Con questi Gettoni Vittorini creava letteratura

Con questi Gettoni Vittorini creava letteratura Pubblicati i risvolti di copertina scritti dall'autore: da Fenoglio a Calvino e Sciascia Con questi Gettoni Vittorini creava letteratura FA un certo effetto rileggere tutti di seguito i risvolti che Vittorini scrisse per i «suoi» Gettoni, fra il 1951 e il 1958. Perché fa rivivere, pur dal punto di vista almeno in apparenza minimo dell'occasione editoriale, la straordinaria intelligenza critica, la risentita originalità del gusto, la capacità di dare ascolto alle più diverse voci di ■ scrittori, anche a quelli dichiaratamente lontani dalle proprie posizioni e dalle proprie idee, quali furono di Vittorini e che oggi appaiono davvero morte con lui; ma fa anche ripensare con vivo rimpianto al non meno felice ed eccezionale incontro fra tale direttore di collana e l'editore, Giulio Einaudi, che accoglie e pubblica i testi propostigli, lasciando al direttore, come dovrebbe capitare sempre, la libertà e la responsabilità delle scelte. Dopo i Gettoni (e dopo il mondadoriano Tornasole, ma in misura molto meno vivo e significativa), in Italia sono presso che scomparse le collane letterarie aperte con molta disponibilità e vivacità a narratori nuovi o quasi: non perché non vengano, anzi, pubblicati ogni anno scrittori esordienti nell'ambito del romanzo, ma perché tutto avviene in modo casuale, senza che si intraveda una strategia editoriale o che appaia una specifica direzione di gusto e di concezioni letterarie. E si ha allora spesso il sospetto che la pubblicazione di un romanzo sia dovuta a qualche fortuna dell'autore oppure sia il frutto di ricerche di mercato che trattano i libri come ogni altro prodotto e vengono a stabilire di anno in anno quali sono gli argomenti che 'Vanno' (con l'altra magari errata impressione che i libri non editi non possano che essere migliori di quelli stampati). Con il senno di poi, si può dire che, invece, proprio non è la considerazione da farsi per i Gettoni vittoriniani: ci sono Lalla Roma¬ no e Sciascia, Cassola e Tobino, Fenoglio e Arpino, Ottieri e Calvino, Guerra e la Ortese, Bonaviri e Testori, Cancogni e La Cava, Brignetti e Troisi, Leonetti e Antonielli, e altri ancora, in parte spariti o quasi dagli annali della letteratura, in parte invece attivi in modo più marginale. C'è la narrativa del secondo novecento colta per lo più nelle prime e anche incerte prove, dalle quali Vittorini riesce a divinare felicemente i futuri sviluppi o, comunque, l'originalità della proposta, anche nelle forme che egli non condivide. Come direttore dei Gettoni, Vittorini, infatti, accetta anche ciò che non gli piace, pur che vi intraveda dentro la forza e la vivacità di un discorso letterario non usuale. Non si nasconde mai dietro la facile scelta del già noto, dell'ovvio, del non inquietante, e neppure dietro l'altra concominante facilità della ricerca dello scandalo puramente esteriore (come oggi tanto spesso si fa). E quando non è d'accordo con la via scelta dall'autore, lo dice con chiarezza, qualche volta anche con brutalità. Può sbagliare, come quando vede nel Fenoglio de La malora il pericolo di un ritorno al vecchio naturalismo della tranche de vie o come quando, a proposito di Minuetto all'inferno di Zolla, dichiara la sia totale allergia a Thomas Mann e alla narrativa retta più dall'intelletto che dal cuore, attenta più alle idee che a quella che Vittorini chiama 'realtà' (e che non è quella dei veristi o dei neorealisti, ma quelli della storia e degli uomini che vi operano). Ma, in ogni caso, Vittorini accoglie i due romanzi nei «suoi» Gettoni, non si fa, insomma, direttore di collana con i paraocchi, tutto inteso a un unico modo di scrivere, seguace rigoroso e, di conseguenza, intollerante, di una poetica. Il giudizio deve essere dei lettori: il direttore ac- cetta tutte le opere che gli paiono degne, riservandosi lo spazio circoscritto del risvolto di copertina per dire la sua sul libro (e spesso si tratta di veri e propri saggi critici di folgorante acutezza nella loro brevità). Può essere una definizione o una classificazione del romanzo, può essere una considerazione obiettivamente riduttiva, può essere una dichiarazione di disaccordo: ma, poi, il libro è lì, offerto ai lettori. Certamente, Vittorini come direttore di collana e autore di risvolti è quanto di più lontano possa immaginarsi da quegli altri autori di risvolti con firma di oggi, che si sentono in dovere di magnificare l'opera che presentano e si sprecano in lodi, come se dovesse essere di necessità, proprio perché ne parlano e viene pubblicata dal -grandeeditore, un capolavoro destinato all'immortalità dei cataloghi della Fama. Vittorini ha sempre beri presente il fatto che sta facendo letteratura di giorno in giorno, e ne sta seguendo le tendenze, sta cercando di coglierne i caratteri significativi in sé già da ora o, in prospettiva, per il futuro che preannunciano: per questo i suoi giudizi sono sempre misurati, le riserve anche notevoli su un'opera o su un autore sono dette senza reticenze (e penso, per esempio, ai risvolti dedicati a De Jaco o a Guarneri). Può arrivare fino all'estremo di trasformare un romanzo tragico e lamentoso, come I parenti del Sud di Montella, in un romanzo comico con i suoi consìgli, e il fatto tante volte gli è stato rimproverato da chi mai si è preoccupato di parlare dei ben peggiori tagli o adattamenti che gli editori e i loro redattori hanno operato e operano su autori ben maggiori, ma è un caso unico. In Vittorini la curiosità per le opere è sempre più forte di ogni altra considerazione di poetica o di opportunità. Ha in mente l'idea di una letteratura che ha da essere, dopo la guerra e il dopoguerra neorealista, che gli dà molti fastidio con gli ultimi epigoni ancora in attività, rifondata, a partire, magari, dalla testimonianza di chi ha vissuto vicende e situazioni della storia recente (come Rigoni Stern, Lunardi. Biasion, Venturi); ama parlare di -realtà'. Ma sa benissimo che questa non può che essere una parte della letteratura, poiché le vie del romanzo sono infinite; e allora accoglie il picaresco Arpino di Sei stato felice, Giovanni, l'espressionista Testorì, intriso di colori dialettali, de II Dio di Rosario, l'intellettualistico Zolla, l'arrovellato Leonetti, il fantastico Bonaviri, il moralista La Cava, l'eticità rigorosa di Troisi e di Terzi, l'oggettività pura di Cassola, il Calvino del 'conte philosophique' Il visconte dimezzato. Se mai, dove le scelte vittoriniane dimostrano curiosamente incertezza ed errori di prospettiva è nei Gettoni stranieri: Algren, Morris, Antelme, Gascar, dicono proprio poco o nulla. Ma anche qui c'è un nome che riscatta tutti gli altri, ed è quello di Borges, per la prima volta presentato con la traduzione di Ficciones che ha il titolo, destinato a una fortuna particolare, e a ragione, perché è davvero -borghesiano' in modo perfetto, de La biblioteca di Babele «a dire il vero, Vittorini presenta anche Marguerite Duras, che e, però, a mio parere, autore molto sopravvalutato, sia allora, sia in questi ultimi anni). I Gettoni sono stati, insomma, forse l'unico e ultimo esempio nel dopoguerra di una collana di narrativa capace di raccogliere in sé opere sicuramente significative, di esercitare la funzione di scoperta di scrittori nuovi e di attenzione scrupolosa e partecipe alle loro successive prove, di preoccuparsi soltanto (o quasi) dell'opera e non del mercato e delle mode: merito di quello straordinario suscitatore di energie e di idee che fu Vittorini, ma anche dell'editore Einaudi, che, infatti, proprio nel decennio dei Gettoni e in quello successivo ebbe le sue grandi stagioni. G. Bàrberi Squarotti Elio Vittorini, 1 risvolti dei "Gettoni-, a cura e con un'introduzione di Cesare De Michelis, Scheiwiller, 160 pagine, 12.000 lire. Vittorini a Milano, quando militava nella Resistenza

Luoghi citati: Cassola, Italia, Milano, Montella, Roma