Legge sulla violenza sessuale Un debito verso il più debole

Legge sulla violenza sessuale Un debito verso il più debole Dopo 10 anni sarà questa la settimana decisiva? Legge sulla violenza sessuale Un debito verso il più debole Attualmente non si riconosce alla donna dignità di persona La lentezza dell'iter legislativo - Le responsabilità dei partiti La legge sulla violenza sessuale costituisce la tardiva soddisfazione di un pesante debito verso le donne e la civiltà giuridica. In mezzo secolo la società ed il costume sono profondamente mutati tanto da rendere inconciliabile, in alcuni settori, il passato con il presente. La libertà fa ormai parte della coscienza istintiva del cittadino, l'autodeterminazione e l'uguaglianza sono ritenuti più che diritti, attributi essenziali della persona. Ma in oltre cinquant'annl non è cambiata una legge che relega la donna violentata a strumento od occasione di tutela del vero bene protetto: la morale pubblica. La donna stuprata è una protagonista parzialmente passiva ed indiretta del meccanismo processuale repressivo avviata dallo Stato per finalità sociali. Allo scopo di sopperire a questa vergogna ed anacronismo storici il Parlamento, da oltre dieci anni sta esaminando, con ponderata lentezza, una proposta di legge che riconosca alla donna dignità di persona ed alla violenza la qualifica criminale che le è propria. Se la vitalità di un organo (anchp istituzionale) è proporzionale alla sua capacità di funzionare, la Camera, in questo specifico caso, appare quasi allo stato comatoso. Certo la questione è estremamente delicata e ricca di implicazioni che non possono essere ignorate o valutate frettolosamente. Ma i risvolti etici, sociologici, culturali e le difficoltà tecniche (di tecnica normativa, ossia di traduzione delle soluzioni in formule giuridiche) non giustificano tempi operativi più vicini alla paralisi che alla lentezza. Ancora meno giustificano rissose contrapposizioni partitiche, ricerche di non chiari compromessi, minacce di ritorsioni politiche. Se c'era un caso in cui i singoli deputati dovevano essere lasciati liberi di decidere secondo «scienza e coscienza» avvalendosi dell'opera di esperti era proprio quello della legge sulla violenza sessuale. I partiti non hanno, invece, voluto rinunciare al loro ruolo di determinazione delle scelte e dei voti parlamentari, senza peraltro riuscirvi del tutto proprio per la peculiarità della materia. Così martedì scorso, quando il testo di legge doveva essere approvato, la crisi è esplosa sui punti nodali della questione. La disputa che ha causato l'ulteriore differimento si è concentrata sulla integrale procedibilità d'ufficio per il reato di violenza o sulla previsione, quanto meno per le ipotesi di violenza all'interno della coppia, di condizioni di procedibilità affidate alle donne. Entrambe le soluzioni hanno motivazioni serie, ma la nuova, corretta qualificazione giurìdica del reato fa propendere tecni¬ camente per la procedibilità d'ufficio. Se il diritto di violenza carnale è classificabile tra i reati contro la persona (comunque vengano realizzati) non si vede perché debba avere un regime processuale diverso da questi ultimi. Le lesioni personali gravi sono perseguibili d'ufficio, contro chiunque le abbia provocate. Alla lesione personale costituita dalla violenza carnale non può ovviamente disconoscersi l'attributo della rilevante gravità. La conseguenza sul piano logico-giuridico appare del tutto evidente: la parità di trattamento. L'opposizione o le resistenze a questa soluzione derivano, con ogni probabilità, da un retaggio storico-culturale che collega all'atto della violenza sessuale l'effetto infamante anche sulla vittima, come se avesse incolpevolmente contratto una malattia vergognosa. Di qui la scelta di proteggere la donna da questa (insussistente) macchia attraverso un silenzio sofferto in solitudine e pagato con l'immunità sostanziale del violentatore. Ragioni in parte diverse vengono addotte contro la procedibilità d'ufficio nell'ipotesi di violenza all'interno della coppia. Ma forse il problema è stato esasperato artificialmente perché nella realtà questo tipo di violenza ben difficilmente fuoriesce dalle «mura domestiche» ed il silenzio-perdono produce gli stessi effetti pratici della mancata presentazione della querela. Altro punto qualificante del progetto di legge è l'introduzione, del tutto atipica nel nostro sistema penale, dell'obbligo di presentare denuncia posto a carico di chiunque assista a fatti di violenza sessuale. Una sorta di «dovere di solidarietà» tristemente imposto per legge in luogo di quello, ormai caduto, imposto dalla coscienza dell'individuo e dall'appartenenza al sodalizio umano. Solidarietà che sembra giusto offrire alla vittima, previo suo consenso, anche attraverso la partecipazione delle associazioni femministe, in perfetta linea, del resto, con le disposizioni del nuovo codice di procedura penale. Ma, come si è accennato, alla delicatezza intrinseca dei problemi, alle difficoltà tecniche che ne derivano ed all'urgenza della soluzione la maggioranza dei parlamentari sembra contrapporre e privilegiare le precostituite (seppure incrinate) posizioni di gruppo nel consueto e confuso gioco dei partiti. Se prevarrà la logica delle alleanze strumentali e della prova di forza assisteremo in questa settimana ad una ulteriore sconfitta istituzionale ed alla «violenza» di una aspettativa che affonda ormai le sue radici nel tempo. Giancarlo Ferrerò

Persone citate: Giancarlo Ferrerò