E la spia saltò in aria nel faro di Vincenzo Tessandori

E la spia saltò in aria nel faro L'ombra degli 007 sull'attentato di due anni fa alle Tremiti: oggi il processo a Foggia E la spia saltò in aria nel faro Un solo imputato: il complice morì nello scoppio di una bomba -1 giudici indagano sui mandanti: sospettati i terroristi libanesi e i servizi segreti israeliani - Ma i magistrati svizzeri battono la «pista libica» DAL NOSTRO INVIATO GINEVRA — Spuntava la luna nuova. Arrivare alla Punta del Diavolo non era stato agevole: il sentiero si snodava scosceso e JeanLouis Nater aveva preferito tener spenta la torcia elettrica. Lavorò in fretta e in silenzio. Sistemò la carica sotto la torre poligonale del faro, a strapiombo 16 metri dal mare, dette un'ultima occhiata al timer. Ma non ebbe il tempo di allontanarsi: fu decapitato dall'esplosione anticipata. Anche il faro dell'isola di San Domino, nelle Tremiti, rimase semidistrutto. Nessuno, in quella notte del 7 novembre 1987, udì l'esplosione. Alla corte d'assise di Foggia oggi Samuel Albert Wampfler, 47 anni, viene processato per introduzione illegale d'esplosivo e per l'attentato al faro numero 3844 «con finalità di terrorismo-. Era sull'isola con Nater. Partiti insieme da Ginevra per quel viaggio fuori stagione alle Tremiti, si erano portati i timer, passando da Milano si sarebbero procurati l'esplosivo. Negli archivi della polizia cantonale sono conservati i loro dossier: truffe, furti, rapine. Insomma, niente che apparentemente li legasse al terrorismo. Ma sul passaporto di Wampfier spiccava il visto per il Libano. «Dovevo andare a Beirut per acquistare pezzi di ricambio-, ha detto. In realtà era il braccio destro di un francese, William Favre, 33 anni, noto tempo fa come costruttore di copie della Ferrari 250 GTO: breve fama e un processo intentato dalla casa Ferrari per concorrenza sleale. Ma quali legami univano realmente l'intraprendente francese con i due dell'isola di San Domino? Si dice che fosse «l'ufficiale pagatore», i giudici avrebbero voluto interrogarlo ma Favre, il 27 ottobre scorso, è stato trovato morto nell'appartamento ammobiliato che occupava a Ferney-Voltaire, appena oltre la frontiera francese. Suicida, è stato detto, forse per debiti. Anche Jean-Louis Nater, 39 anni, un gigante di oltre un metro e 90, è morto senza lasciare un soldo alla moglie Nadine. Si sussurra, però, di alcuni conti intestati a suo nome razziati da qualcuno non appena rimbalzata la notizia deU'«incidente»: denaro arrivato da chissà dove, perché le quotazioni di Nater alla Borsa del crimine non erano troppo elevate. La sua ultima impresa nota, nel 1980: una rapina alla Reds Jewellery S.A., a Ginevra, vittima Hassan Dib, un libanese assai attivo nella compravendita di preziosi. Tre anni dopo Nater e un suo complice, Jean-Pierre Perrier. furono condannati. Nater non aprì bocca, ma l'altro raccontò che erano stati ingaggiati da Hassan Dib e da suo fratello Tarek per simulare l'aggressione e truffare i Lloyd's. I due ebbero uno sconto di pena e un'inchiesta sui fratelli libanesi si concluse con un'archiviazione. Ora Hassan Dib dovrebbe essere ascoltato dai giudici italiani, ma non sembra avere intenzione di andare a Foggia: «Perché mai dovrei farlo? Per dire che non c'entro con questa storia?-. Il giudice istruttore Anto¬ nio Baldi lo definisce, al pari di Wampfier, "personaggio inquietante». E inquietanti sono i mandanti dell'attentato, "personaggi rimasti avvolti nel mistero-, sottolinea il magistrato. Tutto parte da qui, da Ginevra. Si indaga fra i gruppi libanesi definiti •mollo attivi- già dal 1975: drusi, sciiti, integralisti d'ispirazione iraniana, sunniti, falangisti filo-israeliani. Alleati o nemici fra loro. Commerciano con tutti e di tutto: comprano e vendono preziosi; fra i più intraprendenti all'epoca del gran souk delle armi, quando c'era concorrenza spietata per accaparrarsi le commesse di Iraq e Iran in guerra; secondi a nessuno nel riciclaggio dei narcodollari. E per i traffici più inconfessabili si servirebbero di una mano d'opera presa nel sottobosco della criminalità, gente non specializzata che non sempre dà garanzie ma che, in compenso, costa relativamente poco. Cellule che i servizi segreti elvetici controllano assai da lontano. Dice Roland Hauenstein, il portavoce del Ministero Pubblico: "Indaghiamo. Non possiamo aggiungere altro per non compromettere persone precise, allo stato attuale-. Ed è come dire: "Abbiamo scoperto tutto, andatevene via». Da Beirut, ma confermato qui sulle rive del Lemano, sarebbe partito l'ordine per gli attentati avvenuti a Parigi nel settembre 1986: morti e feriti per forzare la mano alla giustizia francese e liberare il terrorista libanese George Ibrahim Abdallah. Ginevra è meno puritana di quanto voglia far credere. Nelle notti silenziose avvengono incontri, scambi, proposte, rendez-vous, contatti d'ogni tipo. Al Pickwick Pub di rue Lausanne 80, sotto un appartamento dove, a lungo, hanno avuto sede gli uffici della Cia, e al Jimmy's Bar del quai du Mont Blanc 19, il segretario alla Difesa americano designato John Tower ha bruciato i momenti più intensi del suo soggiorno europeo e, forse, la propria carriera. Vezzeggiato, richiesto, conteso dalle avvenenti spie del Deuxième Bureau e del KGB. I russi ora minimizzano e Michail Boriskine, portavoce del consolato sovietico, dice: «Che sciocchezza. Ve l'immaginate spie dalle lunghe trecce bionde nascoste dietro alla Pravda che si gettano sul primo americano che entra nel bar? In ogni modo non si può scherzare su cose del genere-. Ma i giochi proibiti sono anche altri. Nater e Wampfier furono mandati alle Tremiti forse per essere uccisi, si lascia capire. O soltanto uno doveva morire. E quella bomba avrebbe dovuto gettare sulla Libia un'ennesima colpa, visto che, poco prima. Gheddafi aveva rivendicato la sovranità sulle isole. E si dice pure che l'idea dell'attentato non sarebbe nata qui a Ginevra né a Beirut, ma in un appartamento del centro di Tel Aviv, ispirata dagli uomini del Mossad infiltrati nei gruppi libanesi. La pista mediorientale è sottolineata dagli inquirenti italiani mentre gli svizzeri, molto attenti a non rovinare gli instabili equilibri con i libanesi, puntano l'indice sulla Libia. E così viene posto in luce l'anello di una catena altrimenti spezzata: i fratelli Dib sarebbero legati ad Ali Hijazi. Costui ha residenze in Libano e Tripoli ma spesso soggiorna a Ginevra: nel 1948 faceva il tassista in una Beirut ancora splendida. Poi ha cambiato, è diventato finanziere con interessi dall'Africa alla Francia. E' stato presidente deU'United African Airlines (UAA), una compagnia aerea libica usata dai servizi segreti di Tripoli. Traffici con tutti. Un biglietto da visita della segretaria di Hyazi è stato trovato addosso ad un pilota dei contras abbattuto dai nicaragueni. Ancora, n 17 gennaio '87, a Beirut, fu sequestrato il tedesco Rudolf Cordes e. alla fine dell'anno, il quotidiano libanese An Nahar pubblicò che Hijazi trattava e l'ostaggio sarebbe tornato libero "entro breve-. Il finanziere si affrettò a smentire a Parigi, a Le Monde: "Non c'entro. Sono soltanto un uomo d'affari-, n tedesco tornò libero, il riscatto fu pagato a Ginevra. Ma si sussurra di altri sequestri, altre trattative, altri misteri qui in riva al lago. Wampfier ha detto quanto sapeva, cioè poco. Il resto è ancora da «leggere». Vincenzo Tessandori