L'americano di Tangeri racconta le crisi dell'uomo civilizzato

L'americano di Tangeri racconta le crisi dell'uomo civilizzato La riscoperta di Paul Bowles, romanziere deir«orrore esotico»: esce in Italia «Il tè nel deserto» L'americano di Tangeri racconta le crisi dell'uomo civilizzato DOPO un tentativo ormai remoto di lanciare in Italia lo scrittore e compositore Paul Bowles (il suo secondo romanzo, Lascia che accada, usci da Sugar negli Anni 50), si accende per questo narratore dell'orrore esotico la spia delle riscoperte. Esce infatti in questi giorni da Garzanti D. tè nel deserto, che fu un grande successo del 1949, da cui Bernardo Bertolucci trarrà il suo prossimo film destinato al Festival di Cannes del 1990. E in seguito, sempre Garzanti proporrà poco alla volta tutti i suoi titoli. E'uno strano destino quello di Paul Bowles, esule volontario in Marocco da ormai quasi quarantanni. Forse perché estraneo alle classificazioni di corrente— e tanto poco interessato alla promozione dei suoi libri, da non andare negli Stati Uniti nemmeno in occasione della loro uscita — è rimasto finora uno di quegli autori noti quasi esclusivamente ai letterati, divisi tra il riconoscergli una grande qualità di scrittura e il considerare con un certo sconcerto le storie morbose e crudeli che ha raccontato quest'uomo riservato, un po' ombroso e un po'mondano, devoto ai piaceri eleganti della costa nord africana. Un uomo che ha avuto una vita piena, segnata non da una, ma da due distinte vocazioni. Come scrittore Paul Bowles ha prodotto quattro romanzi e molti volumi di racconti, poesie, saggi, scritti sui suoi viaggi e traduzioni dall'arabo del Maghreb. Come compositore ha scritto concerti, brani per balletto e musiche per il teatro di Orsan Welles, Elia Kazan, William Saroyan e Tennessee Williams. Ha viaggiato senza sosta in Africa, in America Latina e in Asia, ha sposato una scrittrice di una certa fama—Jane Bowles — e ha diviso passioni letterarie ed estenuanti fumate di canapa indiana con compagni di strada illustri come W. H. . Auden, Christopher Isherwood e Stephen Spender, Truman Capote e William Burroghs, e naturalmente l'amico più caro, Tennessee Williams. Chi sia veramente questo personaggio ormai quasi ottantenne che le fotografie di Cedi Beaton ci raccontano un tempo biondo e sempre molto elegante, non è facile dire. Si sa che vive in un appartamento di tre stame di fronte al consolato americano a Tangeri, contornato da una corte di raccontastorie marocchini analfabeti, i cui sforzi di fantasia erotica ha trascritto e tradotto in inglese, inventando un nuovo genere. Ma di se stesso in senso più intir. ha rivelato sempre ben poco, anche nell'autobiografia uscita nel '72 col titolo Wlthout stopping, e ristampata dalla Ecco Press americana nell'SS per la gioia dei cacciatori di celebrità (l'indice dei personaggi citati comprende almeno cento nomi famosi). «Se sono qui adesso» scrìve per esempio a proposito dì Tangeri «è solo perché mi trovavo ancora qui quando ho realizzato fino a che punto il mondo fosse degenerato, e ho capito che non volevo più viaggiare». Un po' generico, forse, per un autore che ha dedicato 19 libri al suo annoiato disgusto per la civiltà moderna e i suoi standard morali. E'facile invece identificare il tema ossessivo di tutta la letteratura di Paul Bowles: il crollo dell'uomo civilizzato in un ambiente primitivo, alla mercé di un universo malvagio. I suoi perso¬ naggi sono quasi sempre americani in fuga dal puritanesimo e dal progresso, che distrattamente precipitano nel cuore di tenebra. «Questo non è un tema nuovo nella letteratura occidentale», commenta un suo giovane ammiratore, lo scrittore Jay Mclnerney, uno dei tanti che per spiegare Bowles ama citare Conrad e Poe. «Ma quello che lo rende singolare in Bowles è la. sua asprezza, il suo rifiuto di romantizzare l'esotico». Una cosa che gli hippies che negli Anni 60 bussavano alla sua porta in cerca di una guida morale alla dissolutezza all'ombra delle palme hanno mancato di capire. Quando Paul Bowles vide per la prima volta Tangeri a 18 anni era già un poeta pubblicato, che avrebbe abbandonato l'università di Virginia per studiare musica a Parigi e a Berlino col celebre compositore americano Aaron Copland. Ha già scritto «molte lusinghiere lettere» a Gertrude Stein — che gli rende merito con qualche osservazione frivola nell 'Autobiografia di Alice Toklas — quando si presenta da lei nel '31 con una cartellina di poesie sottobraccio e il progetto di raggiungere Jean Cocteau e la sua cerchia a Villefranche. La Stein è brutale: le poesie non valgono niente, meglio che studi musica. «Che ragione c'è poi di andare a Villefranche» aggiunge «dove staresti soltanto seduto ai caffè a parlare di letteratura, invece di creare qualcosa di tuo?». Il suo consiglio è di passare l'estate a Tangeri, e questo Paul Bowles fa, accompagnato da Aaron Copland. Ci torna di nuovo l'inverno seguente, quando si ammalerà di tifo. Poi un altro inverno ancora. questa volta per trascorrere alcuni mesi nella regione M'Zab del Sahara, dove 15 anni dopo avrebbe ambientato n tè nel deserto. Ma negli Anni 40 e 50 Paul Bowles è soprattutto a New York — anche se i viaaai lo portano spesso in Messico, in Algeria e in Francia — dove entra brevemente nelle file del partito comunista. Vive delle musiche che scrive per il teatro, e ha un momento di gloria quando Richard Bernstein dirige nel '43 la sua The wind remalns al Museum of Modem Art, che viene danzata dal maestro dell'avanguardia americana Merce Cunningham. Nel '37 ha incontrato Jane Auer: «Una ragazza deliziosa» secondo la descrizione di Tennessee Williams «piecolina, piccante, sempre in bilico tra lo humor, la nevrosi, l'amore e le distrazioni». Il loro è un matrimonio eccentrico, punteggiato da lunghe separazioni e amanti da entrambe le parti. E' proprio Jane Bowles, all'epoca della stesura del suo primo romanzo (Two serious ladies, 1943) a risvegliare in Paul il desiderio di scrivere. Due anni dopo Paul Bowles è in Algeria, solo, a lavorare a n tè nel deserto. Scrive a letto nei piccoli alberghi del Sahara e quando arriva al punto in cui Port, il protagonista della prima metà del libro, muore di tifo, decide di aiutare la sua immaginazione fumando il majoun, la più forte delle droghe marocchine. In questo preciso punto il libro cambia: la storia a tinte delicate di una coppia americana in crisi che flirta col pericolo e l'adulterio diventa un imprevedibile viaggio nel territorio dell'orrore esotico. Kit, la moglie di Port che l'autore sembra modellare su Jane Bowles, fugge nella notte attraverso il deserto, e quasi fosse contagiata dalla morte si consegna ai beduini che la violentano, la fanno prigioniera e la rendono infine pazza. «Solo la qualità eccellente della scrittura di Bowles rende tollerabile quest'escursione nella trivialità» commenta un recensore del New Yorker. ~~ Disorientato, l'editore Doubleday rifiuta il libro, e Bowles si vede costretto a restituire l'anticipo ricevuto. Ma quando New Directions accetta di pubblicarlo, Il tè nel deserto si rivela un successo. Da questo momento Paul Bowles lascerà la musica per vivere nella letteratura quegli stati alterati di coscienza che lo rendono sempre più dipendente dal majoun e sempre più interessato agli abissi e alle furie della psiche umana. In A distant episode, uno dei suoi racconti più fortunati, un professore di linguistica in cerca di nuovi dia- letti perde la ragione dopo essersi unito a una tribù di nomadi del deserto che gii tagliano la lingua e ne fanno il proprio giullare. In The echo una ragazza americana che va a trovare la madre e la sua compagna lesbica in Colombia, attacca con un urlo mostruoso e animale l'amante della madre. In The frozen flelds l'ostilità di un padre corrode lentamente il cervello di un ragazzino. Lo stile è secco. «Bowles ha imparato da Hemingway cosi come dall'altro maestro dei racconti del Ventesimo Secolo, D. H. Lawrence» commenta la scrittrice Joyce Carol Oats. «Anche le sue descrizioni sono meravigliosamente drammatiche. Niente è estraneo alla storia, niente va sprecato». Quando Tangeri negli Anni 50 comincia a tramutarsi in un salotto letterario internazionale, la presenza di Paul e Jane Bowles diventa una specie di forza magnetica che attira, tra i primi, i poeti della generazione Beat, William Burroghs, Alien Ginsberg e Gregory Corso. Nel '52 Bowles pubblica Lascia che accada, e nel '57 il terzo romanzo, The spider's house, dedicato alla lotta dei marocchini per l'indipendenza. Arrivano intanto Auden, Isherwood, Spender, Williams e Truman Capote — l'amico più caro di Jane — che si ritrovano in casa dei Bowles per il consueto rituale di iniziazione al majoun e al kif, un'altra potente canapa marocchina, aerea e raffinatissima. Ma il 1957 porta ai Bowles un vento di sventura. Jane si ammala e fino alla sua morte nel '77 in una clinica spagnola, avrà bisogno di continue cure. «La ragione per cui ho cominciato a tradurre» racconta Paul Bowles in un'intervista «è che la signora Bowles era ammalata e io non potevo scrivere perché ogni venti minuti ero chiamato da lei al piano di sotto». Esce tuttavia nel '66 il suo quarto e ultimo romanzo, Up above the world, ancora una storia di deformalità mentali, sottesa dall'idea che la vita è un gioco perso in partenza ma che va giocato fino alla fine. «Lei mi chiede perché dia tanto rilievo alle varie sfaccettature dell'Infelicità» scritte Paul Bowles a un critico del New York Times. «E' perché credo che l'infelicità vada studiata molto attentamente. Questo non è certo il momento per nessuno di essere felice». Come Port, il protagonista di II tè nel deserto che morendo osserva la cupola azzurra del cielo aprirsi in due sopra il deserto, «bisogna guardare l'universo in faccia» avverte Paul Bowles, «quando si spacca sopra la tua testa». Livia Manera Marocco: sulla spiaggia di Ajadir (foto Grazia Neri)