La rivoluzione vive anche senza Robespierre e Lenin

La rivoluzione vive anche senza Robespierre e Lenin Protagonisti, idee e eredità dell' 89. Nel «Dizionario» di Furet e Mona Ozouf un polemico bilancio storiografico La rivoluzione vive anche senza Robespierre e Lenin GIÀ' da quel che si è visto finora, si può dire che il Dizionario Critico della Rivoluzione Francese, firmato da Francois Furet e Mona Ozouf che si avvalgono della collaborazione di un nutrito gruppo di specialisti di nome (B. Baczko, L. Bergeron, D. Richet, e molti altri), e pubblicato in Italia da Bompiani, è un'opera editorialmente fortunata. Oggi, in questo 1989, la rivoluzione francese tiene anche da noi la scena e la terrà sempre più. Ogni settimana esce qualcosa: cose nuove e repechage vari. In luglio saranno i fuochi di artificio. Ma non basta sottolineare il bicentenario. Occorre aggiungere che attualmente il discorso sulla rivoluzione è reso profondamente attuale dalla congiuntura storica in cui ci troviamo a vivere. Senza questo secondo elemento, la semplice ricorrenza non potrebbe animare così il nostro interesse. Intendo riferirmi al vasto dibattito in corso intorno ai valori della libertà e dell'eguaglianza, ai vari significati che ha loro attribuito la storia e a quelli possibili in futuro, sullo sfondo della crisi del comunismo, delle ideologie dello «Stato del benessere», del confronto fra neoconservatorismo individualistico e le correnti culturali e politiche che ad esso variamente si oppongono. Di più: è l'idea stessa di rivoluzione che viene a fondo ridiscussa e sottoposta a nuove verifiche critiche. Il 1917 getta il suo gigantesco riverbero all'indietro sul 1789. Orbene, l'eco di tutti questi problemi lo si coglie appieno nel Dizionario edito da Bompiani. F. Furet e M. Ozouf hanno costruito un'opera che si segnala per due caratteristiche. La prima è di essere anzitutto uno strumento di consultazione — come è giusto che sia ogni dizionario — sulle vicende della rivoluzione francese. A questa esigenza il volume risponde bene. E' stata una scelta felice aver puntato solo su temi importanti. Non dunque quella frammentazione, che spesso si trova nei volumi di questo tipo e dovrebbe rispondere al massimo di consultabilità, mentre per lo più si riduce ad un mero repertorio di notizie schematiche. Dopo una Prefazione dei due curatori, il Dizionario si articola in cinque sezioni (avvenimenti, protagonisti, creazioni e istituzioni, idee, interpreti e storici), a cui seguono indici che ben agevolano l'uso. E' stata proprio la scelta di puntare su grosse voci stese da studiosi importanti a conferire all'opera il suo carattere «critico», ovvero a renderlo espressione di certi filoni interpretativi nell'ambito del confronto con le altre tendenze. Da osservare che, nonostante il rilevante numero degli autori, il Dizionario viene saldamente tenuto in pugno, per così dire, dal Furet, il quale ha steso gran parte dei lemmi che possiamo chiamare strategici: Ancien regime, Babeuf, giacobinismo, governo rivoluzionario, Marx, Michelet, Rivoluzione alla Sorbona, Terrore, Vandea. In quell'interessante breve saggio che è la voce Rivoluzione alla Sorbona, il Furet delinea la storia degli indirizzi che hanno dominato la storiografia francese sulla rivoluzione nel corso di questo secolo. Quello con il quale Furet soprattutto si misura in un serrato confronto intellettuale è il filone della storia sociale influenzato dal marxismo e, ad un certo punto, dal comunismo. Si tratta del filone che da Jaurès va a Mathiez e arriva a Lefebvre e Soboul: il quale ha concepito la rivoluzione privilegiando il tema della lotta di classe. Nel caso poi di Mathiez, la rivoluzione è stata letta largamente in relazione alle analogie fra robespierrismo e leninismo, giacobinismo e comunismo. Terrore giacobino e dittatura del proletariato. Furet, pur nel pieno rispetto per la validità dei grandi risultati di conoscenza prodotti da questa scuola, ne sottopone a critica serrata i presupposti e i valori. Egli critica la concezione secondo cui le lotte di classe costituiscono il filo rosso della rivoluzione e mette invece al centro l'autonomia del momento politico, scorgendo nel Terrore il capitolo estremo non del conflitto di classe ma dell'utopia politica di Robespierre. Furet mantiene, come Mathiez, il nesso giacobinismo-bolscevismo; sennonché lo fa valere in maniera capovolta, e cioè in chiave negativa anziché positiva. L'indirizzo del Dizionario è reso assai evidente da due affermazioni: la prima tratta dalla Prefazione; la seconda dalla voce Terrore. Vi si dice: «Ciò cfte vacilla (...) tra il 1787 e il 1800 non è la struttura della società: sono i suoi principi e il suo governo (...) A un simile terremoto della nostra storia, questo libro cerca di restituire il suo carattere culturale e politico: E, a proposito della natura del regime del terrore: 'Il Terrore imperversa tanto più in quanto il gruppo robespierrista non ha più appoggi (...): è il governo della paura», di una paura dominata dalla falsa idea che-la politica può tutto'. Come dicevo, il Dizionàrio è per" un verso uno strumento ricco di informazioni e per l'altro lo specchio di una corrente interpretativa che, nonostante si riallacci ad idee tutt'altro che inedite nelle radici, è però divenuta centrale nel dibattito storiografico contemporaneo largamente per effetto della crisi del comunismo-giacobinismo. Massimo L. Saivadori Francois Furet - Mona Ozouf, Dizionario Critico della Rivoluzione Francese, Bompiani, pagine XIV-1035,50.000 lire.

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