bonacelli in una scena di «Tradimenti»

Luoghi citati: Friuli, Trieste, Venezia Giulia