Donna: parità solo a parole

Donna: parità solo a parole In un convegno a Torino dibattito sugli scenari femminili futuri nel lavoro Donna: parità solo a parole Proposte diverse per offrire pari opportunità - L'imprenditrice Claudia Matta: studi più adeguati - La giurista Balestrerò, la sociologa Piazza, le sindacaliste Mecozzi, Paparini, Spezzano: cambiare anche i criteri di valore TORINO — Le donne devono scegliere tra la parità assoluta o la valorizzazione della loro differenza? Ma è proprio indispensabile questa scelta? Una maggiore preparazione professionale delle donne, una loro scelta più «maschile», e quindi più tecnica, negli studi offrirà loro pari opportunità sul lavoro? E chi andrà a coprire quei lavori oggi a netta prevalenza femminile — insegnanti, infermiere.. —, insomma in quei ruoli che qualcuno ha definito da «mamma diffusa» e che, nonostante la loro notevole rilevanza sociale, sono all'ultimo gradino della considerazione sociale e monetaria? Non solo. Se le donne finalmente saranno preparate in modo adeguato alle richieste del mercato del lavoro e terranno in debito conto che entro il Duemila si ipotizza che ci sarà il 407o di nuovi mestieri, se quindi sempre più cresceranno le occupate, come si risolverà il problema del cosiddetto «lavoro di cura» familiare che da sempre ha pesato su spalle femminili? Un «nodo» che altri Paesi, come la Svezia, hanno già dovuto affrontare on un'awenieristica «tassa sul tempo» che pesa su tutti i cittadini. Scenari prossimi futuri su cui già si comincia a fare i conti, ma che non possono non tener conto della realtà di oggi in cui convivono storture e ritardi culturali nei confronti della «risorsa donna». Su questi problemi è ruotato il dibattito di due giorni svoltosi a Torino tra le rappresentanti delle pari opportunità del Piemonte (promotrici del convegno), dell'Emilia Romagna e delle Marche, dei partiti e dei sindacati, imprenditrici ed esperte da cui è emersa la complessità — ma anche la volontà — per arrivare a una società non discriminante, capace di offrire a tutti le stesse pari opportunità. Un utile e proficuo confronto da cui partire per attuare iniziative concrete «dalla parte delle donne». Secondo un'indagine della Confindustria, comunicata dall'imprenditrice Claudia Matta, l'unica donna a far parte del vertice confindustriale ('ho sempre combattuto per la parità della donna nel lavoro e nella vita-), le difficoltà nel trovare lavoro valgono sia per le donne che per gli uomini che non dispongono di professionalità adeguata alle esigenze del mondo produttivo. «// problema è generale, ma assume toni più negativi per le donne, dal momento che i titoli richiesti dall'industria sono in prevalenza "maschili". Per le donne che dispongono di tali titoli le opportunità di accesso al lavoro sono le stesse dei maschi, come dimostra la crescente presema fra gli occupati di donne con diploma e laurea». In effetti fra il 1981 e il 1987 il peso delle donne diplomate sul totale degli occupati è cresciuto deU'8,6% contro il 6,4 degli uomini; quello delle donne laureate del 2,4% contro 1,6 degli uomini. Una tendenza che, secondo la stessa Confindustria, dovrebbe consolidarsi dal momento che crescono le donne con gli stessi percorsi scolastici degli uomini. Eppure, come già molte donne hanno potuto sperimentare, poter vantare gli stessi titoli, la stessa professionalità di colleghi non è sempre sinonimo di uguale accesso al lavoro, di uguale carriera. 'Il fenomeno della segregazione del lavoro femminile resiste a tutte le leggi di parità', ha confermato la giurista Maria Vittoria Balestrerò, tra le massime esperte in diritto del lavoro delle donne. E questo non solo per i limiti e le incertezze dell'attuale legislazione, a partire dalla «903», la legge di parità del '77 su cui da tempo giacciono delle proposte di «cor¬ rezioni», come ad esempio l'inversione dell'onere della prova (ovvero è chi discrimina che deve fornire la prova di non aver attuato la discriminazione e non la lavoratrice discriminata). Ma se le leggi di parità non bastano, come se ne esce? «Occorre — secondo la Ballestrero — ridisegnare i percorsi lavorativi delle donne, ma anche rivedere i criteri che si utilizzano per "classificare" il lavoro svolto dalle donne: criteri spesso viziati dal pregiudizio sessuale che penalizza le donne, riconoscendo alle loro caratteristiche di lavoratori un diverso minor valore monetario e professionale». Rispunta la «differenza sessuale»: «per non tornare pericolosamente indietro — ha ancora precisato la giurista — occorre quindi lavorare sul "valore"del lavoro». Questo vuol dire non accettare una parità formale o al ribasso, che poi significa, secondo Alessandra Mecozzi (tra le fondatrici di «Sindacato Donna» e della segreteria regionale Fiom), 'non portare, ad esempio, elementi di peggioramento di vita, come l'estensione dei turni di notte in nome della parità; non vanno bene nemmeno agli uomini e non si capisce perché debbano andar bene anche alle donne». Di «marginalità» fenuninile, di «soggetti deboli» — in genere chi ha superato i 29 anni e non ha titolo di studio o è in possesso della sola licenza elementare — parla anche il nuovo disegno di legge della Federmeccanica sul problema delle pari opportunità, con la richiesta di incentivi di carattere finanziario e normativi (nominatività delle assunzioni e a tempo determinato) per favorire la loro assunzione. Proposta su cui non sono però mancate perplessità e critiche da parte delle donne presenti al convegno torinese (ma proprio a Torino, un accordo tra Unione Industriale e sindacati per l'assunzione a tempo determinato di ultraventlnovenni ha portato al 40% di assunzioni di donne). -Riconosciamo la capacità politica della Federmeccanica di cogliere la maggiore disponibilità delle donne a cercare lavoro, ma perché offrire solo contratti a termine a chi arriva tardi sul mercato del lavoro o con più debolezza per aver svolto un lavoro socialmente utile come la cura dei figli, degli anziani?», si è chiesta Irene Spezzano, della Uil nazionale. -Le donne non vogliono più essere precarie», ha puntualizzato a sua volta Piera Paparini, della Cisl regionale. «Mi pare che tutto si riduca, in nome di malintese rivendicazioni delle donne, nell'incentivare le aziende ad incrementare posti di lavoro ultra flessibili e precari da destinare alle donne. Il mio dissenso — ha chiarito la Ballestrero — non è solo sulla scelta implicita nella proposta a favore di un lavoro femminile come accessorio del bilancio familiare, ma è soprattutto sugli obiettivi finali, i cui esiti mi paiono quelli di un indebolimento di tutti i lavoratori». La sociologa Marina Piazza ha smentito il luogo comune secondo cui sono molte le donne che preferiscono lavori precari: -Le donne non amano essere "binari morti": in una ricerca ho scoperto la loro sofferenza a non avere uguali opportunità nel lavoro, il loro vivere male, l'impegno obbligato familiare». Secondo la Piazza "le donne devono smetterla di presentarsi sul mercato del lavoro con senso di colpa per avere alle spalle il "lavoro di cura", anzi è ora che questo diventi spendibile nella contrattazione». E' evidente a questo punto che le pari opportunità (come hanno ricordato la comunista Livia Turco e la de Albertina Sogliano) non devono essere solo un capitolo «ma il principio ispiratore della politica generale». Stefanelli! Campana

Luoghi citati: Emilia Romagna, Marche, Piemonte, Svezia, Torino