«Benazir fa il gioco della Cia» di Tito Sansa

«Benazir fa il gioco della Cia » L'opposizione pachistana teme un coinvolgimento militare in Afghanistan «Benazir fa il gioco della Cia » Abdul Wali Khan, capo del partito democratico: «Quando la Bhutto dice che il Pakistan non aiuta i mujaheddin niente o è ingannata» - I servizi segreti eluderebbero le disposizioni del goverro so attentato aereo esattamente sei mesi fa, ma, come si sente dire in giro, -guida tuttora la politica del Pakistan"^dà^à^òmb'a-''.~'Ctìì comanda a Islamabad? si domanda nel numero uscito ieri il mensile Herald. La risposta di tutti, dei politologi, dei diplomatici, dei giornalisti, perfino dell'uomo della strada è univoca: non è la signora Benazir, non è il ministro degli Esteri Yaqub, non sono neppure i militari, ma, come ai tempi del dittatore, a comandare è il capo del servizio segreto Isi, l'onnipotente generale Hamid. E' lui che manovra i mujaheddin afghani e la guerra contro Kabul. Abdul Wali Khan da tempo va denunciando quanto giovedì ha detto il viceministro degli Esteri e ambasciatore sovietico a Kabul Yuli Vorontsov: che le forze armate pakistane partecipano direttamente alla battaglia di Jalalabad e che ciò comporta il rischio di una guerra regionale. Secondo Wali Khan la guerra DAL NOSTRO INVIATO CHARSADDA — (Pakistan) — 'La signora Benazir Bhutto, .quando, dice cfte il Pakìslgn.non' atìtjt militarmente v rnujàffeamn nella guerra contro il governo di Kabul, o mente oppure è ingannata da una superpotenza, gli Stati Uniti». Lo dice Abdul Wali Khan, capo del partito nazionale democratico pakistano e deputato al Parlamento di Islamabad. Figlio del leggendario Ghaffar Khan, uno dei quattro grandi del subcontinente indiano, insieme con Jinnah, Gandhi e Nehru, predicatore della non violenza, Wali Khan è anti-sovietico, anti-americano e anti-mujaheddin nello stesso tempo e apertamente filo-kabulista. E' dell'opinione che la signora primo ministro (per la quale ha simpatia, pur avversandola politicamente) è prigioniera dell'apparato di servizi segreti messo in piedi dal defunto Zia Ul Haq durante 11 anni di dittatura. Zia è morto in uh misterio¬ tra Pakistan e Afghanistan e già in corso. L'anziano uomo politico, che mi riceve nella sua villa di Charsadd a affogata" nelle bouganvillee e circondata da roseti e da peschi in fiore, dice che in Afghanistan combattono circa seisettemila soldati pakistani travestiti da mujaheddin. Secondo Wali Khan la signora Benazir, che un anno fa quando era all'opposizione si era battuta affinché venissero riconosciuti e applicati gli accordi di Ginevra, è vittima della situazione che ha ereditato. -Sa bene che se gli Usa interrompono gli aiuti al Pakistan per il nostro Paese è il collasso economico. Le è stato permesso di diventare capo del governo a precise condizioni, che non cambierà politica per quel che riguarda l'Afghanistan. O prendere o lasciare, e lei ha accettato. Zia Ul Haq è morto, ma gli Stati Uniti, cioè la Cia. sono sempre vivi-. La notizia della presenza di truppe pakistane in Afghani¬ stan mi è stata confermata iersera da un ricercatore di problemi strategici di Islamabad. -Abbiamo mandato truppe scelte, reparti speciali del!'Isi, per dare a Jalalabad una mano ai mujUieddin in difficoltà, dotati come sono di armi inadeguate contro i bunker e i carri armati e costretti per la prima volta a dover fare una guerra non di agguato ma dì attacco, faccia a faccia col nemico. In un primo momento i mujaheddin non volevano l'aiuto degli stranieri, ora l'hanno accettato trovandosi nei guai contro le truppe del regime che sono fortissime-. Lo studioso pakistano di problemi strategici, che non vuole assolutamente venire identificato (chiude perfino le tende della finestra per non essere visto dall'esterno), racconta di aver incontrato ieri alcuni comandanti mujaheddin tornati stremati dalla battaglia di Jalalabad. ■Sono demoralizzati, soprattutto perché non hanno armi pesanti. Erano partiti con entusiasmo, ora hanno l'impressione di non potercela fare». Ma perché sono andati all'attacco? «Avevano fretto di conquistare Jalalabad prima della conferenza dell'Organizzazione dei Paesi islamici a Ryad per ottenere il riconoscimento internazionale del loro governo. Credevano che fosse facile. Hanno attaccato da sprovveduti quelli di Gailani, soltanto per prendere il potere nella città prima che arrivassero gli altri. Sono slati ricacciati e hanno avuto centinaia di morti. Ora temono che la città forse non riusciranno a prenderla mai». Wali Khan in mattinata era stato meno pessimista. Aveva detto che-Jalalabad sarà un osso duro-. Quel che lo preoccupa è l'aspetto politico, il coinvolgimento del suo Paese in una guerra di altri. -Ci stiamo portando la guerra in casa. Stiamo giocando col fuoco-. Tito Sansa