Nel salotto Carandini sogni e delusioni dell'Italia liberale

Churchill: un discorso poco felice 13 maggio 1945 — (...) Ceniamo tranquilli nello studio e ascoltiamo Churchill in un discorso poco felice, sema lume di speranza e di carità. Sprezzo e rancore per l'Irlanda di De Volerà, gualche parola per mettere a posto le cqse con America e Francia, accenno alla Mussolini's Italy senza incoraggiamento per quella che dovrebbe sorgere ora. Ma più che altro il discorso è rivolto alla Russia comunista-imperialista, spavento per l'Europa. Ultimo incontro con Croce 18 aprile 1947 — Giorno intenso da dire per ordine, superando l'impazienza emozionale. Pietà per Napoli distrutta per Croce aspro e incomprensivo, per zio Alberto maialo (...). A Napoli andiamo direttamente al centro antico, dai Croce. La giornalaio nera nera e lampeggiante ci fa largo nel vicolo off oliato fino al portale del palazzone. In cima alla sua scala pomposa sono due porte e una è quella del Centro Storico creato da Don Benedetto in collegamento con la sua straordinaria biblioteca. Donna Adelina tiene a presentarci i nuovi ambienti da lei arredati con mobili antichi molto adatti. Ahimé, subito l'incontro con Croce si rivela diffìcile, cosi diverso da quelli romani a noi cari, e poco propizio. Ne ho pena per Nicolò. Il nume è ad uno dei tanti tavoli di quel suo regno libresco, accigliato e distante. Gli è accanto col suo tono servilmente untuoso l'immancabile Renato Morelli più nerastro e pretesco che mai perché in lutto. Il suo ossequio, le sue brevi effervescenze mi disgustano. Forse anche gliene voglio d'occupare alla Costituente il seggio cedutogli da Nicolò che, lo sento, egli è ormai sicuro di essersi elettoralmente conquistato. Si aggiunge, in margine, uno studentello calabrese tutto estasiato. Quel Sud ci è risultato indigesto. E le nobili stanze dello studio e del pensiero ci parevano soffocanti come il settarismo degli adepti. Ad ogni parola di Croce vien fuori la sua irritazione nazionalistica e suona rimprovero per Nicolò, come se fosse stato in suo potere appianare tutto per l'Italia. Sappiamo che alla proposta dell'Unesco, giuntagli pel tramite di Julian Huxley, a proposito della Carta dei Diritti dell'Uomo, ha risposto picche. Sostiene che c'è troppa confusione e diversità di concetti fra le nazioni aderenti, e avrà anche ragione. Dissertava quindi, con mirabile evidenza, sul Diritto Naturale e l'assurdo di tale denominazione per quella libertà ch'era stata invece una conquista umana. Ma, dietro le sue buone ragioni, si avvertiva il suo animo ostile alle potenze vincitrici. Forse chi è stato ammiratore ed amico dei tedeschi non riesce a riconoscere altre potenze? Ma in questo tempo tanto diffìcile noi chiederemmo ad una illuminata vecchiezza una maggiore generosità e pazienza. «Ci siamo lasciati illudere dalla loro propaganda...' dice con livore a proposito dell'Inghilterra e del trattato di pace. Ma m.nci sono forse di mezzo l'America e la Russia? Non so come oso notare che si rischia con diffidenze e scontenti, di fare il gioco dei comunisti. La testa abbassata sul piatto colmo di spaghetti, lui borbotta qualcosa. Nic mi faceva gli occhiacci, ma io dovevo togliermi quella soddisfazione impossibile a lui. La dolce Lidia capiva il nostro disagio e la buona Adelina provava a rimediare. L'incanto fra i due uomini, che si erano così bene capiti per due anni, è rotto ormai. Ne deve gongolare il Morelli che ne era stato tanto ingelosito. Si sente la sua influenza su Croce. Un vero sollievo trovarci poi fuori di là, sul battello per Capri, nella libera aria marina. Dice Nic: «Si rimane così poveri, quasi vuoti, quando ci viene meno l'anziano, il superiore d'eccezione cui ci volgevano ed appoggiavamo! Ma quella generazione è finita, non regge al confronto con questo tempo, e noi non sappiano come sostenere tante nuove responsabilità...'. Montale come un putto barocco 31 luglio 1947 — Vengono il Maestro Gui e moglie per prelevarmi e portarmi da Montale al Forte. Di Montale mi colpisce il viso gonfiato, cotto dal sole e come smemorato. Pare un putto barocco. Non si sa più attribuirgli quella scarna e amara poesia, la migliore del nostro.tempo. E' come se il poeta si trincerasse dietro un complesso di prudenze e pigrizie formatosi col tempo e per i tempi. A tratti però ne vien fuori e appunta gli occhi quasi ferocemente sull'interlocutore, roteandoli buffamente. Una certa buffoneria gli fa comodo, ed una certa condizione di noia procurata ad arte. La sua Mo- sca gli è compagna e complice, sempre più mosca ed ebrea dietro le lenti spesse. Per lei Montale tira fuori una bella gentilezza, forse perché è stata molto malata. Ci si trova d'accordo, conversando, nel giudicare le intrusioni politiche degli insigni vegliardi. Anche Berenson, mi si dice, si mostra rabbiosamente incomprensivo. Si tratta, io penso, di paura con aggiunta di senile ostilità ad un mondo che cambia e li sorpassa rapidamente. Viene ritiratafuori la storiella del Bibi cui scaldano l'orologio prima di metterglielo al polso. Capita, là dai Montale, il Prof. Contini che insegna a Zurigo. Si dice molto interessato da Edoardo Calandra, dicendo che, nella sua nuova Antologìa dell'Ottocento Italiano, vuol far posto anche a 'quelli che non sapevano l'italiano'. Conversazione molto facile, piacevolissima. Gui mi interroga su Glyndebourne. Devo tirar fuori, per questo ed altro, alcuni dei mìei 'dischi'inglesi. Non vorrei però abusarne e li sento a momenti così stonati. Mondi e momenti tanto diversi non si mescolano. Le lettere di Gramsci 11 agosto 1947 — Nic varca le Alpi e passa a Pollone a Parelio ed a Gressoney per salutare tutti i nostri cari. Lo attendo con l'angoscia che ci prende quando qualcuno di troppo desiderato sta per arrivare. Non vado alla spiaggia e leggo le Lettere dal carcere di Gramsci. Nove anni di terribile sua solitudine — 1926-37 — un lento martirio sino alla morte in infermeria. E noi allora, antifascisti come lui, vivevamo troppo ignari ed ignavi. Erano gli anni pieni della vita romana. Le lettere di Gramsci sono d'una meravigliosa onestà anche mentale per cui, pur nella devozione all'idea comunista, c'è un suo lucido lavorio di critica costruttiva e coraggiosa. Anche un ritorno alle cose e persone della sua Sarde- . gna, fida e benigna, mentre cresce la incomprensione delle due slave, moglie e cognata. La crescente tristezza di chi medita e giudica. Chissà come Gramsci si sarebbe applicato polìticame7ite a servire il comunismo, dopo la liberazione ? A noi tocca ora vedere il fascismo impunito, impudico, che risolleva la lesta. Edda Ciano tornata a far la bella vita a Capri, circondatissima. Da Berenson 12 settembre 1947 — Vogliamo tentare una visita a Berenson. Prendiamo la bella strada lungo l'Arno alle spalle di Firenze. Dettagli di paesaggio delicati ma per nulla manierati. Quando comincia la salita prendiamo a bordo un vispo contadino che, cartella sotto il braccio, se ne va a Pontassieve ove lavora alla industria vinicola Martini & Rossi. Dice di Pontassieve ch'era completamente distrutta ma ora in gran ripresa e si fabbrica il vermut. Lui fa abitualmente, per recarsi al lavoro, 12 km e altrettanti per tornare, come niente fosse. Giunti in cima a quei monti sotto il Falterona, da cui l'Arno nasce, prima del Passo della Consuma, abbiamo piegato verso Vallombrosa, e provato la stradetta per la Casa al Dono. Mentre arrivavamo l'auto del Bibi stava uscendo, con lui e la Nicky, la Paola Olivetti e Carlo Levi diretti, non lungi di lì, da Vittorio Emanuele Orlando. Volevano che vi andassimo noi pure, figuriamoci. Grazie, grazie, ma vi aspettiamo qui tanto bene e Berenson ha preferito restare con noi. La mano inguantata accenna all'aerea veduta, con Fiesole vaga nella dolce-nebbiosa lontananza, fra le fronde sostanziose dei castani. Indica i luccichii dell'Arno al di là dì Firenze. Sorride il vecchio amico, nella sua conoscenza che si fa riconoscenza, dinanzi a tutto ciò ch'è bello. Dischiuse le labbra sui larghi denti di consunto avorio, in un sorriso che comincia come un asolo ma poi si offre, cercando il nostro di consenso. Passeggiamo con lui fra quei castagni cresciuti dai vecchi ceppi, cui il sole mette calando bracciali di luce. Staremmo così bene assieme se la conversazione non divenisse ben presto difficile. Sospetti per il nostro nuovo mondo italiano ma anche per l'Inghilterra laburista di cui lo sgomenta l'egualitarismo proletario. Inutile spiegare. Poi ci si ritrova con gli altri e tutto procede bene. La Nicky è tutta fiera di mostrarci questa ch'è casa sua, dono dell'amico. Nessun lusso, semplice simpatico mobilio. Crétonnes e mezzari, stuoie, vecchie stampe. Confort e buon funzionamento. La cena è ottima e la coppia Paola-Levi piacevole. Della Paola lOlivetti) il Bibi si è infatuato, come già sapevo. Elena Carandini Albertini